giovedì 10 marzo 2011

l'educazione veloce


Il termine "enciclopedia" deriva dal greco enkyklos paideia, termine usato in origine da Plutarco, che significa letteralmente "educazione circolare", nel senso di "completa", chiusa in se stessa come una circonferenza. Tale significato rispecchia evidentemente un ideale di conoscenza obsoleto per la sensibilità critica odierna, popperiana, che preferisce un'educazione così come una società "aperta", non dogmatica.

Ma il sapere può essere enciclopedico, ovvero circolare, anche nel senso che, per quanto vasto e comprendente una grande varietà di soggetti possa essere, deve racchiudere tutto quanta la conoscenza in un formato accessibile, che per quanto accurato sia nella ricostruzione di ogni singolo dettaglio possa anche essere sorvolato a volo d'uccello e compreso nelle sue linee generali in una singola occhiata, così come un mappamondo riassume le singole tavole di un atlante. Ciò che differenzia una mera raccolta disaggregata di informazioni da una vera e propria enciclopedia è appunto il suo essere strutturata in un certo modo, il suo essere dominata e domata entro un certo schema.

È subito evidente, allora, che la compilazione di un'enciclopedia è a priori incompatibile con un punto di vista epistemologico neutrale, e lo è anche con la neutralità politica e ideologica. Rendere visibile la struttura della conoscenza ed evidenziare i rapporti gerarchici fra le varie discipline che la compongono, così come ogni tipo di classificazione sistematica, è sempre un esercizio di potere. Un'enciclopedia paradossale è quella cinese inventata da Borges e discussa da Foucault ne Le parole e le cose, perché la sua classificazione è assurda e inconcepibile, quindi inutile. Non rende più capaci e più abili, anche se forse potrebbe servire (e proprio per questo) a un esercizio del potere di tipo totalitario.

Lo scopo degli enciclopedisti del diciottesimo secolo (Diderot, d'Alembert, e gli altri), era invece quello di emancipare gli uomini del loro tempo dal potere assoluto e arbitrario che si rifletteva nei dogmi religiosi ed ecclesiastici, di cancellare le oscurità dell'ignoranza e la superstizione con i Lumi della ragione, cosa che appunto richiedeva una ristrutturazione del sistema delle conoscenze.

Come nota lo storico Robert Darnton in un saggio sull'Encyclopédie contenuto nel volume Il grande massacro dei gatti e altri episodi della storia culturale francese, un lettore moderno, di fronte alla grande messe di voci enciclopediche collocate in rigoroso ordine alfabetico che riguardano argomenti quali la cardatura della lana o la manifattura delle spille da balia, potrebbe legittimamente chiedersi cosa avesse di tanto sovversivo quest'opera, tanto da essere il simbolo dell'Illuminismo e degli ideali anche politici che portarono alla Rivoluzione Francese.

Nonostante l'ordine alfabetico (ovviamente neutrale), però, altri tipi di ordine e sistematizzazione sono nascosti ad esempio nei rimandi fra una voce e l'altra, che servono appunto a evidenziare i collegamenti fra i vari rami del sapere (in qualche caso i rimandi servono anche ad aggirare la censura inserendo nelle voci collegate contenuti delicati che l'enciclopedista non ha avuto il coraggio di mettere nella voce principale). Ma l'impianto ispiratore emerge invece in modo esplicito nel prospetto (firmato da Diderot), nell'introduzione all'opera (firmata da d'Alembert), e nel grafico che accompagna il prospetto: il "sistema figurato delle scienze umane" (a sua volta ispirato a uno schema simile di Bacone, ma con significative innovazioni).

Ogni tipo di conoscenza, in omaggio all'empirismo lockiano, viene così ricondotto in ultima analisi a tre facoltà dell'uomo (già escludendo in tal modo le verità rivelate della religione): la memoria, dalle quale dipende la scienza storica; la ragione, dalla quale dipende la filosofia; e l'immaginazione, dalla quale dipende la poesia. La scienza di Dio viene messa, insieme alla scienza dell'uomo e a quella della natura, sotto il ramo principale della filosofia (e quindi viene fatta dipendere dalla facoltà della ragione). È pur vero che essa occupa il primo posto (il più alto) fra le tre diramazioni principali della filosofia (ma è sotto l'ontologia), ma si può notare anche che essa è fra tutte la meno articolata e la più povera, oltre al fatto che è collocata pericolosamente vicina alla superstizione e alla magia nera.

Si potrebbero fare ragionamenti simili sulle strategie culturali, esplicite e meno esplicite, che stanno dietro la compilazione di opere come l'Encyclopaedia Britannica, o la Treccani, oppure l'Enciclopedia Einaudi (progetto che io trovo molto interessante, e che purtroppo portò quasi alla rovina la casa editrice). Ma il post si trasformerebbe in una sorta di compendio di storia delle enciclopedie. (Una sola annotazione: le enciclopedie di una volta, affidate ad autorevoli esperti, potevano anche costituire "fonte primaria" oltre che secondaria di conoscenza, permettevano cioè ricerche originali). Mentre l'unico confronto che mi interessa davvero è con quella che viene chiamata impropriamente "enciclopedia" ma che di fatto non lo è per tutti quei motivi che adesso dovrebbero essere evidenti.

In Wikipedia non c'è nulla di simile ad una organizzazione dei contenuti secondo una certa linea editoriale, secondo una certa concezione epistemologica, secondo una struttura gerarchica delle conoscenze. Tutto è inserito in modo casuale, da chiunque ne abbia voglia, e modificabile in qualsiasi momento da chiunque ne abbia voglia. È un'opera talmente aperta, talmente in progress, che nemmeno può essere definita opera. Wikipedia è solo un sottoinsieme dell'internet, è una raccolta del tutto disaggregata di informazioni; altamente connesse, nel senso che pure lei è pienissima di rimandi fra una voce all'altra, ma ancora una volta senza nessun criterio logico superiore che organizzi la strategia dei rimandi, lasciati all'improvvisazione dei singoli utenti.

E non può essere altrimenti, in omaggio alla dottrina del NPOV e dell'apertura del progetto al più grande numero possibile di persone (nessuno è autore di Wikipedia, tutti lo siamo). Quella di Wikipedia non è affatto un'educazione "ciclica" ma è appunto un'educazione "wiki", iperveloce, che passa subito lasciando il tempo che trova. Veloce da assimilare e quindi comoda, adatta alle esigenze della vita moderna.

Ma in realtà nemmeno Wikipedia riesce ad essere davvero politicamente neutrale. C'è evidentemente una visione ideologica anche dietro a un simile progetto, e nella scelta di strutturarlo in tal modo (senza struttura). Il problema grosso, forse, è che qui si può parlare di ideologia proprio nel senso marxiano della parola, ovvero di sovrastruttura che ha lo scopo subdolo di mascherare i reali e concreti rapporti di produzione.

Sotto le parole d'ordine della democraticità e della condivione viene ad esempio mascherato lo strapotere degli amministratori nel decidere anche quanto fa 2+2, nel nome della regola della maggioranza e della rappresentatività. Nel nome della neutralità viene fatto passare il concetto che tutte le idee sono egualmente rispettabili purché un numero (piccolo) sufficiente di persone le sostenga, e devono quindi trovare spazio nel progetto, non importa quanto deviate esse siano. Anche se non è possibile, quindi, inserire le teorie creazioniste nella voce dedicata a Darwin, si lasciano liberi i creazionisti di creare le loro voci e di riempirle di ciò che desiderano, ammucchiando nozioni su nozioni per dare una falsa impressione di autorevolezza alla voce. Non si può sostenere, infine, che sia politicamente neutrale un repertorio di informazioni che assegna una singola voce a ciascun personaggio dei Pokemon, dandole la stessa dignità che viene data a Joyce ed Einstein.

Se l'Encyclopédie di Diderot e d'Alembert ha preparato il terreno per la Rivoluzione Francese, ci si può ben chiedere quale rivoluzione politica si stia preparando in nome dello wiki-pensiero. Quale società prefigurino gli ideali veloci, wiki, dei seguaci di Beppe Grillo. La nuova democrazia contro la casta, dove invece del più autorevole vince chi strilla più forte e ha più seguaci, a prescindere da quel che dice.