martedì 25 ottobre 2011

l'uovo e la gallina



Alla base del concetto di prestito a interesse, che insieme al commercio è in fondo il motore dell'economia mondiale, è il semplice fatto che molto spesso una gallina domani non vale un uovo oggi. Se vinceste alla lotteria e vi chiedessero se preferite avere dieci milioni di euro adesso oppure venti milioni tra dieci anni, molti di voi risponderebbero che vogliono i dieci milioni subito. Dopotutto fra dieci anni potreste anche essere morti, e magari proprio in conseguenza della mancanza dei soldi che non avete ancora incassato.

Il denaro incassato oggi quindi ha maggior valore della stessa quantità nominale di denaro incassata domani, e se vogliamo che la somma incassata oggi equivalga, in valore soggettivo o percepito, a quella incassata domani, occorre aggiungere a quest'ultima una percentuale che dipende da vari fattori (quali lo stato di bisogno). Questo è l'interesse. Non capisco quindi cosa ci trovi di tanto strano la gente nell'attività delle banche: molti sembrano considerare immorale il fatto che una banca sia disposta a rinunciare al possesso di una certa somma oggi solo in cambio di una somma maggiore l'indomani, eppure sono gli stessi che magari giocano alle lotterie, che in fondo si basano tutte sullo stesso principio (rinuncio a una piccola somma oggi per avere la possibilità di ottenerne una molto più grande domani, laddove l'interesse però è moltiplicato a causa della mancanza di certezza).

Eppure si tratta di un concetto di fronte al quale menti certamente molto più grandi della mia hanno trovato insormontabili difficoltà. Ad esempio Aristotele condannava pure lui il prestito a interesse (o usura, nell'antichità i due termini sono equivalenti) perché riteneva non "naturale" che il denaro potesse essere usato per "generare" altro denaro. Nella sua visione il denaro non può mai essere un fine in sé, ma il suo valore consiste semplicemente nel permettere gli scambi: sono le cose che il denaro può comprare a essere desiderate, non il denaro per il denaro. Da qui la – a dire il vero non conseguente – conseguenza che usare il denaro per comprare altro denaro è sbagliato (non conseguente perché niente impedisce che la maggiore somma ottenuta sia desiderata a sua volta per comprare beni materiali).

Le idee di Aristotele germogliarono nel pensiero cristiano medioevale. Tommaso d'Aquino le fece proprie e attraverso di lui la cristianità tutta condannò il prestito a interesse, considerandola pratica non gradita agli occhi di Dio o addirittura un modo di appropriarsi e far lavorare per noi il "tempo", che appunto appartiene solo al Creatore. Come noto la condanna cristiana del prestito fece sì che a gestire e specializzarsi in questo tipo di attività fossero gli Ebrei (che nell'Antico Testamento potevano trovare passi in cui tale pratica era persino incoraggiata, se svolta a "danno" dei non ebrei), con tante conseguenze storiche di lunga portata che non staremo ad analizzare tutte. 

Questa è la spiegazione storica diciamo consueta, ufficiale, ma mi sembra difficile considerarla completa ed esaustiva. Diciamo infatti che trovo poco plausibile l'idea che un sistema di espansione della ricchezza così pratico ed efficiente sia stato ostacolato solo per qualche scrupolo teologico di un paio di filosofi scolastici. La verità è quasi sicuramente un'altra. Il prestito e l'attività bancaria, il denaro stesso, erano giustamente percepiti come forze rivoluzionarie, in grado di trasformare la società e rimuoverne i fondamenti tradizionali, come effettivamente è stato. Coloro che avevano posizioni di potere e privilegio e che volevano mantenere tali posizioni attraverso l'autorità e la forza non potevano che vedere una minaccia mortale nei soldi, che potevano girare in mano a chiunque e comprare degli eserciti contro di loro. Il denaro andava fermato, o perlomeno regolamentato.

I cristiani che volevano svolgere attività di prestito dovevano quindi ricorrere a degli espedienti, a delle forme di prestito mascherato che non li facessero incorrere nelle ire dei preti. Un sistema piuttosto ingegnoso fu quello, perfezionato dai banchieri fiorentini del Rinascimento, della "lettera di cambio". Originariamente la lettera di cambio serviva ad evitare i rischi connessi al trasporto di ingenti quantità di monete e preziosi. Il mercante che voleva recarsi a Parigi, poniamo, versava una certa quantità di denaro nella casse di una banca fiorentina e riceveva una lettera di cambio. Con quella lettera poteva recarsi a Parigi, e presentandola allo sportello di una filiale parigina della banca di Firenze (o altra banca con cui erano stati stipulati accordi) ottenere l'equivalente della somma versata a Firenze, in valuta locale.

La trasformazione di questo strumento, già di per sé prezioso, in vero e proprio meccanismo di prestito a interesse (assai conveniente), passava attraverso la reiterazione della procedura e sfruttando i diversi tassi di cambio delle valute. Stavolta era la banca che consegnava il denaro (i fiorini) al creditore. Una somma equivalente di denaro veniva in un secondo tempo versata, in valuta parigina, negli sportelli di Parigi. A questo punto, a Parigi, veniva fatta una seconda lettera di cambio per mezzo della quale il creditore si impegnava a versare, nelle casse della banca fiorentina, l'equivalente in fiorini sempre di quella stessa somma. Il trucco consisteva nel fatto che il cambio era sempre favorevole alla moneta locale, quindi alla fine la banca fiorentina si trovava nelle casse una quantità di fiorini superiore a quella che aveva originariamente prestato. Il tutto era però ufficialmente presentato come un'operazione di cambio di valute e il guadagno giustificato dai rischi connessi alla volatilità dei tassi di cambio.

Come noto, molte famiglie fiorentine costruirono la loro fortuna su questo meccanismo, a cominciare dai Medici. Oggi i Medici sono ricordati certamente come una famiglia che diede lustro alla città di Firenze, e che la riempì di bellezze artistiche e architettoniche. Non ci sarebbe l'arte del Rinascimento (né quello italiano né quello nordico) se non fosse per quella che allora veniva chiamata, senza troppi infingimenti, "usura" (oggi  chiamiamo usura solo il prestito che ha interessi particolarmente alti, ma senza troppa chiarezza e precisione riguardo alla linea di confine). Eppure non è che le loro attività teologicamente ed eticamente sospette all'epoca non venissero notate da nessuno, e talvolta anche disprezzate e osteggiate. In primo luogo c'erano le leggi suntuarie a mettere un freno, non alla ricchezza, ma almeno all'esibizione di essa. Molte di queste leggi che regolavano ad esempio il vestiario erano pensate, oltre che per combattere il lusso sfrenato e la dispersione dei patrimoni familiari, per impedire a membri dei ceti inferiori di "confondersi" con le classi superiori. Arricchirsi va bene, ma ognuno resti comunque al suo posto e non osi disturbare.

Poi arrivarono il frate Girolamo Savonarola e i "piagnoni", approfittando della momentanea caduta in disgrazia dei Medici, a riportare davvero un po' di ordine e moralità. Inizialmente fu decretato anche l'allontanamento degli Ebrei, ma quando ci si accorse che erano troppo utili anche alle casse del governo fiorentino si dovette rinunciare a questo progetto, ma non all'ambizione di ripulire la città dal vizio, generato dal denaro. Ci si rivolse quindi agli effetti del denaro, agli oggetti di lusso, che vennero  raccolti, ammucchiati e bruciati all'aperto: libri licenziosi, vestiti, strumenti musicali, gioielli, specchi e, pare, anche alcuni quadri di Sandro Botticelli. L'avventura comunque non durò molto, i Fiorentini si stancarono presto e qualche tempo dopo fu Savonarola che venne legato, condotto in cima a una catasta di legna, e pubblicamente bruciato. Sic transit gloria mundi.

Oggi non abbiamo i piagnoni ma abbiamo gli indignati, ovvero persone che attribuiscono la colpa di ogni cosa che va male nel mondo alle "banche" cattive e agli "speculatori", alla finanza. Fare i soldi con i soldi, che come abbiamo visto è in realtà una delle cose più naturali del mondo, è ancora oggi visto come un atto profondamente contro-natura. Come si permettono le banche di prestare in giro i soldi che noi depositiamo presso di loro? e di incassare pure degli interessi? ehi, ma questo è immorale. Ancora più bizzarra, al neoluddista, pare l'attività delle Borse: un balletto di numeri che salgono e scendono, immense ricchezze che vengono create e distrutte nel giro di minuti e alle quali non sembra corrispondere niente di "concreto". Ve lo dico io cosa c'è di concreto: il culo di chi rischia il proprio capitale. I soldi, i liquidi, servono anche a chi produce oggetti concreti come le automobili, servono a pagare gli stipendi degli operai. Ma se nessuno è disposto a scommettere sull'attività della fabbrica di automobili investendo del denaro anche gli operai rischiano di rimanere senza uno stipendio; non è difficile.

Eppure gli indignati, che si ritrovano nella morsa del debito pubblico e della crisi economica internazionale, hanno trovato la soluzione a tutti i loro problemi. È colpa dei ricchi se stiamo così male, è colpa dei soldi. Ogni somma incassata non "lavorando", non producendo qualcosa di concreto, è sostanzialmente rubata al popolo (si trascura evidentemente che esiste il settore altrettanto fondamentale dei servizi, e che pure quelli finanziari sono servizi, di cui difficilmente si potrebbe fare a meno). Il debito non è nostro, è "loro": degli strozzini, degli speculatori. Non solo: è colpa di chi produce oggetti inutili come gli iphone e gli ipad. A cosa servono? Bisogna tornare alla frugalità dei bei tempi andati, quando per essere felici e in armonia con la natura ci si accontentava di un tozzo di pane, del sorriso di un bimbo, e della contemplazione del tramonto.

Presto i nuovi Savonarola convinceranno la gente a fare pubblici falò dei gadget firmati Apple, delle macchine di lusso, del calendari con le veline (veicoli di immoralità!), delle scarpe con il tacco 12, delle borse Prada, gli orologi Rolex, e magari anche di qualche opera di artista contemporaneo degenerato. Poi, passata la moda, saranno loro a finire sul rogo e tutto tornerà come prima. Io cerco di rimanere tranquillo e aspetto, tanto non sono ricco e rischio poco.

Se volete approfondire alcuni degli argomenti trattati in questo post, comunque, vi consiglio caldamente la mostra Denaro e Bellezza in corso a Firenze dentro Palazzo Strozzi.