
Francis Fukuyama, studioso americano di origine giapponese, scrisse nel 1992 un libro dal titolo
La fine della storia e l'ultimo uomo, dove (ispirato da Hegel) sosteneva la tesi che la storia del mondo, dopo il crollo del Muro di Berlino e la fine del comunismo, era praticamente giunta al suo termine. Gli anni a seguire avrebbero visto il consolidarsi, in tutto il mondo, delle democrazie liberali, dopodiché non ci sarebbero più stati eventi storici di grande rilievo, avendo l'umanità raggiunto il suo traguardo.
È scontato il fatto che Fukuyama sia stato preso abbondamente per il culo, in quanto autore di una delle profezie più avventate di sempre. Venne deriso soprattutto in occasione degli attentati dell'11 settembre, allorché sembrò prevalere la tesi di un altro studioso (Samuel Huntington), che il nostro avvenire prossimo avrebbe ormai riguardato in special modo gli "scontri di civiltà" (ovvero, non più conflitti fra diverse entità territoriali o fra classi sociali, ma lotta all'ultimo sangue fra visioni del mondo globali, fra Oriente e Occidente).
Nel 2002 Fukuyama scrisse un altro libro (
L'uomo oltre l'uomo) dove in parte correggeva le sue tesi precedenti, sostenendo di non aver tenuto in debito conto i progressi scientifici e l'impatto che le nuove tecnologie potrebbero avere nello sviluppo storico dell'umanità. Ironicamente, però, John Horgan (giornalista scientifico americano) nel 1996 aveva argomentato per
La fine della scienza. In modo, a mio modesto avviso, più convincente. La scienza, così come noi la conosciamo, è appunto un fenomeno che ha fatto la sua comparsa in un punto piuttosto recente della storia (il XVII secolo) e in realtà non si vede perché così com'è cominciato non potrebbe finire, mentre è difficile persino dare un senso al concetto di "fine della storia" (non sarebbe un evento "storico" di grande portata?).
La tesi di Horgan comunque non è che non c'è più nulla da scoprire. Egli sostiene piuttosto che potrebbe, un giorno di questi, non esserci più nulla da scoprire, e che non è affatto detto che il progresso scientifico sia infinito. La maggior parte degli scienziati inorridisce di fronte a una prospettiva del genere, ed è subito pronta a tirare fuori l'aneddoto (falso) dell'impiegato dell'ufficio brevetti che a fine '800 avrebbe dichiarato "Tutto ciò che si può inventare è già stato inventato", chiedendo la chiusura dell'ufficio (se si vuole un aneddoto vero, si potrebbe citare la frase di Kant, secondo cui "la logica dopo Aristotele non ha dovuto fare nessun passo indietro e non ha potuto fare nessun passo avanti").
Ogni volta che crediamo di essere vicini alla verità definitiva in qualche campo, si sostiene, succede sempre qualcosa, la scoperta di una nuova particella, un nuovo fenomeno finora inosservato, una nuova teoria, che rende chiaro come l'impressione precedente fosse solo dovuta ad una mancanza d'immaginazione. Ogni risposta è destinata a generare nuove domande, e le risposte a queste domande, e la scienza che ne emergerà, sono destinate a suscitare ulteriori interrogativi. La natura non finirà mai di svelarci tutti i suoi segreti.
Ma andiamo! Questa è pura retorica. E se invece le nostre teorie fossero, semplicemente, vere, e quindi eventualmente perfezionabili ma non rimpiazzabili da niente di profondamente diverso? Perché non dovrebbe accadere? Perché non dovrebbe essere già accaduto? Può ben essere il caso, ad esempio, per la teoria darwiniana dell'evoluzione. È una spiegazione bellissima, ed estremamente convincente (per chi la capisce) della varietà degli organismi viventi. Può darsi benissimo che non sia completa, però è quasi sicuramente vera. Vera non solo come approssimazione, come era la teoria di Newton rispetto a quella einsteniana, ma in un senso più definitivo.
Il vero motivo per cui la maggior parte degli scienziati (e non solo) non crede ad un'eventualità del genere è che non vogliono che sia vera. E non per il motivo triviale che in tal modo perderebbero il lavoro, ma perché in tal modo l'umanità intera perderebbe una parte essenziale della sua missione spirituale, del suo compito nell'universo, che è quello di conoscere e di scoprire. La scienza è una delle attività più nobili che esistano, e anche delle più belle e divertenti, e nessuno vuole davvero che finisca. Come reagirebbe allora la comunità scientifica di fronte ad una tale eventualità?
John Horgan nel suo libro introduce il concetto di "scienza ironica" che è mutuato dal "poeta ironico" del critico letterario Harold Bloom. Bloom, nel suo acclamato libro
L'angoscia dell'influenza parlava della sgradevole sensazione, presso gli scrittori moderni, che tutto quanto si possa dire o scrivere di significativo sia già stato detto. C'è qualche poeta o drammaturgo in giro che pensa davvero di poter aggiungere qualcosa a Shakespeare, o a Dante? di poter raggiungere o superare quelle vette di poesia sublime? oppure qualcuno pensa di potersi spingere, nella sperimentazione stilistica, oltre il punto cui è arrivato Joyce?
La risposta a questo, da parte di alcuni scrittori, è stata il post-modernismo, ovvero accettare il fatto il di essere dei meri ripetitori e quindi limitarsi a proporre, con abilità più o meno maggiore, delle continue variazioni sul tema, ingegnandosi però a mescolare i generi, a rivisitare i classici decontestualizzandoli e ambientandoli nella modernità, dissacrandoli, facendoli a pezzettini, divertendosi, forse, ma senza avere mai l'ambizione di scrivere "il romanzo del secolo", di raccontare una storia che dovrebbe racchiudere il senso di un'epoca, di mettere per iscritto i sogni e gli incubi di un'intera generazione, in altre parole di fare "letteratura" vera e propria (per un'analogia più banale, si pensi alla moderna tendenza musicale per le
cover).
Secondo John Horgan già oggi è come se molti scienziati abbiano rinunciato, inconsapevolmente, alla loro missione di "scopritori", e perciò si limitino a fare quella che lui chiama "scienza ironica", che non è altro che una sorta di esercizio letterario sul già scoperto e già corroborato dall'esperienza. Ci sono molti esempi nel suo libro (che è un libro di interviste a celebri scienziati e anche un eccellente esempio di divulgazione), ma il paradigma stesso dello scienziato ironico è individuato nel paleontologo, e darwiniano dissidente, Stephen Jay Gould (scomparso nel 2002).
Una volta noto come bravissimo e apprezzato autore di scritti divulgativi aventi come argomento l'evoluzione, nel corso della sua carriera Gould finì per imbarazzare sempre più i suoi colleghi, per le sue prese di posizione in odore di "eresia" e di "anti-darwinismo". Non che abbia mai concesso nulla a fuffa pseudoscientifica quali il creazionismo e l'
intelligent design (e anzi testimoniò contro queste aberrazioni anche nelle aule dei tribunali), ma è un fatto che il suo atteggiamento ambiguo finì per dare delle armi in mano ai creazionisti stessi. Il fatto è che Gould si sentiva a disagio con l'ortodossia darwiniana per vari motivi (anche politici), nessuno dei quali però, a ben vedere, aveva a che fare con la sua eventuale inadeguatezza a spiegare i fatti.
Gould, semplicemente, non poteva accettare che la teoria di Darwin fosse l'ultima parola in fatto di evoluzione della specie, e impiegò la sua vita nel tentativo di "rivoluzionarla", per poi offendersi moltissimo per lo scarso entusiasmo dimostrato dai suoi colleghi (persone come Richard Dawkins o John Maynard Smith) nei confronti delle sue proposte. Insieme al genetista Richard Lewontin scrisse una critica, da lui ritenuta devastante, al "paradigma panglossiano" o adattazionista, sostenendo che non tutte le mutazioni sono da considerarsi dei veri e propri adattamenti, ma ci sono anche limiti e vincoli posti dalla forma e dalla struttura di un organismo (
I pennacchi di S. Marco e il paradigma panglossiano). La risposta grosso modo fu: "sì, lo sappiamo, e allora"?
Insieme a Niles Eldredge formulò invece la teoria degli "
equilibri punteggiati" nella quale si opponeva al "gradualismo" dell'ortodossia sostenendo che l'evoluzione può avvenire anche per balzi improvvisi, cosa che spiegherebbe il paradosso delle testimonianze fossili incomplete. Anche questa volta la risposta fu: "sì, e allora?". Nessuno aveva mai sostenuto che il gradualismo implicasse "velocità costante" dell'evoluzione, e non è un fatto troppo sorprendente che certi eventi possano imprimere una forte accelerata (senza mai arrivare alla nascita di una nuova specie nel corso di un paio di generazioni, cosa che nemmeno Gould arriva a pensare). Si ritiene ad esempio che sia stata la caduta di un grosso meteorite a causare l'estinzione dei dinosauri, permettendo così l'affermarsi di nuove specie che ne occuparono la nicchia ecologica, il che dimostrerebbe che non tutti i cambiamenti sono dovuti a lenti e impercettibili adattamenti morfologici, ma ci sono anche gli eventi catastrofici. E grazie al c...
Per non parlare delle critiche, puramente ideologiche (Gould era un marxista e un radical chic agguerrito) alla sociobiologia di Wilson ("eugenetica! eugenetica nazista!") e alla teoria del gene egoista di Dawkins ("riduzionismo! riduzionismo volgare e fascista!"). Alla fine la cosa assunse i connotati di una faida (sulla quale esiste
un libro di Kim Sterelny): Gould si sentiva come un Galileo incompreso, osteggiato dal dogmatismo dei colleghi "
fondamentalisti darwiniani" che non volevano aiutarlo a rivoluzionare la disciplina. Gli altri scienziati lo vedevano perlopiù come un tipo strano e dal brutto carattere, e un cavallo di Troia dei creazionisti (si veda
un articolo di John Tooby e Leda Cosmides in replica a quello precedentemente linkato).
Ma soprattutto Gould divenne, suo malgrado, il paladino e l'eroe degli "alternativi", quelli che ancora oggi sostengono che in fondo "la teoria dell'evoluzione è solo una teoria, non un fatto comprovato". Quelli che "la scienza non deve chiudersi a riccio nella difesa dei suoi dogmi, ma rimettere sempre in discussione le proprie premesse". Sempre? Siamo proprio sicuri? Ma non sarà uno spreco di risorse perdere tanto tempo a cercare di confutare una teoria che sappiamo al 99,9% essere vera, quando ancora non sappiamo un sacco di cose su come un organismo cresce e si sviluppa? quando ancora dobbiamo trovare una cura contro il cancro?
Ma che cosa fanno, in fondo, i vari Steven Jones, i Massimo Mazzucco, i Roberto Giacobbo , o addirittura i Dino D'Alessandro di questo mondo, se non "scienza ironica" (è un appellativo molto gentile, lo so)? Roberto Giacobbo, ad esempio: lui sa benissimo che le profezie Maya non parlano di una fine del mondo nel 2012 (spero lo sappia), ma se ne prendesse atto non potrebbe condurre le sue interessantissime e avvincenti trasmissioni. Ovvio che i cerchi nel grano sono fatti da buontemponi, ma che gusto c'è? Certo che il feto di alieno abortito è un coniglio scuoiato, ma non è divertente. Ragazzi, è una scocciatura avere tutte le risposte, una vera noia!
E finché si parla di cerchi nel grano e delle trasmissioni di Giacobbo la cosa potrebbe anche sembrare innocua. Lo è un po' di meno quando a quasi un decennio di distanza dagli attentati dell'11 settembre, dopo che sono state scritte migliaia di pagine da parte di centinaia di scienziati e ingegneri, dopo che sono state fatte tutte le analisi possibili, e raccolte tutte le prove possibili, qualcuno continua a chiedere "una nuova commissione d'inchiesta indipendente" sui fatti. Come se la verità fosse una cosa transitoria, che ieri era in un modo ma domani potrebbe essere in un altro. Facciamone altre dieci di inchieste, spendiamo altri miliardi di dollari: i parenti delle vittime meritano di essere presi in giro a spese dei contribuenti da dei tizi la cui ultima preoccupazione è la ricerca della verità.
E per non parlare di un'altra specie di ciarlatani ancor più pericolosa, i guaritori, che si approfittano di un effettivo ritardo nella ricerca medica contro alcuni tipi di malattie, per proporre i loro rimedi medioevali, al grido di "tutto va bene" purché non sia medicina ufficiale e sostenuto dall'evidenza empirica (che noia, il processo di verifica delle ipotesi). E questo post purtroppo si conclude in una maniera amara, e imprevista, perché ho appena saputo con sommo sconcerto che uno di questi ciarlatani
è stato invitato nella mia città a parlare della sua terapia a base di bicarbonato contro tutti i tipi di cancro. Un tizio che è già stato condannato in primo grado per truffa e omicidio colposo, e radiato dall'albo dei medici, terrà una conferenza sulla teoria "il cancro è un fungo", invitato dagli amici di David Icke (l'anti-rettiliano), ospitato in una sala del dopolavoro ferroviario. In fondo in fondo spero che Giacobbo abbia ragione.