domenica 29 novembre 2009
tutta la verità in 1480 parole
Quando Pilato chiede a Gesù "cos'è la verità?" (Giovanni 18, 38) non ottiene una risposta (forse anche perché non l'attende). Secondo la dottrina cristiana, "Pilato non si rende conto che sta rivolgendo la domanda sulla verità alla Verità stessa che sta davanti a lui, in veste di imputato, passabile di pena di morte". I cristiani rammentano spesso questo passo per criticare l'atteggiamento "pilatesco" dei moderni pensatori relativisti nei confronti della verità (*).
Condivido il bersaglio, ma lo stesso non mi convince troppo questa interpretazione, perché un conto è attaccare il relativismo, un altro cedere al dogmatismo più rigido. La verità sarebbe una persona, sia pure un po' speciale come Gesù? Troppo presuntuoso. Forse poteva funzionare 2000 anni fa, ma adesso chi se la sentirebbe di andare in giro a dire "Io sono la via, io sono la verità e la vita" (Giovanni 14, 6), senza essere giustamente preso un po' in giro?
Secondo me Gesù avrebbe fatto bene a rispondere qualcosa del genere (anche se non gli avrebbe ugualmente salvato la vita):
“Dire di ciò che è che non è, o di ciò che non è che è, è falso, mentre dire di ciò che è che è o di ciò che non è che non è, è vero”.
La definizione aristotelica di verità (si trova nella Metafisica), nonostante la sua antichità, infatti rimane una delle più valide. In primo luogo Aristotele giustamente attribuisce la proprietà della "verità" ai discorsi intorno alle cose, e non alle cose stesse e, va da sé, nemmeno alle persone. La verità non è una cosa, un oggetto, una persona, ma è un attributo, e in particolare un attributo dei discorsi. Senza linguaggio non ci sarebbe la verità, ma ci sarebbe solo il mondo.
In secondo luogo, qui c'è persino un abbozzo di "principio di composizionalità": una frase vera diventa falsa se ci appiccichiamo davanti il connettivo logico "non", e approfondendo il discorso Aristotele avrebbe anche potuto dire che un enunciato composto da due enunciati tenuti insieme dal connettivo "e", è vero solo se sono veri entrambi gli enunciati di partenza. Ma si potrebbe persino partire dai singoli termini (che da soli non sono né veri né falsi) e con l'aiuto della nozione di "soddisfazione" capire in che modo contribuiscono al valore di verità di un enunciato: ad esempio "x è intelligente" è soddisfatto quando alla x sostituiamo il termine "Rita Levi Montalcini", ma non è soddisfatto da Gasparri. Vengono quindi stabilite le condizioni in base alle quali si può dire che un enunciato è vero, che è l'essenza della definizione.
Se insomma prendiamo la definizione aristotelica, rimasta allo stadio di abbozzo incompiuto, e cerchiamo di approfondirla, è piuttosto facile arrivare alla definizione tarskiana di verità. Sì, perché oggi la risposta alla domanda di Pilato, "che cos'è la verità", esiste, ed è stata trovata nel 1933 da un logico polacco, chiamato Alfred Tarski. Prima di esaltarci troppo, sarà bene premettere che quella di Tarski, per quanto corretta, è una definizione ma non un criterio, ovvero risponde alla domanda "cosa significa essere vero", ma non ci permette di stabilire che cosa è vero in particolare, che poi forse è quel che voleva sapere Pilato.
Comunque, secondo Tarski, una definizione adeguata di verità, per un dato linguaggio, è fornita da una teoria che, seguendo il principio di composizionalità visto sopra, riesca ad associare per ogni enunciato P del linguaggio in esame, un corrispondente enunciato (nel linguaggio della teoria) della forma "‘P’ è vero se e solo se Q".
"La neve è bianca" è vero se e solo se la neve è bianca.
Grazie al cazzo, direte voi, ma faccio notare che l'apparente banalità della frase precedente è dovuta solo alla casuale sovrapposizione fra linguaggio oggetto e linguaggio della teoria (metalinguaggio), ma in realtà avrei anche potuto dire:
"雪是白的" è vero se e solo se la neve è bianca.
Se per ogni enunciato in cinese sappiamo produrre (partendo dai singoli termini e con l'aiuto del principio di composizionalità) una frase in italiano come quella sopra, sappiamo cosa significa essere vero in cinese, cioè sappiamo a quali condizioni una particolare frase in cinese è vera o falsa, che non è mica poco. Il problema è che in realtà fare questo significa anche conoscere il cinese, cioè essere in grado, per ogni enunciato cinese, di trovare il corrispettivo sinonimo in italiano, il che forse rende di nuovo banale la definizione. Banale, però, non significa inutile, soprattutto quando serve ad escludere delle alternative.
In primo luogo la verità non è "corrispondenza": in Tarski, o in Aristotele, e contrariamente a quello che si legge nella quasi totalità dei manuali di filosofia, non c'è nessun riferimento ai "fatti", o al concetto di "corrispondenza ai fatti", il che è una fortuna perché nessuno ha mai saputo definire che cosa sia un "fatto", se non in modo tautologico identificandolo con una frase vera. La verità è un predicato semplice, atomico. Un enunciato è vero e basta, non vero e quindi connesso in maniera particolare con uno speciale tipo di entità.
In secondo luogo, e ancora più importante, la verità è qualcosa. Intendo dire che c'è un senso oggettivo, nel dire di una particolare frase che è vera o falsa: la tale frase è vera a determinate condizioni, che possono essere enunciate (anche se può non essere facile stabilire se le condizioni sussistono). Il che vuol dire che si può essere realisti senza avere una teoria della corrispondenza, cioè senza identificare la verità con un oggetto. E vuol dire anche che si può rispondere alla domanda di Pilato, senza con ciò aderire a nessuna particolare dottrina, senza pretendere di conoscere la verità, e soprattutto senza fare gli sboroni e dire assurdità come: "la verità? eccomi qui".
In realtà però, le cose sono un po' più complicate: a rigore Tarski ha definito solo il significato del termine "vero-in-L", dove L sta per un particolare linguaggio. Si può capire cosa significhi essere "vero-in-italiano" o "vero-in-cinese", ma ancora non sappiamo cosa significhi essere "vero". Anzi, la definizione di Tarski può essere usata proprio per dimostrare che è impossibile definire la nozione semplice di verità. Infatti tale definizione fa un uso essenziale della distinzione fra linguaggio e metalinguaggio: il predicato "vero" ha senso solo se usato per riferirsi a un linguaggio diverso da quello nel quale esso è usato, altrimenti si generano inevitabilmente antinomie come quella del mentitore ("questa frase è falsa"). E quindi non può essere definito un predicato di verità universale, che comprenderebbe anche se stesso fra gli oggetti del discorso.
Ma questo non dovrebbe comunque indurci allo scetticismo radicale e al relativismo, perché il fatto che la verità non sia definibile probabilmente significa solo che essa è una nozione talmente fondamentale da essere, lei, la base di tutte le altre definizioni dei nostri concetti. Senza avere una nozione intuitiva di cosa sia la verità non potremmo parlare, e non potremmo neppure pensare. Tanto è vero, ad esempio, che la banalità degli enunciati della forma "‘雪是白的’ è vero se e solo se la neve è bianca" si trasforma in qualcosa di molto interessante se noi, seguendo un percorso inverso a quello di Tarski, partissimo dalla nozione primitiva di verità per costruire una teoria del significato per il cinese, ovvero una teoria che ci permetta di interpretare gli enunciati cinesi e trovare i corrispettivi sinonimi in italiano (che è la strada seguita da Donald Davidson).
Ma allora Gesù in fondo potrebbe aver fatto bene a tacere di fronte a Pilato. Ma non perché lui fosse la via, la verità, la vita. È solo perché è inutile tentare di rispondere a qualcuno che dubita che la verità esista, quasi quanto è inutile parlare con qualcuno convinto di avere già la verità in tasca. Tale persona non è un essere pensante, e tanto varrebbe rivolgersi al muro.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Beh Thomas, Gesu' Cristo diceva di essere il Figlio di Dio, per cui la sua affermazione di essere la Verita' e la Vita, e' perfettamente logica. Certo che questo presume un atto di fede. Pero' di converso perche' dovrei considerare Aristotele affidabile e non uno che straparlava ? In fondo di sciocchezze ne ha dette anche lui, perlomeno se lo guardiamo con gli occhi di oggi e non come una persona nata nel 384 A.C.
RispondiEliminaOh, non vorrei che venisse preso come un attacco a Gesù: dopotutto il suo silenzio è molto più significativo di tante parole.
RispondiEliminaE comunque Aristotele non deve essere creduto sulla fiducia, infatti.
"La neve è bianca..."
RispondiElimina"...Grazie al cazzo..."
OmmiobuonGesù solo tu sai quanto mi sto rovesciando dalle risate ^^
Purtroppo più volte ho sentito critiche al relativismo basate sull'assunto un po' ruspante che le scienze sperimentali sono più affidabili perché attraverso modelli (matematici) e metodologie (razionali) arriverebbero ad attingere verità connesse alla "realtà", spesso non meglio definita.
RispondiEliminaQuesta apparentemente "semplice" confutazione è basata su un elenco di taciti presupposti sterminato, ivi inclusa appunto una visione ingenua della verità come corrispondenza, con concessioni a posizioni metafisiche implicite (ontologia e attingibilità del "reale") piuttosto forti.
Nulla di male nel coltivare posizioni metafisiche nette (peraltro quasi indispensabili da un punto di vista operativo !), se non che tali posizioni - assunte in modo quasi inconsapevole - a volte rendono piuttosto esilarante il contrasto con le posizioni diametralmente opposte sostenute a parole dai medesimi personaggi quando si discute esplicitamente di metafisica (inclusa quella strettamente inerente la verità) e quindi di assoluti (inclusi quelli di natura spirituale e religiosa).
La questione è molto, molto sottile e articolata: purtroppo non si può sperare di rendere giustizia all'argomento in qualche commento.
Ma almeno sospettare l'esistenza del problema è importante.
Non esiste ancora l'argomentazione definitiva contro il solipsismo, con buona pace di Ilario Putnam e dei cervelli che tiene nella vasca da bagno, contento lui; la confutazione radicale del relativismo passa comunque attraverso altre strade, più solide e meglio definite.
Butterei sul tappeto solo un paio di spunti di riflessione, limitandomi a menzionarli per sommi capi.
1) La solidità senza pari di logica e matematica deriva innanzi tutto dalla loro blanda corrispondenza con la "realtà": né troppa, né troppo poca. Esattamente la "giusta" quantità, si direbbe, e questo spiega la loro potenza esplicativa, come pure la enorme solidità che deriva dal non essere scienze empiriche.
2) A fortiori, questa corrispondenza con la "realtà" avviene proprio nella zona meglio scelta: il loro radicamento nei modi funzionali macroscopici del nostro cervello, una parte piuttosto importante della Natura. I nostri pensieri sono l'unica "cosa" che possiamo realmente dire di conoscere e quelle due discipline catturano in modo altamente formale idee e "oggetti" del nostro mondo mentale.
3) Chi sostiene che la scelta degli assiomi in logica e in matematica è "del tutto arbitraria", portando legna al fuoco del formalismo ingenuo o facendo del pragmatico costruttivismo applicativo, spesso non ha ben presente la differenza tra verità contingente e verità logica. Spesso inoltre non è molto ben divulgata la questione tecnica della convalida a ritroso, dell'indipendenza degli assiomi, dei teoremi limitativi e loro conseguenze (quelle serie, non le pagliacciate sostenute dai relativisti che tecnicamente non distinguono un culo da una portaerei).
5) Come abbiamo già accennato altre volte parlando dei sistemi di logica modale a modalità iterate, l'interpretazione modale dell'operatore L "necessario" come "necessità naturale" è proprio ciò che fa sostenere a J.D. Barrow che l'esistenza di leggi (matematiche) di Natura è un fatto contingente.
6) Verità tarskiana non coincide ovviamente con dereferenziazione bovina tra uso e menzione tramite eliminazione meccanica delle virgolette. «"È falsa quando è preceduta dalla sua citazione" È falsa quando è preceduta dalla sua citazione» è sempre il più enorme e antico dei paradossi, con un vestito molto moderno (ciao, zio Quine).
Questo comento contiene almeno quattro erori (tre dei quali sono sicuramente in questa frase).
Non esiste ancora l'argomentazione definitiva contro il solipsismo, con buona pace di Ilario Putnam e dei cervelli che tiene nella vasca da bagno, contento lui; la confutazione radicale del relativismo passa comunque attraverso altre strade, più solide e meglio definite.
RispondiEliminaNon sono neanche sicuro di averla mai capita, la confutazione di Putnam, che comunque è interessante. Potrei parlarne, un giorno, sperando di avere ancora dei lettori. A proposito, non hai l'impressione che il signore suddetto, del quale ho letto diversi libri e saggi, sia leggermente sopravalutato?
Per quanto riguarda le verità matematiche, dopo un secolo di formalismo, sospetto che avesse ragione il vecchio Kant parlando di verità sintetiche a priori, ma la questione è davvero complessa e non ho convinzione particolarmente solide a riguardo.
Comunque la definizione tarskiana è una delle cose più equivocate del mondo, sia da parte chi ci vede appunto una teoria della corrispondenza (cosa che ancora si legge un po' dappertutto, compresa ovviamente Wikipedia ma anche fonti più serie), sia da parte dei "deflazionisti", che ci vedono un semplice meccanismo "decitazionale".
Pur non essendoci forse gli estremi per parlare di un "primo" e "secondo" Ilario, come avviene spesso per il buon Wittgenstein, certamente il Putnam di "Matematica, materia e metodo" non è esattamente il medesimo dei saggi degli anni Ottanta.
RispondiEliminaTemo anzi che il suo surplus di fama derivi proprio da alcune sue "aperture" continentali recenti, che per molte menti semplici sono automaticamente sinonimo di salto della quaglia, abiura, passaggio del sacro confine e altre imbecillità assortite, dunque meritevoli di uccisione del povero vitello grasso e supervalutazione intellettuale.
D'altro canto succede anche su scala più infima - come quando taluni cercano di utilizzare in senso contundente e anti-analitico l'espressione "matematicosi" di Quine: ignorando del tutto o dimenticando che lui per primo ha fornito contributi logico-matematici rilevantissimi, a partire dal metodo risolutivo per reti booleane che oggi chiamiamo Quine-McCluskey.
Sulle Verità matematiche, mi considero un platonista fatto e finito, oltre ad essere apertamente filosolipsista.
Posso concedere qualche apertura dialogica a posizioni realiste (nell'area del mentalismo cognitivista) ben fondate, ma ne ultra.
Anche l'uso che ho fatto sopra di locuzioni come "verità contingente" e "verità logica" (oltre ad affondare le radici nel modo più ovvio in Leibniz) è sfacciatamente neokantiano.
Thomas, Leibniz reloaded, a questo punto diventa difficile seguirvi :)
RispondiElimina@The Foe-Hammer: hai ragione, mi son fatto prendere la mano.
RispondiEliminaSe ti interessa capire meglio qualcosa che ho menzionato, non farti scrupoli a chiedere, e cercherò nei limiti di chiarire ad usum delphini. :-)
È vero, The Foe-Hammer. Già l'argomento del post è decisamente un azzardo, se poi nei commenti ci lasciamo andare rischia di diventare davvero una cosa per soli addetti ai lavori, cosa che vorrei evitare. Ti ringrazio per l'avvertimento.
RispondiEliminaLeibniz reloaded dixit:
RispondiEliminacercherò nei limiti di chiarire ad usum delphini.
Ma siccome non tutti sanno da dove derivi l'espressione "Ad usum delphini" consiglio il seguente link:
http://www.youtube.com/watch?v=pkDY762xLC8
Trovo giusto ed affascinante indagare sull'etimologia di espressioni e modi di dire; spiegano molto della storia e della cultura di chi li ha creati... proprio come in questo caso
rotfl
RispondiEliminaChe non esistano fatti, ma fatti interpretati, ormai è un dato di fatto.
RispondiEliminaIn ogni caso, vorrei fare un paio di osservazioni:
1. La questione diventa piuttosto interessante se filosoficamente parlando ci si interroga sul termine opposto ad "aletheia" ovvero "doxa", l'opinione. La filosofia è dunque una "filastrocca di opinioni" o "scienza oggettiva della verità"? (cit. Hegel)
2. C'è da dire che prima della conversazione univoca con Pilato, Gesù aveva detto al sacerdote: "sono venuto al mondo per rendere testimonianza ("martyréso" è il termine), chiunque è dalla verità ascolta la mia voce". Il figlio di Dio viene quindi a contatto prima con la religione (sacerdote) poi con la politica (Pilato). Ebbene, la verità di cui Cristo è martire può avere rapporti con il diritto e la religione tradizionale? L'uomo del ressentiment odia l'uomo aristocratico!
3. Come giustamente è stato detto la verità non è un "tì", un "quid", la verità può essere testimoniata non fatta coincidere con una cosa circoscritta. In questa interpretazione il silenzio di Cristo è paradossalmente la risposta più coerente.
4. Il termine verità, mi pare di ricordare, compare soltanto 2 volte nella Bibbia e sempre in una domanda. La verità compare quindi sempre come indaganda. Potremmo dire che la verità coincide con l'indagine sulla verità e che quindi il cristianesimo non è una risposta definitiva bensì una ricerca costante. Da qui anche la differenza tra religione (indica un legame) e fede (indica una infinita inquisitio).
Perdonate la prolissità ma spero di aver arricchito la riflessione.
A proposito di link, io vi consiglio questo (sopratutto a te Thomas): http://www.youtube.com/watch?v=9VDvgL58h_Y
Belle riflessioni. Quanto al trailer, il fatto che io l'abbia già visto è quel genere di cose che mi fa pensare che forse nella mia vita c'è qualcosa che non va.
RispondiEliminaBeh, devi ammettere che una morte così è la peggiore che ci possa essere.
RispondiEliminaComplimenti davvero per il post, mi è piaciuto molto.
RispondiEliminaA me quando si parla di Verità, viene sempre in mente Rashomon di Kurosawa, in cui tutti sono convinti di conoscere la Verità, ma ne conoscono un solo pezzo e una verità parziale equivale a una sorta di bugia.
Cordialità
Attila
Secondo me Gesù avrebbe fatto bene a rispondere qualcosa del genere (anche se non gli avrebbe ugualmente salvato la vita)
RispondiEliminaApperò, si vola basso quanto a consigli :D
La neve è bianca?
RispondiEliminaMai stato a Milano d'inverno? :-D
A parte gli scherzi, complimenti per il post, almeno per la parte che ho capito.
Che non esistano fatti, ma fatti interpretati, ormai è un dato di fatto. interpretato
RispondiEliminaAllora, i "fatti" intesi come entità metafisica non esistono: di solito li si intende come quelle entità che costituiscono il riferimento degli enunciati, ma Alonzo Church, seguendo uno spunto di Frege, ha dimostrato che c'è al massimo una entità alla quale tutti gli enunciati veri possono riferirsi (e cioè tutti gli enunciati veri denotano "il vero").
RispondiEliminaSe con l'esistenza dei fatti si intende semplicemente affermare un orientamento realista, il discorso cambia: Maurizio Ferraris, autore che non stimo molto, ha invitato in un suo libro sull'ermeneutica a riflettere sulla frase "non esistono gatti, ma solo interpretazioni".
Ora mi dici perchè non stimi Ferraris :P
RispondiEliminaComunque, quando si parla di fatto intesi come entità metafisica io penso subito a Nietzsche (sarà che mi viene in mente sempre e comunque): "[...] quello stoicismo dell'intelletto che finisce per proibirsi il no altrettanto rigorosamente quanto il sì, quel voler restare inchiodati dinanzi all'effettuale, al factum brutum, quel fatalismo dei petits fait, quel rinunziare all'interpretazione in generale (a violentare, a riassettare, ad accorciare, a sopprimere...), esprime, secondo una considerazione di massima, tanto ascetismo della virtù quanto lo esprime qualsivoglia negazione della sensualità.
Ma quel che costringe a esso, quella assoluta volontà di verità, è la fede nello stesso ideale ascetico...è la fede in un valore metafisico, in un valore in sè della verità...
Non esiste alcuna scienza priva di presupposti..." e bla bla bla.
Mi sembra abbastanza chiaro Federico in questo passaggio del paragrafo 24 della terza dissertazione della genealogia.
Mi danno sui nervi gli accademici che raggiunta una certa posizione si mettono a fare i simpaticoni scapestrati, come anche Odifreddi. E non si può intitolare un libro "Goodbye Kant" per acchiappare qualche lettore in più: almeno chiamalo "auf wiedersehen Kant".
RispondiEliminaNietzsche, è un autore che mi piace assai, ma non devo essere d'accordo su tutto. Non riesco a liberarmi dalla fede nell'ideale ascetico della verità, ad esempio.
Interessante post e interessanti commenti. Non che li abbia capiti tutti al 100%, ma fa niente...
RispondiEliminaSolo una notarella asinina, anzi, due. Facciamo due domandine, vah.
Artificio retorico o sfogo dell'anima, quel "Grazie al cazzo" che spezza la tensione razionale?
Sicuro sicuro che Odifreddi giochi a fare il "simpaticone scapestrato"? ;)
Oddio, mi ero dimenticato di "goodbye Kant". Peggio Odifreddi che scrive un libro praticamente uguale e quello di Russell. Tra l'altro scriveva ieri su Repubblica Odifreddi che i matematici o gli uomini di scienza in generale godono di poca fama. Ecco, lui sta rimediando.
RispondiEliminaDirei artificio retorico...
RispondiEliminaPer Odifreddi, lui almeno ha la scusante di essere sempre stato così, che io ricordi.
Negli anni Novanta e all'immediato volger del millennio, Odifreddi scriveva divulgazione interessante e ragionevolmente corretta, per quanto può esserlo la divulgazione logico-matematica: cioè, nel complesso, l'impresa di dare un'idea della grandiosità estetica e tecnica dei lavori di Michelangelo o Leonardo o Mantegna scarabocchiando con dei tizzoni e dell'erba sulla parete di una grotta.
RispondiEliminaLo dico con una certa cognizione di causa. :-)
In seguito però il logico torinese si è avvitato in una terrificante spirale ideologica e in una crociata antireligiosa che per me ha connotazioni del tutto incomprensibili.
Lo dico ancora con cognizione, da agnostico (vero, alla Prezzolini, in modo sofferto e profondo) e sano mangiapreti di antica scuola toscoemiliana.
Se i racconti delle sue visite in Russia - durante le quali pare sia riuscito a vedere di tutto tranne il marcio, la fame e l'oppressione che erano ovunque, e di certo ha rimediato una condanna in contumacia dai "compagnoski" del soviet supremo, ipse narravit - sono quasi guareschiani e strappano perfino un mezzo sorriso, molti suoi atteggiamenti attuali sono semplicemente l'apoteosi di una faziosità scorretta.
E' tragicamente vero che gli scienziati in genere e gli scienziati formali in particolare non godono della meritata fama e popolarità.
La comunicazione "mediatica" della scienza verso il pubblico fa "mediamente" schifo, essendo peraltro gestita da "strateghi della comunicazione" che in genere hanno con le scienze lo stesso rapporto che un pesce potrebbe avere con un velocipede (ti amo, Tsa Tsa Gabor) e subordinata ad una classe dirigente la cui competenza tecnoscientifica media è un eccellente esempio di vuoto cosmico. L'ombra lunghissima di Benedetto Croce ("Vili meccanici !" diceva ad un genio come Federigo Enriques ed ai suoi collaboratori) arriva fin qui, e oltre.
D'altro canto i "festival della scienza" vengono visitati solo dai soliti forzati (del banco, del libretto, del ventisette) e più in generale da quella compagnia di giro dei "centomila" che si fanno vedere anche al festival della letteratura (MN), a quello della filosofia (MO), al salone del libro (TO), eccetera.
Ma a quanto mi si dice si fa sempre più fatica a mettere a sedere una o due dozzine di matricole capaci e motivate in un'aula di un qualsiasi corso di laurea MMFFNN.
Gli è che, perfino in un quadro di questo genere, le odifreddure non aiutano punto a promuovere correttamente l'immagine del matematico quadratico medio presso le folle.
Intendevo dire che Odifreddi è sempre stato uno spiritosone, anche se prima gli veniva meglio (indimenticabili i suoi battibacchi con Zichichi). Mentre Ferraris, del quale ho peraltro apprezzato il libello sull'ermeneutica già citato dove ripudiava in toto gli insegnamenti del maestro Vattimo, è diventato "personaggio" solo dope esser passato al "lato oscuro", cioè alla filosofia analitica.
RispondiEliminaE pensare che anche la Franca d'Agostini è stata allieva di Vattimo...
RispondiEliminaSu Odifreddi credo che tu abbia ragione, ma probabilmente la mia percezione della sua spiritosaggine è sempre stata piuttosto ovattata.