venerdì 12 novembre 2010

ecologisti e kamikaze


Il comportamento umano è uno dei materiali (checché ne dicano certi psicologi) meno malleabili e più difficili da trattare che esistano. Se volete risolvere un problema con la vostra automobile, portatela dal vostro meccanico, e ci sono ottime probabilità che lo risolverà. Se perde il lavandino, chiamate l'idraulico. Vi costerà un occhio della testa, ma il lavandino dopo funzionerà correttamente. Ma se avete un problema da gestire con una persona, o peggio ancora con una massa di persone, con una collettività, cominciate a invocare tutti gli dei che conoscete, anche quelli mai esistiti (non si sa mai).

Non che sia impossibile far fare a qualcuno quello che si vuole, solo che a volte è meno facile di quello che sembra, e spesso ci sono conseguenze e contraccolpi imprevisti delle nostre "strategie", perché il comportamento umano è una cosa estremamente complessa, che non risponde a rigide leggi meccaniche. Uno dei settori più ricchi di esempi, è quello del traffico, esplorato con una certa abilità divulgativa da Tom Valberbilt nel libro Trafficologia.

Supponiamo che una strada appaia come pericolosa perché eccessivamente stretta e trafficata, e si decida di porre rimedio raddoppiando la carreggiata: l'esito più probabile, anche se paradossale, di questo rimedio, è un aumento del numero di incidenti stradali su quel tratto di strada. E la causa di questo è proprio l'aumentata percezione di sicurezza, che fa allentare troppo l'attenzione di chi guida, che quindi si mette a correre più veloce e fa più incidenti. In altre parole, più una strada è sicura, meno lo è.

Non solo la strada sarà più pericolosa, ma probabilmente non verrà risolto nemmeno il problema della congestione stradale, perché non appena si spargerà la voce molti più autisti di prima decideranno di fare quel percorso, invece di farne uno alternativo, e quindi il numero complessivo di macchine che circolano su quel tratto aumenterà vanificando quel che si è ottenuto raddoppiando la carreggiata. Senza contare che la nuova strada può attirare investimenti e attività immobiliari lungo il proprio percorso (un cittadino potrebbe decidere, per esempio, che ora che c'è quella strada potrebbe anche valere la pena di andare ad abitare venti chilometri fuori dal centro), e quindi nuovo trafffico.

Per risolvere il problema del traffico, quindi, occorre un'altra strategia. Una potrebbe essere quella di convincere tutti a fare un uso maggiore di mezzi pubblici, o della bici, o addirittura andare a piedi, facendo appello alla responsabilità personale e al senso di sacrificio. È un approccio che ha scarse possibilità di successo, come si può immaginare. Le persone sono mediamente egoiste, e non sacrificano volentieri il loro interesse personale per il bene comune, a meno che non siano estremamente ben motivate, tipo i kamikaze giapponesi, che forse però non rappresentano un esempio troppo positivo. Il noto "dilemma del prigioniero", in teoria dei giochi, illustra come questa ricerca del proprio tornaconto possa ritorcersi contro di noi, senza che ciò ci persuada a cambiare atteggiamento.

Le persone rispondono agli incentivi, e allora, visto che tendono a pensare a se stesse, un modo per costringerle a cambiare atteggiamento potrebbe essere quello di tassare la circolazione stradale. Questo non si potrebbe neanche definire un provvedimento illiberale, perché consisterebbe semplicemente nel far pagare ai singoli individui la risorsa comune da loro utilizzata a scapito della comunità. È il noto problema delle "esternalità": alcune nostre azioni hanno inevitabilmente dei costi (o a volte anche dei benefici) anche per gli altri. Se decido di fare un'orgia a casa mia di notte con sei cubiste minorenni ubriache, può darsi che poi i vicini si lamentino per i rumori molesti, per non parlare delle tracce di vomito e altri residui organici sul pianerottolo. Se decido di imboccare una strada durante l'ora di punta, devo tener presente che la mia azione contribuirà alla congestione del traffico generale: l'ideale sarebbe che meno persone circolassero, in modo da tenere libera la strada per gli altri, ma chi decide chi far circolare e chi no? Introducendo un pedaggio (magari proporzionale proprio al livello di congestione presente in un dato momento) ci si assicura che solo chi ha più bisogno affronti quel costo, e costui trarrà comunque beneficio dal tempo guadagnato.

Ma anche questo approccio degli incentivi, benché più sensato e razionale del precedente, non garantisce risultati certi, in virtù dell'imprevedibilità di cui dicevamo, e può anzi avere effetti indesiderati. Un esempio (tratto da un caso reale): in un certa scuola elementare molti genitori hanno la tendenza a presentarsi in ritardo rispetto all'orario di chiusura per venire a prendere i figli, costringendo il personale ad aspettarli. La direzione decide allora di istituire una lieve multa per chi arriva tardi, in modo da incentivare la puntualità. Ebbene, il probabile esito di una simile strategia è un aumento dei ritardi. L'introduzione della multa libera i genitori dal senso di colpa per il ritardo e incentiva, in effetti, a fregarsene: dopotutto stanno pagando per tenere i figli a scuola oltre l'orario. Un piccolo memento del fatto che le persone non sono automi e l'ingegneria sociale non è una scienza semplice.

Oppure, meglio ancora, qualcuno potrebbe inventare un nuovo mezzo di trasporto. Una versione economica e alla portata di tutti del teletrasporto di Star Trek, ad esempio, risolverebbe un sacco di problemi. Purtroppo allo stato attuale la scienza non pare molto vicina a una scoperta del genere, per cui dobbiamo sperare in qualcosa di meno definitivo (ma non disperare in qualcosa che possa migliorare l'esistente, almeno).

Come noto, esiste un certo problema, che tiene sveglia molta gente, che consiste nel fatto che negli ultimi decenni la temperatura globale del pianeta sembra essersi alzata di qualche decimo di grado, il quale innalzamento potrebbe essere causato dall'attività umana, e dal rilascio nell'atmosfera di sostanze (i gas serra) che intrappolano il calore solare nell'atmosfera e non gli permette di disperdersi nel cosmo. Fino a qualche anno fa lo scetticismo su tali affermazioni aveva delle giustificazioni, ma oggi il consenso sulla realtà effettiva del riscaldamento è molto vasto, e anche quello sull'impatto dell'attività umana, mentre persiste, a mio avviso giustamente, una certa resistenza all'allarmismo, per non dire catastrofismo, di certi ambientalisti, e ai rimedi proposti da alcuni di loro.

Uno di essi, forse il più famoso di tutti, ovvero Al Gore, ha ricevuto anche un premio Nobel, quindi si potrebbe pensare che la soluzione che egli prospetta al problema sia la più pragmatica ed efficace, e quella con le maggiori probabilità di funzionare. E infatti, indovinate quale soluzione propone Al Gore? Dice che dobbiamo diventare tutti più buoni, essere più sensibili rispetto al bene del pianeta, smettere di inquinare, e cessare la corsa al progresso e al benessere materiale. E magari metterci una bandana in testa e urlare "Banzai!" mentre ci immoliamo per la causa. Un genio, certo.

Il problema, col riscaldamento globale, è che non è stato ancora individuato un sistema di incentivi efficace che prometta risultati concreti e che sia al tempo stesso abbastanza equo. Nel senso che dopo aver tratto beneficio per oltre due secoli dalla Rivoluzione Industriale sarebbe un po' inelegante, da parte delle nazioni occidentali, pretendere che paesi come India e Cina si comportino in maniera più virtuosa e responsabile (magari minacciando sanzioni) e rinuncino alla loro crescita economica. Senza contare che potrebbe essere troppo tardi, e che se anche con uno sforzo titanico riuscissimo a ridurre quasi a zero le emissioni di gas serra gli effetti si vedrebbero, forse, fra qualche decennio. È difficile impegnare un pianeta intero a un grosso sacrificio in vista di risultati nient'affatto garantiti e a lunghissima scadenza. Possiamo parlare di egoismo quanto si vuole, ma è con la razionalità che dovremmo prendercela.

Oppure possiamo inventare l'equivalente del teletrasporto e risolvere il problema del riscaldamento globale (quasi) senza sforzo. È l'approccio della geo-ingegneria che, ahimè, non sembra molto ben visto da molti ecologisti. Per esempio, e secondo quanto prospettato, fra gli altri che se ne occupano, nell'ultimo capitolo di Superfreakonomics (il seguito del bestseller di Steven Levitt e Stephen Dubner), si potrebbe riempire la stratosfera con relativamente modeste quantità di biossido di zolfo (che avrebbe l'effetto di riflettere i raggi solari e quindi raffreddare il pianeta). Come? con un piccolo tubo, ovviamente il più leggero possibile, tenuto su con dei palloni. Di primo acchito sembra un po' fantascientifico, ma fra le soluzioni studiate potrebbe essere la più economica e pratica, e avrebbe un costo minimo, soprattutto se confrontato con gli enormi costi degli accordi di Kyoto. Oppure, se non piace, si potrebbe aumentare artificialmente la quantità di nuvole negli oceani sparando ad alta quota i nuclei di condensazione (il sale marino) adatti alla formazione delle nubi (che rifletterebbero, ancora una volta, i raggi solari).

Rimedi che sono visti come eresie da moltissima gente (compreso il genio premio Nobel di cui sopra, Al Gore) per il fatto che… non sta bene alterare il naturale equilibrio del pianeta. Ma perché, fino ad ora cos'abbiamo fatto? non è proprio perché (a quanto si dice) abbiamo immesso troppi gas serra in atmosfera che ci troviamo in questa situazione? si dice anche che il rimedio potrebbe avere, anche in questo caso (dato che pure gli ecosistemi sono complessi) effetti non previsti e potenzialmente catastrofici. Quello di cui quest'obiezione non tiene conto è che in un certo senso si tratta invece di rimedi già testati. Il biossido di zolfo non sarebbe nemmeno il gas più efficace per raffreddare l'atmosfera ma è quello che talvolta viene sparato nella stratosfera dai vulcani in eruzione, ottenendo proprio un raffreddamento del clima globale. L'idea è semplicemente quella di non aspettare una serie fortuita di eruzioni catastrofiche, ma di immettere noi stessi la quantità necessaria di biossido di zolfo (processo controllabile e arrestabile in qualsiasi momento).

Per quanto riguarda l'altra idea (aumentare le copertura nuvolosa sugli oceani) è quello che già succede, in parte, grazie alle scie di condensazione degli aerei, che pare abbiano proprio un certo effetto anti-riscaldamento (complottisti delle scie chimiche, eccovi un bell'osso da addentare).

Si tratta di rimedi, ripeto, che sembrano provocare un immediato moto di ripulsa nella maggior parte delle persone (basta fare una ricerca su "geoingegneria" e leggere un po' di commenti in giro), e che quindi potrebbero fallire non perché intrinsecamente poco adatti, ma perché politicamente improponibili. Eppure, trovo molto divertente che maggiore è il grado di catastrofismo nei confronti dei possibili futuri scenari, maggiore è lo scetticismo nei confronti di questo tipo di rimedi: "Moriremo tutti! ma non fate niente, perché sarebbe peggio, preghiamo e basta". Questa naturalmente non è scienza, è millenarismo. È una religione fondamentalista, non troppo diversa dal fanatismo dei kamikaze di una volta.