mercoledì 25 febbraio 2009

preparate le uova marce

Solo una rapida segnalazione, raccogliendo l'invito di Dario Bressanini sul suo blog.

Percy Schmeiser, tipico esempio di "furbetto" del quartierino eco-compatibile e antiglobale, sta per arrivare in Italia, invitato a tenere un tour dai soliti noti. La sua storia è ricostruita, oltre che da Bressanini, nel blog della sempre brava Anna Meldolesi, e su Biotecnologie, basta bugie.

Queste le tappe del tour:

26 febbraio ore 18 Milano (Hotel ATA Fiera in Viale Boezio). Interverranno anche Giulia Maria Mozzoni Crespi (presidente del Fai Fondo per l’ambiente italiano e conduttrice dell’azienda agricola biodinamica Cascine Orsine), Joseph Wilhelm (presidente della società tedesca di prodotti biologici Rapunzel e promotore della marcia europea No-OGM), Fabio Brescacin (amministratore delegato di Ecor/NaturaSì).

27 febbraio ore 20,30 Bologna (Ambasciatori, via Orefici 19), Interverranno l’assessore regionale all’agricoltura Tiberio Rabboni, il preside della facoltà di Scienze agrarie Andrea Segrè, il presidente di FederBio Paolo Carnemolla e il responsabile Innovazione e valori di Coop Italia Claudio Mazzini.

2 marzo ore 18 Firenze (Ospedale degli Innocenti, piazza SS. Annunziata). Interverranno Ugo Biggeri (Terra Futura), Maria Grazia Mammuccini, amministratrice dell’Arsia/Regione Toscana e Viviano Venturi, agricoltore custode toscano.

4 marzo ore 10,30 Roma (Confederazione italiana agricoltori, Via Mariano Fortuny 20). Interverranno il presidente nazionale Cia Antonio Politi, il presidente nazionale Legambiente Vittorio Cogliati Dezza e il presidente di Legacoop agroalimentare Luciano Sita.


Raccomanderei chi volesse partecipare agli incontri di prepararsi in anticipo una bella scorta di uova di domande da lanciare al soggetto. Ad esempio, come mai, quando si è accorto che il suo campo di colza era stato, ahimé, "contaminato" dalla schifosissima varietà OGM, invece di distruggerla abbia provveduto a seminarne 417 ettari, e perché ha deciso di scandalizzarsi solo quando l'hanno beccato con le mani nella marmellata?

Rivolgerei alcune domandine anche agli organizzatori degli incontri: ad esempio vorrei sapere quand'è che pensano finalmente di eleggere Fabrizio Corona a maître a penser della sinistra radicale. In fondo, peggio di così non può andare.

sabato 21 febbraio 2009

da Bettelheim a Povia

All’età di 9 anni Richard vide il suo fratello Stephen, di anni 6, morire per una caduta dalle scale nel corso di un gioco a nascondino finito male. Stephen era a casa per un breve periodo di vacanza, perché la sua residenza abituale era un istituto per bambini psicotici, gestito da un famoso luminare della psico-pedagogia. La memoria del tragico incidente domestico venne fondamentalmente rimossa dalle cronache familiari fino a quando, anni dopo, un Richard ormai adulto non decise di andare a trovare il famoso luminare per avere informazioni su quel fratellino precocemente scomparso.

Si sentì dire inspiegabilmente che la morte del fratello era stata senz’altro un suicidio, e che la colpa ricadeva interamente sui genitori di Stephen (“voi lo avete ucciso”), colpevoli di averlo voluto reintrodurre nell’ambiente “tossico” familiare nonostante il parere contrario del luminare. La cattiva di turno era specialmente la madre, una strega colpevole di aver rifiutato il figlio alla nascita, mentre il padre veniva descritto con disprezzo come un “ebreo” debole e sempliciotto.

Il luminare si chiamava Bruno Bettelheim, le cui opere pieni di amorevoli consigli ai genitori (Un genitore quasi perfetto) vengono ancora vendute a pacchi nelle librerie e regalate ai fortunati neo-padri o neo-madri. Richard invece è Richard Pollak, autore di una voluminosa biografia di Bettelheim (The Creation of Doctor B.) che ne fa a pezzi il mito, denunciandolo come un impostore, un bugiardo patologico, e soprattutto come un crudele seviziatore dei bambini posti sotto la sua tutela.

La biografia di Pollak è ovviamente animata da un certo rancore personale, ma le sue accuse confermano analoghe denunce che vennero fuori dopo la morte di Bettelheim per suicidio nel 1986, e soprattutto pare che sia ben documentata (non sono riuscito a procurarmi una copia del libro). Ma anche se non sapessimo niente della sua condotta personale, la memoria di Bettelheim dovrebbe comunque essere consegnata all’infamia puramente in virtù della sua opera scritta. Egli infatti è anche stato il principale promotore della teoria dell’autismo infantile come malattia psicologica legata allo stress ambientale, e nello specifico causata dal comportamento dei genitori.

Immaginate di avere un figlio autistico, un bambino con il quale non solo non riuscite ad avere una normale comunicazione verbale, ma non riuscite neanche a stabilire un contatto oculare. Già non dev’essere facile. Immaginate poi di capitare in una libreria, di prendere in mano un libro dal titolo La fortezza vuota, e vedervi paragonati in quelle pagine a guardie naziste in un campo di concentramento, oppure descritte come “madri-frigorifero”, capaci di dare solo sostentamento alimentare alla vostra creatura, e nient’altro. Non è molto simpatico.

Oggi la teoria psicogenetica dell’autismo è caduta totalmente in disgrazia, e sebbene tale malattia sia ancora avvolta nel mistero si pensa principalmente a cause di tipo organico (ma qualcuno ha individuato un nuovo capro espiatorio nei vaccini). Però non è ancora diventato fuori moda incolpare i genitori, o l’ambiente familiare in genere, di qualsiasi insuccesso personale o difetto caratteriale riscontrato nelle persone adulte. Secondo Povia “Luca era gay” per colpa di una madre troppo gelosa e un padre assente (ma per fortuna “adesso sta con lei”). Hillary Clinton invece giustificò le scappatelle del marito sostenendo che aveva avuto un’infanzia difficile, fornendo uno splendido alibi a chiunque sia rimasto orfano in tenera età.

L’idea che il comportamento dei genitori abbia un’influenza decisiva sullo sviluppo della personalità di ciascuno di noi, e che crescere in una cosiddetta famiglia “disfunzionale” possa avere effetti permanenti e potenzialmente distruttivi, è alla base di qualsiasi testo o manuale di puericultura, sebbene l’evidenza empirica a ben guardare sia piuttosto scarsa. Judith Rich Harris è la studiosa americana che per prima ha avuto il coraggio di sfidare apertamente il “dogma dell’allevamento”, col libro The Nurture Assumption (è pubblicato in Italia da Mondadori, ma il titolo italiano è ingannevole).

A prima vista sembra una tesi del tutto irragionevole: tutti noi abbiamo sentito di persone abusate da piccole che poi tendono in età adulta a replicare il comportamento violento nei confronti dei propri figli. Chi ha sofferto per una certa instabilità familiare tenderà a sua volta a creare legami sentimentali piuttosto precari. Se avete dei genitori illetterati che non ci pensano nemmeno a portarvi al museo, a comprarvi dei buoni libri, e darvi degli adeguati stimoli culturali, crescerete a vostra volta ignoranti e senza interesse per la cultura. E inoltre, chi ha entrambi i genitori alti e biondi, difficilmente diventerà basso e scuro…

Vale a dire che gli psicologi che si sono occupati della questione hanno quasi sempre trascurato, per loro deformazione professionale, le influenze puramente genetiche sul comportamento. Non c’è bisogno di essere dei terribili riduzionisti per arrivare a tale conclusione: il punto è che qualsiasi ricerca sugli effetti delle cure parentali che trascuri di considerare la variabile dell’eredità genetica non può dimostrare niente. Tali variabili vanno filtrate, prima di saltare a delle conclusioni.

La genetica comportamentale è in grado di effettuare un simile filtraggio, confrontando le “differenze” nella personalità fra gemelli omozigoti o semplici fratelli (o persone non imparentate), cresciuti nella stessa famiglia, oppure separati alla nascita e cresciuti in famiglie diverse. Ebbene, le ricerche di genetica comportamentale stabiliscono che i geni sono responsabili del 50% delle variazioni nei risultati dei test sulla personalità, mentre il restante 50% è da attribuire all’ambiente.

Vuol dire che due gemelli identici tendono ad essere più simili fra di loro che due gemelli eterozigoti, e due fratelli tendono ad essere più simili che due persone non imparentate, e questo sia che siano cresciuti nello stesso ambiente oppure no (in molti avranno sentito la storiella dei due gemelli separati alla nascita che per combinazione fanno lo stesso mestiere, hanno lo stesso tipo di cane, si vestono nello stesso modo, amano le stesse pietanze, ecc.). Ma se i geni sono responsabili solo al 50% delle variazioni nella personalità allora il restante 50% è tutto merito (o colpa) dei genitori, giusto? Sbagliato.

Quel 50% attribuito all’ambiente è semplicemente quel che resta fuori una volta misurato il fattore genetico, il che non significa che siamo in grado di stabilire una causa precisa per quelle variazioni nel comportamento che non sono spiegate dai geni. In particolare, risulta che essere allevati dagli stessi genitori non spiega un bel niente. Due fratelli cresciuti in famiglie diverse saranno diversi fra loro, ma non più diversi di due fratelli cresciuti normalmente nella stessa famiglia, mentre due fratelli adottivi (ovvero non imparentati) cresciuti nella stessa famiglia saranno altrettanto diversi che due persone qualsiasi cresciute in famiglie diverse (anche qui, però, bisogna stare attenti a filtrare le variabili del censo e della cultura di appartenenza). Qualunque cosa sia che rende le persone quello che sono, non sembra essere l’educazione familiare. Fine del dogma dell'allevamento.

In conclusione, Povia si sbaglia: se Luca era gay, probabilmente ci è nato, oppure qualcosa ce lo ha fatto diventare, ma questo qualcosa non è la sua mamma. Comunque stiano le cose, poi, sono cazzi suoi (ma se io fossi in "lei" sarei un po' preoccupato).

domenica 15 febbraio 2009

l'arcivescovo di Costantinopoli

La mossa da un resoconto di tipo strutturalista, nel quale il capitale viene considerato come strutturante le relazioni sociali in modi relativamente omologhi, a una visione dell'egemonia nel quale le relazioni di potere sono soggette a ripetizione, convergenza e riarticolazione, ha portato con sé la questione della temporalità nella concezione della struttura, e segnato uno spostamento da un teoria di tipo althusseriano, che considera come oggetti teoretici le totalità strutturali, a uno nel quale le idee intorno alla possibilità contingente della struttura inaugurano una rinnovata concezione dell'egemonia come legata ai luoghi e alle strategie contingenti di riarticolazione del potere.

È una cosetta che ho pensato stamani, mentre aspettavo che venisse su il caffè...

No, ok, scherzavo. La frase è di Judith Butler, filosofa post-strutturalista statunitense. Qualche anno fa la Butler ha ricevuto, per questo suo pensierino, una sarcastica onorificenza quale autrice della frase scritta peggio tratta da una pubblicazione accademica (si noti che traducendola mi sono sforzato di renderla più leggibile dell'originale, aggiungendo qualche virgola qua e là). La cosa è durata solo 3 anni (dal 1996 al 1998), ma sicuramente perché l'autore dello scherzo si è stancato, e non per la mancanza di materia prima.

Ma ritengo che gli anglofoni siano tutto sommato fortunati, rispetto a noi italiani. Chissà perché, ma quando ho letto quella frase, mi è venuto in mente un certo rinomato professore di pedagogia che insegna nella mia città.

Scusate, praticamente è una vendetta personale (ah, che bella cosa l'anonimato).

mercoledì 11 febbraio 2009

la scimmia volante

So che tutti voi aspettavate con ansia un post sulla scimmia acquatica. Ovvero l'ipotesi secondo cui i primati da cui la nostra specie – l'homo sapiens – discende sono passati attraverso una fase di adattamento a un ambiente prevalentemente o almeno in parte acquatico.

Teoria poco gradita alla maggioranza degli addetti ai lavori, ma che sarebbe in effetti in grado di spiegare alcune delle caratteristiche anatomiche che non si riscontrano negli altri primati ma sono peculiari alla specie umana.

Ad esempio l'abbondante strato di grasso sottocutaneo che sostituisce la pelliccia quale mezzo per conservare il calore, e che è una caratteristica tipica degli altri mammiferi marini, oppure il piedone a forma di pinna.

Ma si tratta in realtà di una teoria superata, per cui non ne parlerò. Di ben altro interesse e attualità, è invece l'ipotesi della scimmia aerea. Vorrei quindi proporvi, sperando di fare cosa gradita, la traduzione di un saggio di Donald Symons (Dipartimento di Antropologia dell'Università di California di Santa Barbara).


"FLOAT": un nuovo paradigma per l'evoluzione umana
di Donald Symons

Le origini evolutive delle caratteristiche umane sono state variamente attribuite al consumo di semi (1), alla caccia (2), all'uso degli attrezzi (3), alla guerra (4) e all'ambiente acquatico (5); ma l'ipotesi più logica ed esaustiva è stata fino ad ora ignorata, forse soppressa. La "teoria del volo per aria", ovvero FLOAT- FLying On Air Theory, come è conosciuta per acronimia (o per acrimonia, nell'ambiente conservatore degli evoluzionisti accademici), dimostra come certe caratteristiche enigmatiche e uniche dell'anatomia e della psiche umana fossero adattative durante la fase aerea dell'evoluzione.
La mancanza di pelliccia rappresenta ovviamente una specializzazione aereodinamica; il bipedalismo è più economicamente interpretato come un adattamento all'atteraggio, in concordanza con le proscimmie lemuriformi le cui lunghe gambe le rendono in grado di saltare e abbarbicarsi, e con gli uccelli; il sedere, e il concomitante strato di grasso ivi deposto nelle femmine mature, funzionava come parte della "sella" nella schiena in cui i bambini erano trasportati (la steatopigia è tipica delle popolazioni che hanno una velocità aerea superiore alla media); i lunghi capelli, in quest'ipotesi, costituiscono le "redini" cui si aggrappavano i bambini; i bambini che invece erano troppo giovani per volare indipendentemente, ma anche troppo grandi per cavalcare in maniera sicura sulla "sella materna", indubbiamente giacevano lungo la schiena della madre, il che spiega l'evoluzione delle maniglie ventrali (seni) nelle femmine mature (6).

Le ali dell'uomo?

Quando il volo (tecnicamente, il comportamento di volo) abbia potuto evolversi, è difficile da stabilire. I nostri parenti più prossimi, scimpanzè e gorilla, non volano (almeno non quando vengono osservati), anche se occasionalmente esibiscono un comportamento di caduta, strettamente correlato, né possiedono i tratti umani di adattamento al volo. Ma se le scimmie fossero "devolute" in una più primitiva condizione per evitare la competizione con gli esseri umani (7), l'antenato comune potrebbe aver avuto delle abilità di volo poi andate perdute nella discendenza scimmiesca (è molto suggestivo il fatto che scimpanzè e gorilla costruiscano nidi sugli alberi).

La lobby degli specialisti in fossili, con la testa piena di pregiudizi, sottolinea l'assenza di resti fossili di uomini alati. Ma il comportamento, come è noto, non può lasciare tracce fossili. La FLOAT non trova la sua verifica nelle rocce ormai prive di vita, ma nella psiche vivente. L'esperienza universale del volo onirico (memoria di specie), testimonia che gli esseri umani volavano non con le ali, ma con la forza di volontà. L'ipertrofia della corteccia cerebrale, quindi, così evidentemente eccessiva per le nostre attuali esigenze, rappresenta l'organo ancestrale del "volere volare". Si consideri, del resto, la simpatetica emozione ispirata dagli uccelli che si librano e volteggiano (falchi, aquile, gabbiani) in opposizione agli uccelli che sbattono le ali.

Il motivo per cui il volo si evolse è ovvio, dati i tanti vantaggi forniti dal volare: nella mobilità, nella fuga dai predatori, nella caccia, nel combattimento, nel mangiare i frutti dei rami più alti, nel localizzare un potenziale partner sessuale, o nell'evitare un partner sessuale già sfruttato.
I motivi per i quali la capacità di volare si è persa invece rimangono oscuri, perché non ci sono apparenti vantaggi nel non volo, tuttavia alcuni indizi possono esere trovati nei sogni, nei cartoni animati, nelle favole, e nei miti. Il sognatore si libra a volontà fino a quando il dubbio non lo assale. I personaggi dei cartoni animati rimangono sospesi a mezz'aria finché non guardano giù. In Peter Pan, i bambini hanno solo bisogno di credere per poter volare, e la perdita di quest'abilità una volta cresciuti suggerisce un legame tra il volo e l'innocenza; Dedalo e Icaro volarono, ma Icaro, alla ricerca di gloria e di esperienze travalicanti i limiti assegnati all'uomo, venne distrutto.
Il significato sessuale del volo, senza dubbio, è inequivocabile; infatti il volo è una metafora consueta per l'incontro sessuale estatico e disinibito. Non a caso ancora oggi le hostess esercitano un potere quasi magico nell'immaginario maschile. Il volo quindi potrebbe essere divenuto disfunzionale a seguito dell'estrema inventiva sessuale resa possibile ad ominidi avanzati e fluttuanti, risultante in collisioni, intrecci, e vari disastri aerei copulatori. La selezione naturale allora avrebbe cominciato a favorire gli uomini che reprimevano la loro conoscenza del volo e quindi la loro indisciplinata sessualità (8). Nella tradizione giudeo-cristiana, non solo il Paradiso è nei cieli, ma tentando Adamo col frutto della "conoscenza", Eva ne provocò la "caduta".

Sciamani volteggianti

Questa ipotesi può essere testata controllando le istanze nelle quali gli esseri umani contemporanei volano. Nell'ipotesi dovremmo aspettarci che il volo: avvenga solo in circostanze inusuali; che sia associato a sentimenti di abbandono sessuale; e che quindi sia accompagnato da conflitto psicosessuale. Fortunatamente è disponibile una larga evidenza. Wilbert (9) sostiene che tutti gli sciamani degli indios Warao del Venezuela (10) volano per visitare i supremi spiriti. Ma lo sciamano novizio può volare solo dopo aver a lungo digiunato e dopo un significativo periodo di astinenza sessuale. Anche se il volo è ripetutamente caratterizzato come estatico, il novizio deve superare vari ostacoli e tentazioni se vuole tornare. Egli comincia il suo viaggio iniziatico fumando un'enorme quantità di tabacco sotto forma di "lungo sigaro" sciamanico. Una volta in aria, è tentato da delle donne: "le vede intente a intrecciare tessuti per indumenti pubici, ma non deve indugiare insieme a loro, né tanto meno avere rapporti sessuali". Ancora in aria, si tuffa attraverso un buco con porte che si aprono e chiudono rapidamente, nel tronco di un enorme albero cavo, dove incontra una immane donna-serpente con "quattro corni colorati e una luminosa palla rosso-fuoco sulla punta della lingua".
Per quanto questo possa anche essere ritenuto un semplice resoconto di quel che accade effettivamente, sembra più probabile che gli eventi narrati siano la mera simbolizzazione dei gravi conflitti psico-sessuali sperimentati dal novizio mentre è in volo, il che non può sorprendere dal momento che si sta impegnando in un'attività che è stata, per innumerevoli generazioni, sfavorita dalla selezione naturale. I dati relativi ai Warao quindi forniscono un supporto inequivocabile sia alle implicazioni della FLOAT che alla stessa teoria.

(1) Jolly, C. "The Seed-eaters: A New Model of Hominid Differentiation Based on a Baboon Analogy." Man, 5:5-26, 1970.

(2) Laughlin, W. S. "Hunting: an Integrating Biobehavior System and its Evolutionary Importance." In Man the Hunter, edited by R. B. Lee and I. DeVore. Chicago: Aldine, 1968.

(3) Washburn, S. L. "On Holloway's 'tools and teeth'." American Anthropologist, 70:97-101, 1968.

(4) Alexander, R. D. "The Search for an Evolutionary Philosophy of Man." Proceedings of the Royal Society of Victoria, 84:99-120, 1971.

(5) Morgan, E. The Descent of Woman. New York: Stein and Day, 1972.

(6) Notando che i maschi adulti probabilmente insegnavano ai figli a volare, B. Langefeld (comunicazione personale) suggerisce che l'ipertrofia genitale possa riflettere il ruolo del maschio quale paracadute.

(7) Kortlandt, A. New Perspectives on Ape and Human Evolution. Amsterdam: Stichting voor Psychobiologie, 1972.

(8) In alternativa, G-A. Galanti (comunicazione personale) suggerisce che la perdita del volo da parte degli ominidi risulti dalla competizione aerea con astronauti provenienti dallo spazio. La FLOAT può adattarsi a questa suggestione. Per merito delle esuberanti acrobazie sessuali aeree dei primi ominidi, alcune ibridizzazioni con gli astronauti furono inevitabili, rendendo conto del mito universale degli antenati simil-divini. Poiché gli ibridi hanno generalmente un basso fitness (11), e le femmine degli ominidi superano i maschi nell'investimento parentale (almeno fino all'Epicene Superiore) (12), la selezione dovrebbe aver operato più fortemente contro l'accoppiamento delle donne con gli astronauti che contro quello dei maschi. Ancora oggi, parole e frasi collegate al volo ("angelo mio", "passerottina mia") sono usate come vezzeggiativi dagli uomini, ma mai dalle donne, e mentre gli uomini mostrano una certa compiaciuta tolleranza nei confronti delle donne che prendono il volo, il caso inverso è più che raro.

(9) Wilbert, J. "Tobacco and shamanistic ecstasy among the Warao Indians of Venezuela." In Flesh of the Gods, edited by P T. Furst. New York: Praeger, 1972. Per quanto, strettamente parlando, sia stato D. E. Brown a portare quest'articolo alla mia attenzione, sicuramente C. S. Lancaster era consapevole della sua esistenza. E siccome la carriera di Lancaster si sta consolidando soprattutto per via dei riconoscimenti in nota, colgo l'occasione di ringraziarlo per questo contributo virtuale.

(10) Da non confondere con i loro vicini, gli Yawnomamo (il popolo annoiato).

(11) Trivers, R. L. "Parental Investment and Sexual Selection." In Sexual Selection and the Descent of Man 1871-1971, edited by B. Campbell. Chicago: Aldine, 1972.

(12) Alii, E. "Snags 'n Snails 'n Sugar 'n Spice: Post-Epicene Sexual Dimorphism in the Hominidae." Journal of Implied Anthropology, 4:1-45, 1974.


P.S. Buon compleanno, Darwin.

sabato 7 febbraio 2009

la storia di Adamo ed Eva

Mi piace lasciarmi trasportare dalle suggestioni che provengono dai commenti, quindi parliamo pure di Eva mitocondriale. Non che io sia un esperto in tale settore di conoscenze, ma trovo che il miglior modo di capire le cose, spesso, consiste nel cercare di spiegarle nella maniera più chiara possibile.

L'Eva mitocondriale, dunque, e come ben spiegato da questo articolo segnalatomi da Dario, è l'antenato comune più recente di tutti gli esseri umani viventi secondo una linea di discendenza esclusivamente femminile. In parole semplici è la mamma della mamma della mamma ... di mia madre, ma anche la mamma della mamma della mamma ... di tua madre o di qualsiasi altra persona. Definita così, la sua esistenza in un certo momento del passato è una necessità logica, almeno una volta accettata la teoria dell'origine comune dell'umanità.

Si presume infatti che tutti i viventi abbiano una e una sola madre. L'insieme delle madri dei viventi, quindi, non può essere più grande dell'insieme dei viventi, e anzi sarà probabilmente molto più piccolo, visto che alcune madri hanno generato più figli. Se quindi ripetiamo l'operazione sull'insieme delle madri, tracciando l'insieme di tutte le nonne, e poi di tutte le bisnonne, e così via, otterremo degli insiemi sempre più piccoli di individui, fino ad arrivare al punto in cui l'insieme è composto da un solo individuo. Tale individuo è l'Eva mitocondriale.

Questa donna, chiunque fosse, non era a conoscenza di essere così speciale e che un giorno i biologi si sarebbero interessati a lei. Non era nemmeno l'unica donna della sua specie vivente all'epoca, e sicuramente non si chiamava Eva di nome e Mitocondriale di cognome. Tuttavia oggi viene chiamata così in omaggio al personaggio biblico di Eva, grazie al fatto fortuito che solo lei, fra tutte le donne che vivevano nella sua epoca, ha avuto una serie ininterrotta di discendenti femmine proseguita fino ai nostri giorni, fra cui si trova sia la madre di Bush che quella di Bin Laden.

Il cognome attuale, invece, deriva dal fatto che il Dna contenuto nei mitocondri delle nostre cellule è differente da quello del nucleo, e a differenza del Dna nucleare non viene ereditato da entrambi i genitori, ma solo dalla madre. Il Dna contenuto nei mitocondri di noi maschietti, ahimé, si trova in un vicolo cieco evoluzionistico: non lascerà discendenti. Quindi il Dna mitocondriale di ognuno di noi è proprio quello trasmessoci da Eva.

Oltre all'Eva mitocondriale, però, deve esistere anche un Adamo Y-cromosomico. Pure il cromosoma Y, infatti, viene ereditato solo dal padre. L'Adamo Y-cromosomico quindi è l'antenato comune più recente di tutti i maschi viventi (le femmine stavolta sono escluse in quanto non hanno il cromosoma Y) secondo una linea di discendenza esclusivamente maschile.

Ora, quello che a volte riesce difficile da capire o visualizzare mentalmente è che, in barba al racconto biblico, Eva mitocondriale e Adamo Y-cromosomico non devono essere affatto moglie e marito. Probabilmente anzi non si conoscevano nemmeno (e magari manco si sarebbero piaciuti) e sono vissuti in epoche differenti. Un'immagine (trovata su Wikimedia inglese) dovrebbe però chiarire il concetto:


Qui Eva ha solo figlie femmine, e ne consegue dunque che suo marito non può in nessun modo essere Adamo (sempre che non si voglia pensar male...). Adamo, in questo schema, non c'è. Nessun quadratino bianco della generazione 1 ha trasmesso il proprio cromosoma Y a tutti i maschi della generazione 6: il quadratino C della generazione 1 è l'antenato per via maschile del primo e del secondo quadratino della generazione 6, ma non degli altri, mentre il quadratino D potrebbe essere l'Adamo del terzo e quarto quadratino dell'ultima fila, ma non degli altri.

Un'altra cosa interessante da notare, del diagramma, è come Eva non sia affatto l'antenato comune più recente di tutti i viventi, o almeno non l'unico. Osserviamo, infatti, il pallino fucsia che si trova nella sua stessa fila, e proviamo a tracciarne la discendenza (tutta). Vedremo che quella donna e suo marito sono gli antenati di tutti gli individui della sesta generazione. La stessa cosa, in realtà, vale anche per il pallino verde e quello arancione. Quindi tutti i contemporanei di Eva possono ambire al titolo di "antenato comune più recente", però sarebbe anche molto semplice tracciare un diagramma dove una coppia di antenati comune a tutta l'umanità si trova in una generazione di molto posteriore a quella in cui si trova Eva.

Si tratta in fondo di una questione probabilistica: ognuno di noi ha quattro nonni (maschi e femmine), ma solo due di questi sono nonne, e solo una è la nonna materna. Ogni generazione indietro, il numero di antenati raddoppia, ma l'antenata in linea materna resta sempre una, quindi in ogni generazione è molto più facile trovare antenati comuni a me e un'altra persona, che antenati comuni per via esclusivamente matrilineare.

Inoltre, siccome il nostro più recente antenato comune dev'essere molto più prossimo di Eva, tutte le contemporanee di Eva o non hanno eredi oggi, oppure sono, con grande probabilità, nostre antenate comuni. Questo perché il più recente antenato comune avrà un gran numero di antenati, che sono a loro volta nostri antenati comuni, e risalendo indietro nelle generazioni aumenta sempre di più la probabilità che chiunque abbia lasciato una discendenza oggi faccia parte di questa catena (qui ho corretto un errore rispetto alla prima versione del post).

Ci si potrebbe chiedere a questo punto cos'ha Eva di tanto speciale da attirare l'attenzione dei biologi, visto che è solo una delle nostre antenate, con l'unica particolarità che ha avuto un gran numero di discendenti femmine. L'unico motivo per cui Eva è più famosa delle sue contemporanee è solo che, grazie alle caratteristiche del Dna mitocondriale, lei è in qualche modo rintracciabile. Ovvero non sapremo mai come si chiamava in realtà e chi fosse di preciso, ma abbiamo una certa idea di quando e dove è vissuta.

Il Dna mitocondriale presente nelle nostre cellule, come detto, è proprio quello di Eva, eccettuate le mutazioni, e a differenza del Dna nucleare non si è mischiato tramite riproduzione sessuata col Dna di altri individui fino a diventare una poltiglia irriconoscibile. Inoltre ha una sequenza molto breve, di circa 16.000 nucleotidi. Se noi confrontiamo quindi il Dna mitocondriale di due persone prese a caso, possiamo rapidamente vedere di quanto differiscono a seguito delle mutazioni casuali, e conoscendo la frequenza con cui avvengono le mutazioni, possiamo anche stimare quanto tempo fa le due linee di Dna hanno cominciato a differenziarsi.

Una grande variabilità genetica all'interno di un certo gruppo umano indicherebbe inoltre che quel gruppo è molto antico e ha cominciato a differenziarsi prima del resto della popolazione mondiale, mentre un gruppo che presenta una certa uniformità genetica dev'essere invece più recente. Questo non significa che alcuni gruppi siano più "primitivi" visto che la differenza genetica di ognuno da noi dal nostro antenato comune è la stessa, ma analizzando, tramite modelli troppo complessi per essere qui riassunti, i vari "pattern" di mutazioni presenti in diversi gruppi, possiamo farci un'idea di chi si è separato da chi e quando.

I risultati degli studi effettuati sul Dna mitocondriale indicherebbero quindi una origine comune dell'umanità (per lo meno per via matrilineare) 150.000-200.000 anni fa in Africa, coerentemente con le ipotesi già fatte dagli studiosi precedenti, secondo cui appunto il primo ceppo di homo sapiens da cui ha avuto origine tutta l'umanità viveva nelle savane africane (ma non tutti sono d'accordo: forse un giorno parlerò dell'ipotesi della scimmia acquatica).

Gli studi successivi effettuati sul cromosoma Y indicherebbero invece che Adamo è vissuto molto più recentemente, circa 75.000 anni fa. Ma Adamo ed Eva, come detto, non hanno nulla di veramente speciale: volendo potremmo prendere un qualsiasi pezzettino di codice genetico e cercare di risalire la corrente, come si è fatto con Adamo ed Eva: gli studiosi ritengono che tutto il nostro patrimonio genetico deriva da una popolazione (non coeva) di circa 80.000 individui. In quelle 80.000 persone si trova tutto il patrimonio genetico (sempre eccettuate le mutazioni) dei 6 miliardi di individui viventi oggi.

Si tratta però di risultati non definitivi, discussi e controversi, in quanto non tutti accettano i modelli usati e anche le stime sulla velocità delle mutazioni sono suscettibili di cambiamento. Altre obiezioni riguardano la possibilità che i mitocondri dello spermatozoo possano essere trasmessi alla progenie, o che il loro Dna possa ricombinarsi. L'ipotesi out of Africa rimane però quella maggiormente corroborata dai dati oggi disponibili. Le divergenze riguardano comunque la sola identificazione di Eva mitocondriale, e non la sua esistenza, che è certa.

giovedì 5 febbraio 2009

I think


A volte le grandi idee nascono in sordina. Per esempio un certo giorno di luglio del 1837 Charles Darwin aprì il suo taccuino e fece un disegnino che rappresentava, schematicamente, un albero.

Si tratta del primo abbozzo dell'"albero della vita", il cui originale è fra le cose che sono esposte alla mostra su Darwin e l'evoluzione, aperta fino al 19 aprile, presso il Natural History Museum a Londra.

Fra i meriti dell'espozione, direi, vi è proprio il tentativo di far cogliere al visitatore il percorso di pensiero che Darwin ha compiuto nel tempo, dalle prime intuizioni sull'adattabilità delle specie nel corso del suo viaggio-spedizione sulla Beagle, al lungo e tormentato lavoro di sistematizzazione e raccolta delle prove (Darwin impiegò più di vent'anni prima di decidersi a pubblicare le sue scoperte, correndo anche il rischio di vedersele soffiare all'ultimo momento).

In questo abbozzo i rami rappresentano specie che si separano e via via si differenziano dal progenitore comune, indicato con "1". Le terminazioni senza lettera rappresentano specie che si sono estinte nel corso del processo evolutivo. Le specie superstiti, A, B, C, e D, hanno tutte un progenitore in comune, ma B, C, e D hanno anche un progenitore comune che non è quello di A (ovvero hanno un maggior grado di parentela fra loro).

Un'idea semplice, ma rivoluzionaria rispetto alle conoscenze dell'epoca, e destinata ad un grande avvenire. In cima a tutto questo, una brevissima e concisa annotazione: "I think".

Lo trovo meraviglioso.


P.S. Pare che la visione dell'evoluzione sottesa dall'albero della vita darwiniano sia oggi in parte superata, visto che oltre alla trasmissione "verticale" del patrimonio genetico da antenato a prole, molti affiancano anche una trasmissione "orizzontale", con pezzi di patrimonio genetico che vengono trasferiti, per via virale, da una specie all'altra. L'albero odierno assomiglierebbe quindi più a una ragnatela. Resta comunque una grandiosa intuizione.