martedì 6 dicembre 2016

la Costituzione non c'entra


Abbiamo passato gli ultimi mesi a dire che la nostra non è la più bella Costituzione del mondo (o che magari lo è ma nessuno si è degnato di spiegarci il perché con un’analisi comparata di tutte le altre costituzioni del mondo). Abbiamo cercato di spiegare che la retorica della sacralità del testo costituzionale scritto col sangue dei partigiani altro non è che una retorica malsana se deve implicare il divieto di apportare qualsiasi modifica anche marginale a quel testo o in quegli aspetti che si sono rivelati, col tempo, obsoleti o poco utili. Una retorica funzionale appunto al mantenimento dello status quo e alla conservazione di vecchie logiche di potere. 

Forse è il momento di fare una confessione: se è vero che la Costituzione non è intoccabile è anche vero che non c’era, in realtà, nessuna urgenza di cambiarla, ha funzionato per settant’anni e possiamo benissimo tenercela com’è per qualche altro decennio. Intendiamoci: ho votato nel merito o almeno ho cercato di farlo, credo davvero che il bicameralismo paritario sia un difetto del nostro sistema istituzionale, credo nell’opportunità di razionalizzare la divisione delle competenze fra Stato e regioni, credo che il Cnel non serva a un granché, credo insomma che la riforma sarebbe stata migliorativa rispetto all’esistente. C’è una cosa però che gli elettori del no hanno capito e per la quale non hanno voluto fidarsi: i promotori della riforma stavano cercando, soprattutto, di venderci qualcos’altro. 

Renzi ha cercato di vendere, com’è naturale, soprattutto se stesso. Col senno di poi è abbastanza facile sostenere che abbia sbagliato a legare il suo destino politico a una riforma percepita appunto come non strettamente necessaria. Qualcuno addossa le responsabilità all’ex presidente Napolitano che nell’accettare il suo inedito e sorprendente secondo mandato ha voluto imprimere una svolta riformista a un sistema che si era rivelato incapace persino di eleggere un presidente (quindi sull’onda di una certa emotività), e ha messo questo fardello sulle spalle del giovane Renzi. In realtà questo compito Renzi se lo è addossato fin troppo volentieri, tanto che è difficile stabilire chi abbia approfittato di chi. Il fatto è che la sfida riformistica, l’aumentare continuamente la posta in gioco proiettandosi sempre in avanti, fanno essenzialmente parte dell’idea-Renzi, egli non sarebbe se stesso se si fosse tirato indietro o avesse lasciato la riforma costituzionale a deperire lentamente fra i banchi del Parlamento. 

Renzi ha voluto vendere, tramite se stesso, una speranza di riscatto per una socialdemocrazia che in Europa e nel mondo si trova sempre più in crisi, ha voluto vendere fiducia nel futuro e ottimismo, ha voluto illuderci che la catastrofe non è un destino ineluttabile. In questo senso il suo fallimento è molto più grave del non essere riuscito a cambiare qualche articolo della Costituzione. Qualcuno basandosi sul numero di voti sostiene che può contare ancora su un consenso piuttosto forte, forse maggiore di quello di qualsiasi altro leader, il che può essere abbastanza vero ma nasconde la sostanza del fallimento che emerge dall’analisi del voto: Renzi non è riuscito a far breccia proprio fra i principali destinatari del suo messaggio, fra chi aveva maggiormente bisogno di fiducia e ottimismo. Hanno votato contro di lui i giovani che vivono nell’ansia del precariato e della disoccupazione, e le regioni del Sud più povere ed economicamente arretrate. La gravità di questo secondo fallimento risalta tanto più chiaramente se si considera come fosse sostanzialmente corretto il discorso di De Luca che tanto scandalo ha suscitato durante la campagna referendaria: pochi governi hanno investito e dirottato risorse nel Sud come quello renziano. 

Il più grande errore di Renzi, che d’altronde non si sa come avrebbe potuto evitare, è stato pensare di poter mantenere il consenso delle europee. Non che l’azione di governo sia stata negativa, ha avuto i suoi alti e bassi come è nella logica delle cose, ma questo non è certo sufficiente a mantenere vivo un sogno. L’ovvia verità è che governare è più difficile che fare opposizione, visto che i progetti si scontrano sempre con la dura realtà, e onestamente Renzi ce l’ha messa davvero tutta. Non si può dire che abbia puntato tutto unicamente sul referendum vista la sua attività frenetica.  Ha contrastato la politica di austerity promossa dall’Europa e dal precedente governo Monti (che pure era stata necessaria), riuscendo comunque ha contenere il deficit entro livelli accettabili e senza far scattare le famose clausole di salvaguardia, ha battuto i pugni in Europa ottenendo una maggiore influenza del nostro paese e un certo prestigio internazionale, ha fatto politiche di sostegno al reddito (come gli 80 euro e i vari bonus), ha cercato di abbassare la pressione fiscale con misure anche discutibili ma popolari (abolizione delle tasse sulla prima casa), ha creato una bolla di occupazione nel mercato del lavoro introducendo benefici fiscali per chi assume, ha introdotto novità (certo, non a tutti gradite) nel settore della scuola, e si è anche impegnato nel campo dei diritti civili facendo approvare, ponendo la fiducia, una contrastatissima legge sulle unioni gay. 

Tutte queste misure hanno anche avuto una certa efficacia, ma purtroppo sarebbe servito un vero miracolo o una sfacciata fortuna per mantenere il consenso, non una crescita del prodotto interno lordo intorno all'1% e un tasso di disoccupazione sceso di pochi punti percentuali, e certo non è bastato dire "neanche noi siamo soddisfatti, vogliamo di più e lo otterremo". Questo continuo "volere di più" è stata esattamente la ricetta del successo di Renzi, e allo stesso tempo quello che l'ha condotto fatalmente alla fine della sua esperienza di governo (dopotutto nemmeno breve). Questo volere di più implicava il non arrendersi, il non adagiarsi su nessun alloro, andare sempre in cerca di nuovi sogni da propagandare e da vendere, talvolta con modalità di comunicazione che quelle stesse persone che adesso lo rimproverano di essere stato lontano dalle classi popolari hanno giudicato populistiche e demagogiche. Ha comportato anche la sottovalutazione della difficoltà di far approvare la riforma da solo contro tutte le altre forze politiche, dopo la fine dell'accordo con Berlusconi deluso per la presidenza a Mattarella (anche in questo caso, possiamo ben dire che la Costituzione non c'entra). Se c'e stato un momento in cui col senno di poi era opportuno arrestarsi ed evitare di investire tutto nel progetto della riforma costituzionale era quello, ma era anche difficile rendersene conto sulla scia di quello che allora appariva come un trionfo politico (ricordo che persino Chiara Geloni, forse nell'unica occasione della sua vita, ebbe parole di apprezzamento per il Presidente del Consiglio). 

All'analisi della sconfitta dovrebbe convenzionalmente seguire una pars costruens dove si indica la strada da percorrere in modo da ripartire con slancio facendo tesoro degli errori fatti. Io non ho nulla da offrire in questo senso perché ho davvero l'impressione che Renzi fosse un'ultima speranza, l'ultimo tentativo offertoci dalla Provvidenza per evitare una vera deriva autoritaria e populista nel paese. Ovvero, se non è riuscito lui a riconquistare alla politica le anime precedentemente sedotte dalla retorica della rabbia e del vaffanculo non credo che possa riuscirci qualcun altro. Negli ultimi anni abbiamo assistito all'emersione di un problema enorme, che nessuno sa come affrontare. Quello della perdita di confine fra il vero e il falso, del continuo inquinamento dei pozzi dell'informazione dove le bufale le false notizie e i complottismi stanno vincendo. La cosa strana è che non possiamo rimproverare qualcuno in particolare per questi fenomeni, che non sono altro che la democrazia e la cultura di massa che una volta scalzato il monopolio dell'informazione, dell'espressione scritta, della formazione dell'opinione pubblica una volta riservata a un ceto intellettuale selezionato con aristocratico rigore, stanno fagocitando se stesse e autodistruggendosi. Se una volta avevamo timore di un potere assoluto, orwelliano, che riuscisse a manipolare e imporre le sue verità dall'alto, oggi ci troviamo di fronte a qualcosa di peggio, a delle masse instancabili nel produrre in continuazione bufale che nessun potere è in grado di contrastare. Il Movimento 5 Stelle, così come Donald Trump, non sono certo cause ma effetti di questa "cultura del sospetto" che si è imposta (ne abbiamo visto le ultime manifestazioni proprio nel giorno della consultazione referendaria, quando si è scatenata la psicosi delle matite cancellabili). In sintesi, e ripetendo per comodità le parole di Raffaele Alberto Ventura col quale ci troviamo spesso in sintonia, siamo ormai in un mondo dove non si crede più a niente, e di conseguenza si crede a tutto. 

Se Renzi per un certo periodo è sembrato godere di una certa fiducia bisogna ora prendere atto che non è riuscito, da solo, ad arrestare quello che è l'equivalente culturale di un fenomeno geologico al quale nessuna diga o muro può resistere. Il fatto che non ci possa riuscire nessun altro ha come aspetto consolante che il suo destino toccherà anche a quelli che verranno dopo di lui che saranno certamente peggiori. Non possono riuscire ad arginare il fenomeno irrazional-populistico, ovviamente, quelle forze che sono parte del problema, come appunto quella guidata da Beppe Grillo con la sua centrale della disinformazione. Questo, va detto, vale anche per quella sinistra radicale che si pone come alternativa credibile al riformismo moderato per riconquistare il cuore delle masse disagiate, ma in realtà e senza rendersene conto ha la stessa visione paranoica del mondo dei nemici di destra: una visione fatta di banche e poteri forti che tramano nell'ombra per dettare riforme costituzionali ai loro governi-fantocci in modo da perseguire i propri biechi interessi economici depauperando il popolo (laddove la credenza evidentemente è che se le banche sono in buona salute allora il popolo soffre, ma intanto nessuno sa spiegare come potremmo fare a meno delle banche e in che modo la loro rovina dovrebbe aiutare la povera gente). Si tratta, insomma, del vecchio complotto demo-pluto-massonico (e se chi lo spaccia avesse gli attributi forse potrebbe anche completare l'espressione). 

Ma per riprendere il filo del discorso nemmeno un eventuale governo a firma Casaleggio potrebbe resistere a lungo al clima di sfiducia generale alimentata proprio dai suoi organi di informazione. Se nessuno sarà in grado di governare, allora, chi ci governerà? È presto detto: i poteri forti – forti perché impersonali – dell'economia internazionale o dell'Unione Europea (posto che sopravviva) si occuperanno ogni tanto di darci una bella svegliata abbassandoci il rating o alzando lo spread e mettendoci di fronte a una vera emergenza economica da affrontare, magari con un governo tecnico che prenda d'urgenza le misure necessarie. Se la politica non può controllare l'economia come non può controllare nessun altro aspetto della vita sociale diventa inevitabile che sia l'economia a governare la politica e la società. In fin dei conti a me starebbe persino bene: in quanto libertario credo che in realtà la politica non debba nemmeno tentare di controllare l'economia (o gli altri aspetti della vita sociale se è per questo). Avrei solo voluto che la politica ci fosse arrivata da sola, e che la distruzione dello Stato avvenisse in maniera non traumatica, ma forse era un'utopia non realizzabile.

lunedì 21 novembre 2016

Riforma costituzionale. Una guida per i perplessi



Ho deciso di scrivere un piccolo vademecum sulla riforma costituzionale che sarà sottoposta all’approvazione popolare il prossimo 4 dicembre. Con qualche imbarazzo: non sono un esperto di diritto costituzionale ma solo un cittadino talvolta appassionato di politica, fortemente favorevole alla revisione proposta. La maggior parte dei miei potenziali lettori e contatti del resto credo sia già abbastanza informata, ma se riuscissi ad essere utile anche a una sola persona e dissipare qualche dubbio, magari contrastando gli effetti di una cattiva propaganda, avrei già raggiunto il mio scopo.

La guida avrà il formato di una serie di obiezioni con relative risposte. È fatta per chi già ne ha letto e sentito qualcosa, per cui molte cose vengono date per scontate, ma orientata a replicare alle principali critiche diffuse in questi giorni. Potrebbe essere aggiornata nei prossimi giorni via via che mi vengono in mente altre questioni. Andiamo subito al dunque:

Un Parlamento illegittimo votato tramite una legge incostituzionale non dovrebbe scrivere riforme così importanti e delicate che definiscono l’assetto del nostro sistema politico.

Cominciamo subito male perché questa non è certo un’obiezione nel merito della riforma. Comunque, la sentenza della Corte che ha sancito l’incostituzionalità del cosiddetto Porcellum in realtà ha anche stabilito in maniera inequivocabile, nelle motivazioni, che il Parlamento eletto con quella legge è pienamente legittimato a operare, senza alcuna distinzione in merito al tipo di atti ai quali si estende questo giudizio di legittimità (qui si può leggere il testo della sentenza). Resta certamente un dubbio sull’opportunità politica, soggettivamente valutabile. Ritengo in ogni caso che la questione trovi un suo scioglimento proprio nel referendum confermativo; ovvero, puoi avere centinaia di ragioni per votare no, ma non venirmi a dire che saresti favorevole se solo fosse stata approvata in modo diverso, visto che alla fine sei proprio tu a decidere.

Non voglio votare una riforma firmata da sinistri personaggi come Verdini!

Di bene in meglio… Neanche questa volta entriamo nel merito ma rispondo ugualmente. Probabilmente hai sentito centinaia di volte l’espressione “riforma Renzi-Boschi-Verdini” quindi non ti posso biasimare se alla fine ti sei convinto che Denis Verdini abbia preso parte al processo di scrittura della riforma. Peccato che sia falso. La riforma è stata scritta dagli uffici del Ministero per le Riforme (di cui è a capo Maria Elena Boschi) tenendo conto del lavoro della commissione di 35 esperti nominata dal precedente governo Letta (con a capo Gaetano Quagliarello). È stata poi sottoposta più volte alla Camera e al Senato subendo varie modifiche grazie al lavoro di più persone (particolarmente incisivi i contributi di Anna Finocchiaro e Roberto Calderoli). Non risulta un solo emendamento presentato da Verdini. Naturalmente ha preso parte alle votazioni, ma in tutta sincerità non credo che ti convenga farne una questione di cattive compagnie. Qui un approfondimento.

È una riforma dettata dalla banca Jp Morgan e dai poteri forti internazionali!

Senti, io sto cercando di non trattarti come un minus habens, ma tu mi devi un po’ aiutare. Diciamo che se sei sensibile a questo tipo di propaganda allora non c’è nulla che io possa fare per te e possiamo anche salutarci.

Un momento. Non dico che sia stata veramente dettata dalle banche in una riunione segreta del Bilderberg, ma è chiaro che esiste un interesse degli attori economici internazionali per l'assetto istituzionale del nostro paese.

Messa così, convengo che non è più una assurda tesi complottista ma solo perché diventa una banale ovvietà. Cosa dovremmo fare? Cercare di scoraggiare chi è disposto a investire nella stabilità finanziaria e politica del nostro paese solo per la soddisfazione di dimostrare che siamo autonomi e sovrani?

È una riforma voluta dalla sola maggioranza di governo senza cercare le larghe intese che sarebbero auspicabili per questo tipo di intervento.

Se hai letto l’approfondimento che ho linkato poco fa dovresti accorgerti che in realtà l’iter della riforma è partito grazie a un consenso larghissimo e trasversale. Per molto tempo, anzi, il premier Matteo Renzi è stato criticato a sinistra proprio per aver cercato e creato un’intesa sulle riforme con il principale leader dell’opposizione, Silvio Berlusconi. Questo accordo è venuto meno per motivi che appaiono molto più legati a questioni di politica occasionale che per il contenuto della riforma, ma non sembrava un buon motivo per buttare via il lavoro fatto, tanto più che vale il discorso precedente: la decisione finale spetta al popolo tramite il referendum, non a questa maggioranza.

Sono favorevole al cambiamento ma non a ogni costo. Meglio nessuna riforma che una riforma fatta male!

E io sono certamente d’accordo. Non è detto che qualsiasi riforma debba essere migliorativa dell’assetto attuale: ad esempio ritengo che quella che una decina di anni fa fu proposta da Berlusconi fosse troppo sbilanciata in senso presidenziale e giustamente bocciata. Detto questo, tuttavia, non si è ancora dimostrato che questa riforma sia peggiorativa. Io credo invece che, sebbene non perfetta, costituisca un cambiamento in meglio.

Lo ammetti anche tu che non è perfetta. Perché non è stata fatta meglio?

Sono sicuro che tu hai mente una riforma perfetta. Forse anch’io, ma dubito che coincidano del tutto. Se ciascuno di noi votasse solo ciò che lo convince in maniera totale temo che qualsiasi provvedimento riceverebbe un solo voto: quello di chi lo propone. Non si diceva, piuttosto, che occorre cercare il coinvolgimento di un’ampia maggioranza? Allora bisogna mediare e trovare compromessi.

Non era meglio abolire del tutto il Senato?

Forse sì, forse no, vedi sopra. Ma sono convinto che se fosse stato fatto gli strilli di quelle stesse persone che fanno quest’obiezione si sarebbero sentiti fin su Marte. In realtà non trovo inutile, pur nel superamento del bicameralismo paritario, un ulteriore controllo su alcune tipologie di provvedimenti, quindi con una partecipazione non limitata alla sola Camera. Questo anche per superare i timori di una presunta deriva autoritaria.

Il Senato non sarà elettivo! Veniamo privati del nostro diritto di scegliere i rappresentanti!

Se decidiamo di privare il Senato della maggior parte delle sue funzioni, e in primis quella di dare la fiducia all’esecutivo, allora l’elezione diretta non ha senso. Sarebbe piuttosto un vulnus alla democrazia se un’assemblea così composta, espressione diretta della volontà popolare, non potesse sfiduciare un governo, ma allora si tornerebbe al bicameralismo paritario. I senatori saranno comunque persone elette in secondo grado, scelte cioè fra i sindaci e i consiglieri regionali. Ma c’è di più (e forse anche troppo, vista la premessa appena fatta): l’articolo 57 della nuova Costituzione prevede che i senatori vengano scelti dai Consigli regionali “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi”, vale a dire che quando i cittadini sceglieranno i consiglieri regionali sapranno già di contribuire all’elezione dei senatori, scelti automaticamente in base ai voti ricevuti in quell’occasione.

Ma occorre una legge ulteriore da approvare dopo la riforma.

Certo, nel nostro ordinamento come in altri esiste una rigida gerarchia delle fonti. La Costituzione si limita a fissare i principi generali, l’implementazione di questi principi è poi rimandata a leggi più specifiche. Le leggi elettorali, che regolano la composizione di Camera e Senato, sono sempre state leggi ordinarie (e meno male, visto che almeno una era particolarmente brutta e poi giudicata incostituzionale).

Non mi fido!

E cosa vuoi che ti dica? Potevi evitare la fatica di leggere fin qui. Comunque potresti almeno fidarti del testo della Costituzione, che è vincolante per qualsiasi governo che venga anche dopo di questo.

I senatori godranno dell'immunità.

Come adesso.

Ma questo vuol dire che saranno mandati in Senato tutti i consiglieri regionali e i sindaci che avranno qualche problema di giustizia.

Non è quel che prevede il testo della riforma, come si diceva sopra in merito alle modalità di elezione dei senatori, ma una pura illazione. In ogni caso se occorre valutare ogni provvedimento in base alle ossessioni paranoico-giustizialiste del "Fatto quotidiano" sono d'accordo che è meglio lasciar perdere.

L’articolo 70 è scritto troppo difficile, non si capisce niente!

Effettivamente, non è semplice. Ma quello precedente si limitava a dire che Camera e Senato svolgono le stesse funzioni. La distinzione fra i due rami impone per forza di cose un certo tecnicismo. In ogni caso che sia difficile non significa che chi intende criticarlo non sia tenuto a capirlo.

Il ping-pong fra Camera e Senato non sparisce affatto. Il Senato dovrà decidere su moltissime leggi.

Le leggi pienamente bicamerali, che vedono la partecipazione congiunta di Camera e Senato, rappresentano il 3% appena del totale, secondo un calcolo effettuato in base alle leggi approvate negli ultimi anni. Vedi questo approfondimento. Per la maggior parte del tempo il Senato avrà poteri solo consultivi, ovvero potrà (se vuole) suggerire delle modifiche entro un determinato periodo, che la Camera sarà libera di accettare oppure no.

Ma ci saranno un sacco di conflitti di competenze. Come si deciderà quali leggi sono monocamerali e quali sono bicamerali?

Ti sei appena lamentato della lunghezza e della difficoltà dell’articolo 70, che riguarda proprio questo. A cosa credi che servano tutti quei commi?

Ma lo dice anche il testo che eventuali conflitti di competenze saranno decisi di accordo fra i presidenti delle camere. Vuol dire che i conflitti sono previsti. E se poi non trovano l’accordo?

Non puoi criticare la Costituzione perché prevede delle norme di chiusura nel caso in cui si verifichino casi di incertezza non previsti dalla carta. Sapessi quanto è ambiguo il  testo entrato in vigore nel 1948. Decidono la prassi costituzionale e i regolamenti parlamentari.

Sindaci e consiglieri regionali hanno già il loro lavoro da fare. Come potranno svolgere bene entrambe le funzioni?

Prima di tutto, in quanto rappresentanti dei territori, dovranno decidere in questioni che ricadono direttamente sotto la loro competenza, quindi si tratta sempre del loro lavoro. Per quanto riguarda le leggi di natura costituzionale o l’elezione del presidente della Repubblica, poi, si tratta di un onore e non un onere. Mettiamola così: anche tu hai già un lavoro, però non consideri certo un oltraggio l’essere chiamato a decidere, fra poco, sulla riforma costituzionale.

Gli Statuti delle ragioni a statuto speciale prevedono l’incompatibilità fra la carica di consigliere regionale e senatore. La Sicilia e la Sardegna rimarranno senza rappresentanti in Senato!


Però non è vero che noi facciamo poche leggi, ne facciamo pure troppe e in tempi anche piuttosto rapidi rispetto alla media europea. Leggi queste statistiche!

È abbastanza vero, ma occorre andare oltre al dato meramente quantitativo. Molte delle leggi approvate sono di importanza relativa, mentre potrebbero darsi dei casi in cui il Parlamento non riesca ad approvare proprio un provvedimento di natura particolarmente sensibile. Mi vengono in mente alcuni esempi passati.

Ma il motivo per cui il Parlamento spesso non riesce ad approvare le leggi dipende da cause direttamente politiche, non legate al funzionamento delle istituzioni. Non occorre riscrivere la Costituzione, occorre scegliere politici migliori.

Auguri. Ma cosa mi stai dicendo, esattamente? Che se tutti i parlamentari andassero sempre d’amore e d’accordo allora anche l’iter delle leggi sarebbe molto più rapido? Ma dai. Intanto che cerchiamo di raggiungere questo stato di perfezione la Costituzione riformata può fornire un aiutino. Ti svelo anzi un segreto: le costituzioni servono proprio a rimediare ai difetti degli esseri umani.

Non mi piace una riforma che aumenta i poteri dell’esecutivo rispetto al Parlamento!

Ecco, riguardo alle statistiche che mi dicevi prima, una buona percentuale di leggi approvate sono trasformazioni in legge di decreti del governo, molte altre vengono approvate tramite la fiducia. Ora, quante volte ti sei lamentato dell’abuso di questi due strumenti, che tendono a spogliare il Parlamento delle sue funzioni? In realtà la riforma tende a ridare dignità proprio al Parlamento, permettendogli di funzionare meglio senza il doppione della Camera rappresentato dal Senato, e anche limitando l’abuso della decretazione d’urgenza. Su questo tema, puoi leggere quest’articolo.

E il combinato disposto della riforma unita alla legge elettorale? A me non piace l’Italicum.

Se è falso che questa riforma contenga dei rischi di deriva autoritaria allora il combinato disposto con l’Italicum (o addirittura col Porcellum) non può essere peggiore del combinato disposto creato dall’Italicum e dalla costituzione vigente. Anzi, come dicevo la riforma aumenta le prerogative del Parlamento rendendolo effettivamente in grado di rappresentare la volontà popolare.

Passiamo ad altro. Il Presidente della Repubblica, dal quarto scrutinio in poi, potrà essere eletto dai 3/5 dei componenti dell’aula invece che dai 2/3. Perché quest’accelerata? Io voglio che il Presidente venga eletto con la più larga intesa possibile.

Guarda che nel sistema attuale dopo il terzo scrutinio basta la maggioranza semplice.

Ah già, è vero. Però dalla settima votazione basteranno i 3/5 dei votanti, non più dei componenti. È allora possibile che una piccolissima minoranza di persone, se tutti gli altri escono dall’aula, possa eleggere il presidente.

No, santo cielo, rimane il quorum della metà dei componenti più uno necessario a rendere valida una qualsiasi votazione, quorum di 366 persone.

I 3/5 di 366 è 220, che su un totale di 730 aventi diritto rimane pur sempre una minoranza che potrebbe essere in grado di eleggere il presidente.

Sì, ma è anche imbarazzante che persone normalmente dotate di intelligenza non si siano rese conto che una situazione che può verificarsi soltanto nel caso in cui quasi tutti escano dall’aula non è certamente a tutela della maggioranza di governo, ma della minoranza. Ma poniamo pure il caso estremo in cui tutti gli assenti siano malati, o peggio ancora siano stati arrestati dalla polizia. Beh, c’è una cosa che chi rimane può ancora fare per impedire il colpo di mano: assentarsi anche lui e non far raggiungere il quorum minimo per la validità del voto.

I risparmi che ci si attende da questa riforma sono irrisori. Se si voleva risparmiare davvero occorrevano ben altri interventi.

Sono abbastanza d’accordo. Quello del contenimento dei costi non è certamente il migliore dei motivi per votare sì. Tuttavia, il risparmio esiste. Se avere due camere che fanno esattamente la stessa cosa comporta, oltre all’inefficienza del procedimento legislativo, anche uno spreco di soldi pubblici non si capisce davvero come questo spreco possa essere giustificato e mantenuto in base alla ragione che non è poi così grande.

Viene limitato il potere del popolo aumentando le firme necessarie per proporre una legge d’iniziativa popolare, da 50.000 a 150.000.

Vero, ma si impone anche l’obbligo di discussione in Parlamento. Prima alla estrema facilità con cui una proposta di legge d’iniziativa popolare poteva essere depositata alle camere corrispondeva la quasi certezza che venisse ignorata del tutto e nemmeno discussa. Con la riforma questo non succederà più ma siccome i nostri parlamentari vengono pagati con i nostri soldi forse è meglio non far loro perdere troppo tempo dietro a proposte firmate da un numero assolutamente esiguo di persone.

Ma anche con l’obbligo di discussione questo non vuol mica dire che poi la proposta di legge sarà approvata.

E vorrei anche vedere. Ti ricordo che anche secondo l’attuale Costituzione che sostieni di voler difendere la funzione legislativa spetta al Parlamento.

L'articolo 117 della nuova Costituzione ci obbliga a seguire gli ordini di Bruxelles!

Il nuovo articolo 117, in quella parte, è identico al precedente salvo che c'è scritto che la potestà legislativa è esercitata da Stato e Regioni nel rispetto dei vincoli derivanti "dall'ordinamento dell'Unione Europea" invece che "dall'ordinamento comunitario". È un semplice aggiornamento lessicale perché quella che prima era la Comunità Europea è diventata Unione Europea.

Ma l'Unione Europea è qualcosa di più dell'ordinamento comunitario, è una vera e propria entità statuale dotata di autonoma sovranità. Sottomettendoci ad essa non possiamo che rinunciare a una parte della nostra sovranità.

Che, di nuovo, è quanto già accade. Ma non perché c'è scritto nell'articolo 117. In realtà le limitazioni di sovranità sono addirittura contenute nei principi fondamentali della carta, nell'articolo 11. Qui è scritto che l'Italia "consente, in condizione di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo". Nell'inserire questo articolo i costituenti avevano già in mente il sogno di un'Europa unita. Ed è il motivo per cui, nella prassi costituzionale, le leggi comunitarie o derivanti dagli accordi internazionali hanno già un rango superiore a quello delle leggi ordinarie (ma comunque non superiore alla Costituzione). Quindi se vuoi davvero difendere la Costituzione lo stai facendo sbagliato.

Comunque le Regioni perderanno un sacco di poteri.

Effettivamente con questa riforma si tenta di rimediare ad alcune conseguenze indesiderate della riforma del titolo V avviata nel 2001, e in particolare l'indecisione riguardo alle materie che erano considerate "concorrenti" (di competenza sia dello Stato che delle Regioni), riportandone alcune sotto la competenza esclusiva dello Stato. Indecisione che aveva moltiplicato il numero di ricorsi alla Corte Costituzionale, con gravi perdite di tempo e di soldi (questa potrebbe anche essere la voce principale di risparmio, a proposito di contenimento dei costi).

Quindi il governo centrale potrà gestire i suoi malaffari e costruire quello che vuole senza che i locali possano dire niente!

Potrebbe anche valere il viceversa. Se prima venti Regioni avevano potere di veto su molte iniziative del governo, in modo tale che era quasi impossibile fare qualcosa se non in cambio di trattative estenuanti, favori, e clientelismi locali, adesso è lo Stato che potrebbe impedire sciagurate iniziative regionali magari avviate all'insegna di interessi non sempre limpidi.

Voglio mandare a casa Renzi!

Legittimo. Di solito queste cose si decidono alle elezioni politiche.

Ah, non fare il furbo, è stato lui a personalizzare il referendum!

Beh, la riforma porta il suo nome, difficile non personalizzare. L’opposizione avrebbe personalizzato comunque, e naturalmente lo ha fatto.

Ma Renzi ha detto che si sarebbe dimesso in caso di vittoria del no.

Forse è stato un errore di comunicazione, ma se vuoi venirmi a raccontare che invece dovrebbe rimanere comunque in carica allora sei Pierluigi Bersani.

La mucca è nel corridoio, siamo mica qui per rompere le noci a Cip e Ciop.

Ecco, lo sapevo…