lunedì 5 marzo 2012

il teorema Cencelli



Vi prego di guardare questo video (che non riesco a embeddare sennò l'avrei embeddato).

Io non ho la minima idea del perché, il giorno 27 febbraio del 2012, al Tg2 abbiano deciso di dedicare un approfondimento di 3 minuti e mezzo al famoso manuale Cencelli. Una nostalgia per la Democrazia Cristiana e i meccanismi della prima Repubblica (che in effetti sono gli stessi della seconda)? Semplicemente un modo come un altro per non parlare dell'attualità? boh. Certo, come mi è stato fatto notare, colpiscono anche quelle sequenze montate alla fine con le interviste ai parlamentari in stile Iene, salvo che gli onorevoli rispondono tutti bene e ci fanno una gran bella figura, cose che danno un significato concreto a espressioni abbastanze logore quali "telegiornale di regime".

Sia come sia, l'argomento ha il suo interesse, e al di là dello stupore in realtà mi sarebbe piaciuto vederlo ancora maggiormente approfondito, in modo che si svelasse del tutto l'esatta formula che stava alla base della ripartizione delle cariche fra i vari partiti. Sembra infatti che, nonostante si parli sempre di "manuale Cencelli", un vero e proprio manuale, nel senso di testo stampato e in circolazione, non sia mai esistito.

In realtà, dalle scarne notizie che trovo in rete, ho l'impressione che non si tratti neanche di una vera e propria formula, ma piuttosto di una euristica dove quel che conta non è tanto il metodo preciso di spartizione, improntato a una fumosamente definità "equità", ma il punteggio assegnato a ciascuno carica (quanti sottosegretari all'Ambiente vale un Ministro dell'Interno?). E i cui criteri erano e sono ancora oggi continuamente aggiornati, ad esempio tenendo conto anche della rappresentanza geografica oltre che di quella partitica. E quando ci sono troppe variabili temo anche che un algoritmo esatto diventi pressoché impossibile, un po' come il problema di compilare un orario scolastico che tenga conto delle esigenze di tutti i professori (problema che come alcuni sapranno appartiene a NP, che fondamentalmente vuol dire che una soluzione ottimale esisterebbe ma non vale la pena cercarla perché anche il computer più veloce del mondo ci impiegherebbe troppo ed è meglio adattarsi all'imperfezione).

Dal punto di vista intellettuale, logico-matematico, però, è proprio l'algoritmo preciso, ovvero il modo in cui definiamo l'equità che è più interessante. Nel video si ha l'impressione che Cencelli adotti una formula in fondo molto semplice, dove la percentuale di poltrone (fatti salvi i diversi punteggi assegnati alle diverse poltrone) deve più o meno rispecchiare la percentuale dei voti presi dal partito o dalla corrente della coalizione (ovvero se la Lega ha preso il 30% dei voti della coalizione e il PdL ha preso il 70%, allora bisogna dare il 30% delle poltrone alla Lega e il 70% al PdL). Ma si tratta solo di un posssibile criterio, e non è affatto detto che sia davvero il migliore (il fatto poi che Cencelli alluda alle regole per comporre i consigli di amministrazione delle aziende mi fa credere che pure lui in realtà abbia in mente qualcosa di simile a quello di cui parlerò in seguito).

Si tratta di una classe di problemi che appartengono alla teoria dei giochi, e più precisamente ai "giochi cooperativi". Formulato generalmente il problema è: in che modo misurare il contributo che ciascun giocatore fornisce alla squadra di cui fa parte, e quindi individuare un criterio sensato di spartizione del bottino? Facciamo un esempio semplicissimo: Alice suona il piano e Bob la tromba. Alice col suo mestiere di pianista guadagna 2000 euro al mese. Bob col suo mestiere di trombettiere ne guadagna solo 1000. Ma viene proposto a entrambi di formare un duetto, e siccome la sinergia fra loro funziona egregiamente il loro stipendio come coppia arriva a 5000 euro. Come spartirsi i 5000 euro? Apparentemente il criterio più equo sembrerebbe quello di dividerseli a metà, ma in questo modo il talento superiore di Alice come pianista non verrebbe rispecchiato. Un altro criterio, probabilmente migliore, può essere quello di spartirsi equamente solo il surplus generato dalla coalizione. Ovvero, dato che insieme Alice e Bob guadagnano 2000 euro di più della somma dei loro stipendi da solisti, Alice dovrebbe prendere 2000 + 1000 = 3000 euro, e Bob 1000 + 1000 = 2000 euro. Comunque una qualsiasi spartizione in cui nessuno dei due guadagna meno di quanto guadagnerebbe senza l'altro potrebbe essere considerata razionalmente accettabile e conveniente per entrambi, anche se non del tutto "equa". Persino quella dove Alice suona il piano per 2001 euro e Bob la tromba per 2999 euro.

La faccenda si fa più complicata, e assomiglia maggiormente alla dinamica dei gruppi parlamentari, quando gli attori in gioco sono più di due e quando è possibile formare più coalizioni alternative che ambiscono al medesimo premio, dove allora vediamo che non è più solo una questione di equità ma soprattutto di equilibrio, ovvero del potere di contrattazione che i singoli membri della coalizione hanno, potendo minacciare di formare altre coalizioni.

Esempio: ipotizziamo un Parlamento fittizio, con 100 parlamentari divisi in 4 partiti di diversa entità numerica, e ipotizziamo che esista un numero fisso di 20 poltrone (ministeri e sottosegretariati) da spartirsi fra tutti i partiti della maggioranza. È subito chiaro che se esistesse un partito che da solo contasse 51 parlamentari questo partito non avrebbe bisogno di allearsi con nessuno per governare e potrebbe accaparrarsi tutte le cariche da solo (in questa simulazione facciamo finta che ogni parlamentare rimanga sempre fedele al suo partito, quindi che non esistano gli Scilipoti).

Ma se il partito di maggioranza relativa non ha la maggioranza assoluta è allora costretto ad allearsi con qualcun altro, e in questo caso il premio dato a ciascun alleato non può dipendere solo dal suo peso numerico, ma da quanto è importante per la vittoria della coalizione. Ora, se c'è un partito facente parte della coalizione i cui parlamentari però non sono fondamentali per ottenere la fiducia in Parlamento, allora  in prima istanza potremmo aspettarci che quel partito non ottenga nemmeno una poltroncina. Ma riflettendoci meglio ci accorgiamo che non è esattamente così. C'è sempre il rischio, infatti, che quel partito e un altro della stessa coalizione si accordino per formare un'altra maggioranza includendo partiti che prima erano fuori dalla coalizione ed escludendone gli altri. Cosa che infatti è successa nella presente legislatura, con i finiani che esclusi dalla vecchia maggioranza in quanto non necessari al raggiungimento della fiducia, adesso sostengono Monti insieme al Pdl e al Pd (che prima era all'opposizione) escludendo la Lega. Quel che conta quindi non è solo quanto un partito è determinante per l'attuale maggioranza, ma quanto potrebbe esserlo in tutte le possibili combinazioni di accordi. Quando invece un partito non solo non è determinante, ma neanche potrebbe esserlo in una qualsiasi coalizione, possiamo stare praticamente certi che non otterrà nulla.

Insomma, c'è una formula matematica precisa per stabilire, dato v(S) il valore totale di qualsiasi cosa da distribuire ai membri di una squadra S (potrebbe essere appunto il numero di poltrone – incarichi di governo), quanta parte di v(S) va data a ciascun membro i della coalizione, in funzione di quanto contribuisce al successo della coalizione. L'ha inventata un Cencelli d'oltreoceano, tale Lloyd Shapley, nel 1953. Tale valore (la quota da assegnare a ciascun giocatore o partito della coalizione) è detto appunto "valore di Shapley", ed è uno dei più importanti risultati della teoria dei giochi.

La formula ha un aspetto non troppo rassicurante (questa è una delle sue possibili rappresentazioni):


ma è spiegabile, tenendo a mente quel che abbiamo detto finora. La parte finale della formula, quella che segue la frazione, è quella più interessante e rappresenta appunto il contributo dato dal partito i alla coalizione S. Ovvero la differenza fra il premio v(S) dato alla coalizione con i, e il premio dato alla stessa coalizione ma senza i.  Nel nostro esempio questa differenza può avere solo i valori 0 e 20 (che ricordiamo essere il numero delle poltrone). Insomma il contributo dato da i può essere solo quello di permettere o non permettere di avere una maggioranza parlamentare.

La parte con la frazione invece rappresenta la probabilità che il partito i riesca ad essere effettivamente determinante nel formare una maggioranza aggiungendosi alla coalizione S, cosa che dipende anche dal tempismo con il quale decide di aggiungersi alla coalizione.  Spiego: assumendo che il valore dell'ultima parte della formula non sia pari a zero – nel qual caso il momento in cui i decide di aggiungersi alla coalizione non conta – e dato N il numero dei partiti, il denominatore N! (ovvero tutte le permutazioni dell'insieme di N partiti), rappresenta tutti i modi possibili di formare una grande coalizione (la coalizione formata da tutti i partiti) mentre il numeratore rappresenta il sottoinsieme, fra tutte queste possibilità, in cui il partito i si aggiunge ad S in tempo per essere determinante (ovvero prima che una maggioranza si sia già formata). Tutto questo infine, va ripetuto per ogni possibile coalizione S sommando i vari risultati (e questo spiega il simbolo della sommatoria presente prima della frazione).

Come si vede, quindi, il peso elettorale del singolo partito non conta quanto si potrebbe pensare, perché un partito potrebbe essere determinante, e quindi meritare una larga percentuale di poltrone, anche con pochissimi parlamentari, anche se naturalmente più sono i parlamentari, più sono le possibili coalizioni in cui il contributo del partito è utile a formare una maggioranza.

Supponiamo quindi che alle prossime elezioni si presentino questi 4 partiti e che conquistino i seguenti seggi (il totale è sempre 100):

Partito Democratico: 35
Popolo delle Libertà: 30
Lega: 21
Movimento 5 stelle: 14

Le possibili coalizioni, escludendo l'insieme vuoto, sono le seguenti, e accanto a esse ci metto il loro valore in poltrone (0 o 20):

(Pd = 0) (Pdl = 0) (Lega = 0) (M5S = 0) (Pd + Pdl = 20) (Pd + Lega = 20) (Pd + M5S = 0) (Pdl + Lega = 20) (Pdl + M5S = 0) (Lega + M5S = 0) (Pd +Pdl + Lega = 20) (Pd + Pdl + M5S = 20) (Pd + Lega + M5S = 20) (Pdl + Lega + M5S = 20) (Pd + Pdl + Lega + M5S = 20)

Ora possiamo calcolare il valore di Shapley per ognuno dei 4 partiti, che di è 0 per il Movimento 5 Stelle, e di 6,6 periodico per tutti gli altri. È chiaro infatti che il Movimento 5 Stelle non potrà mai essere determinante in nessuna possibile coalizione (non esiste una coalizione che riesce a vincere grazie al suo contributo) e questo lo penalizza. Per ognuno degli altri 3 partiti, invece, possiamo vedere che contribuiscono al successo della coalizione in almeno 4 casi (fra tutte le coalizioni in cui compaiono). In 2 di questi casi si tratta di coalizioni con 2 partiti, e in altri due casi di coalizioni con tre partiti. Questo ci dà la formula:

(((4-2)! (2-1)! )/ 4!) * (20* 2)) +  (((4-3)! (3-1)! )/ 4!) * (20* 2)) = 20/3 = 6,6 periodico

Questo ci dice che nonostante il diverso peso elettorale i tre partiti maggiori hanno tutti la stessa importanza e hanno diritto alla stessa quota di spartizione, qualora decidessero di formare una grande coalizione. Possiamo divertirci a cambiare i numeri e vedere cosa succederebbe nel caso in cui:

Partito Democratico: 40
Popolo delle Libertà: 30
Lega: 20
Movimento 5 stelle: 10

In questo caso il Pd avrebbe 8,3 periodico poltrone, il Pdl e la Lega 5 poltrone a testa, e il M5S 1,6 periodico poltrone.

Il problema di questo approcio, però, è che il valore di Shapley calcola solo le spartizioni fra i partiti che decidono di aderire a una grande coalizione, cosa che in certi contesti ha senso, ma che in politica nella pratica avviene raramente. Nella formula si assume anche che tutti i modi di formare grandi coalizioni (le permutazioni dell'insieme dei partiti) siano a priori equiprobabili, e che aderire alla grande coalizione sia sempre nell'interesse di tutti (o almeno non a detrimento), ma anche questo nella pratica non è plausibile, in quanto le avversità ideologiche possono rendere più difficile un'alleanza rispetto a un'altra (oppure essere impopolare per l'elettorato).

Nella realtà ad esempio è più probabile che la Lega e il Pdl (tornando alla prima ipotesi di voto) formino un'alleanza che esclude il Pd. In questo caso come si spartirebbero il bottino? Beh, ritengo (ma posso sbagliare) che farebbero come Bob e Alice, ovvero si spartirebbero equamente il surplus generato dal loro accordo (la quota di 6,6 periodico poltrone che spetterebbero al Pd) e quindi finirebbero con l'avere 10 poltrone a testa. Nella seconda ipotesi di voto, e seguendo questo criterio, se il Pdl, la Lega e il M5S si alleassero insieme per escludere il Pd finirebbero con l'avere: il Pdl e la Lega 7,7 periodico poltrone ciascuno, e il M5S 4,4 periodico poltrone.

E niente, se siete arrivati in fondo a questo post, originato e stimolato da un servizio del Tg2 su Cencelli, non so se avrete imparato qualcosa ma di certo avrete avuto una testimonianza di un certo mio autismo nel modo di pensare alle cose. Non badateci troppo, non sono pericoloso, non molto.