giovedì 30 giugno 2011

miseria dello (psico)storicismo


Karl Popper scrisse Miseria dello storicismo per una serie di letture tenute nel 1936 a Bruxelles, il testo venne poi raccolto in volume solo nel 1957, ma prima ancora pubblicato in parti, nel 1944-45, all'interno della rivista "Economica" (allora diretta da Friedrich von Hayek). In quelle pagine Popper denunciava la vanità di voler prevedere e spiegare il corso della storia secondo "leggi" affini a quelle delle scienze naturali (come nel materialismo storico di ispirazione marxista). Tentativo, secondo Popper e Hayek, proprio delle società "chiuse" e ad ispirazione totalitaria.

Più o meno in quegli stessi anni (tra il 1942 e il 1950), curiosamente, Isaac Asimov stava pubblicando per la rivista "Astounding Magazine" diretta da John W. Campbell, il famoso Ciclo della Fondazione, che è basato proprio sul concetto di "psicostoria", una disciplina matematica, inventata da Hari Seldon, che permetterebbe di prevedere il corso degli eventi futuri, considerando il comportamento delle moltitudini umane affine a quello dei gas (imprevedibile a livello individuale, o della singola molecola, ma statisticamente controllabile a livello globale).

L'ispirazione per il ciclo era venuta ad Asimov dal celebrato testo di Edward Gibbon Storia del declino e della caduta dell'Impero Romano. Nella saga di Asimov si parla infatti di un impero galattico in declino da milioni di mondi abitati, con al centro il pianeta Trantor, e guidato dall'Imperatore. Secondo un cliché storiografico abbastanza comune, la psicostoria prevede appunto che la conseguenza del crollo dell'Impero siano trentamila anni di imbarbarimento, di medioevo su scala galattica, che però potrebbero essere ridotti solo a mille facendo un sapiente uso delle leggi della psicostoria (disciplina che quindi non permette solo di prevedere il futuro, ma anche una raffinata opera di ingegneria sociale).

Il fatto che Asimov pensando al futuro della galassia colonizzata dagli esseri umani lo concepisca come un "impero" rigidamente centralizzato, facente capo alla figura di una specie di monarca assoluto, sembra dare ragione alle preoccupazioni di Popper e Hayek riguardo alla visione poco liberale degli ingegneri sociali. In effetti il piano di Seldon non lascia nessuno spazio alle iniziative individuali in grado di cambiare il corso della storia, che anzi vengono duramente represse. Accanto alla Prima Fondazione, infatti, il cui compito è quello di costituire alla periferia della galassia il germe per la rinascita del nuovo Impero, è affiancata una Seconda Fondazione (clandestina), che invece deve assicurarsi che tutto proceda effettivamente secondo i piani di Seldon e grazie ai poteri mentali dei suoi membri "aggiusti" la volontà di chiunque rischi di intralciarne il cammino.

La Seconda Fondazione dev'essere segreta perché uno degli assiomi della psicostoria è proprio che essa non funziona più quando gli agenti dei quali viene predetto il comportamento vengono a conoscenza delle previsioni che li riguardano. Vi è una sorta di autoriferimento goedeliano, nel progetto psicostorico, che rischia di metterlo in contraddizione con se stesso. Così, quando la Seconda Fondazione è costretta a venire allo scoperto per fermare il Mulo (un personaggio facente parte del secondo libro del ciclo, Fondazione e Impero o Il crollo della galassia centrale), in seguito deve anche ordire un piano per fingere di venire debellata dai suoi oppositori all'interno della Prima Fondazione, che mal sopportano l'idea di essere eterodiretti.

La visione di Asimov, insomma, è inquietante: gli eroi positivi della storia sono delle eminenze grigie che lavorano nell'oscurità manipolando gli esseri umani a loro insaputa, reprimendo i loro slanci di creatività ma facendo al contempo loro credere di essere liberi e autodeterminati. Una sorta di incubo orwelliano, anche se messo in opera per il bene dell'umanità. Purtroppo si prevedono sacrifici, una guerra là, una rivolta lì, ma tutto è progettato per minimizzare le perdite, e comunque finalizzato a un bene maggiore.

La cosa interessante di Asimov, comunque, è che si sente pure lui a disagio con le implicazioni della psicostoria: il bello della fantascienza in fondo è questo, che permette di immaginare vividamente le conseguenze concrete e ultime di una certa idea o progetto utopico. Così quando negli anni '80 Asimov decide di continuare la saga introduce delle significative variazioni rispetto alle originali tappe forzate verso la rinascita dell'Impero previste dalla psicostoria, e un nuovo tipo di soluzione alternativo alle due Fondazioni, che vedremo più tardi.

Un simile conflitto morale è rintracciabile anche nell'altra saga famosa di Asimov, quella dei robot. Quando scrive le sue prime storie di robot Asimov si preoccupa innanzituto di rassicurare il lettore, spaventato dalle storie alla Frankenstein, e di presentare i robot come creature a tutti gli effetti benefiche, degli umili servi al nostro servizio, non degli abomini destinati a ribellarsi ai loro creatori, colpevoli di aver voluto sostituirsi a Dio. Quindi inventa le Tre Leggi della Robotica, una specie di codice etico inscritto in maniera incancellabile nei cervelli positronici dei robot:

1) Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno.
2) Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge.
3) Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge.


Asimov insiste in continuazione sul fatto che sia impossibile violare le leggi della robotica (anche se non si capisce bene, in realtà, perché dovrebbe essere difficile progettare un robot che ne è privo), tanto che la maggior parte dei suoi racconti hanno una struttura che si ripete, quella di una apparente violazione delle tre leggi alla fine spiegata e ricondotta alla normalità.

Questa visione dei robot come guardiani benevoli perché impossibilitati a fare del male però non è del tutto soddisfacente per Asimov, che vorrebbe i suoi robot appunto come simili a degli esseri umani, dalla psicologia altrettanto complessa, e non dei semplici automi. È per questo che i suoi personaggi robotici trovano sempre più difficile obbedire tout court alle leggi della robotica, e si ingegna così tanto di trovare delle situazioni-limite, nelle quali è inevitabile stiracchiare le regole (cosa succede quando un robot considera se stesso come un essere umano? oppure se manca di riconoscere un essere umano come tale?).

A un certo punto, sempre quando Asimov riprende a scrivere fantascienza negli anni '80, uno dei suoi robot inventa la Legge Zero della robotica:

0. Un robot non può recare danno all'umanità, né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, l'umanità riceva danno.

Le altre 3 leggi vengono modificate di conseguenza:

1. Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno. Purché questo non contrasti con la Legge Zero
2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Legge Zero e alla Prima Legge.
3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Legge Zero, la Prima Legge e la Seconda Legge.


La Legge Zero rende i robot a tutti gli effetti dei personaggi etici, e cioè tragici, perché devono continuamente fare i conti con le imprevedibili conseguenze di una eventuale violazione della Prima Legge. In quali occasioni è previsto che si possa fare del male a un essere umano, ma per il bene dell'umanità? Il robot Giskard de I robot e l'Impero, muore proprio perché, dopo aver applicato la Legge Zero, è incapace di affrontare le conseguenze del suo atto, la morte di esseri umani (mentre maggior fortuna avrà il robot Daneel Olivaw, più complesso).

È ovvio a questo punto per quale motivo Asimov abbia sentito l'esigenza di unificare i suoi due cicli, quello dei robot e quello della Fondazione. Per poter applicare con serenità la Legge Zero, infatti, è necessaria almeno la conoscenza della psicostoria, è necessario saper calcolare con ragionevole certezza le conseguenze anche su larghissima scala dei propri atti (una cosa che Hayek non riteneva possibile, e per questo criticava i governi socialisti che reprimevano l'iniziativa individuale in nome del bene comune). Nel prequel del Ciclo della Fondazione, Preludio alla Fondazione, si viene addirittura a scoprire che è proprio un vecchissimo Daneel Olivaw (la cui prima comparsa è in Abissi d'acciao, ambientato decine di migliaia di anni prima), sotto le spoglie del Primo Ministro Eto Demerzel a indirizzare Hari Seldon verso la psicostoria (in un universo in cui la esistenza dei robot è tenuta nascosta).

Ma il problema che si era presentato con le tre leggi si ripresenta appunto con la psicostoria: se le Tre Leggi della Robotica rendono i robot troppo simili a marionette, la stessa cosa può dirsi per la psicostoria e gli esseri umani (mentre i robot, da semplici assistenti privi di una loro volontà, diventano addirittura guardiani occulti dell'umanità). C'è forse un altro modo, allora, per rendere applicabile, e non vacua e nemmeno eccessivamente complessa, la Legge Zero.

Il modo, nel Ciclo della Fondazione, si chiama Gaia, o Galaxia. Gaia è un "pianeta vivente", la cui creazione ancora una volta è riconducibile a Daneel Olivaw e ai suoi tentativi di risolvere i problemi creati dalla Legge Zero. Un essere umano è qualcosa di concreto, ed è relativamente facile evitare di nuocergli o impedire che gli venga fatto del male. La "umanità" è invece un'astrazione, ed è molto difficile, se non impossibile, capire quale possa essere considerato il "bene dell'umanità". Dieci persone diverse avranno probabilmente dieci opinioni diverse su questo.

Ma Gaia, sebbene composto da moltissime creature senzienti, può essere considerato come un singolo organismo, così come un essere umano è fatto di miliardi di cellule. Tutti gli abitanti del pianeta, pur conservando una loro identità, fanno parte di questa entità dotata di una memoria e un'intelligenza collettiva, e sono impossibilitati ad agire in modo da danneggiare quest'entità. Mentre Galaxia non è altro che il progetto di rendere l'intera galassia simile a Gaia, cioè di renderla, con i suoi milioni di pianeti abitati, una cosa sola, un'unica intelligenza.

L'esistenza di Galaxia quindi renderebbe più facile l'applicazione della Legge Zero. E questo sembrerebbe risolvere anche il dilemma etico rappresentato da un'umanità di burattini privi di libero arbitrio e autodeterminazione. Oppure lo accentuerebbe e non farebbe altro che rendere più esplicito ed evidente il disegno disumanizzante della psicostoria? il suo lato totalitario, comunista all'estremo (l'interesse del singolo è l'interesse della collettività)?

Purtroppo la morte di Asimov gli ha impedito di continuare la saga. Non sappiamo se il progetto Galaxia sarebbe stato portato a termine, e in che modo, oppure se nuovi ostacoli e soprattutto nuovi dilemmi e contraddizioni si sarebbero presentati alla mente di Asimov. Mi piace pensare che, col tempo, e continuando a sviluppare le conseguenze delle proprie idee, Asimov avrebbe finito per rinunciare del tutto ai suoi progetti di ingegneria sociale, e sarebbe diventato finalmente un liberale. Chissà, forse il ciclo della Fondazione si sarebbe concluso col suicidio di Olivaw e la decisione di liberarci finalmente dalla sua ingombrante presenza, che nel Ciclo coincide con tutta la storia dell'umanità futura.

sabato 11 giugno 2011

l'odore della carta


Non ho mai voluto parlare del presunto complotto relativo al signoraggio bancario perché lo ritenevo un argomento un po' troppo complesso per le mie capacità, e del resto già smontato effficacemente da altre persone più competenti (segnalo l'ottimo blog signoraggioinformazionecorretta.blogspot.com). Solo che l'insistenza con cui il tema si ripropone negli ultimi tempi grazie agli ormai leggendari video su Youtube di Alfonso Luigi Marra e Ruby Rubacuori, nonché una recentissima interrogazione parlamentare di Antonio Di Pietro (ahimè) mi hanno infine spinto a studiare la questione. Non tanto e non solo per demolire la teoria del complotto (una teoria idiota sulla quale non varrebbe la pena di spendere neanche due righe): il fatto è che come in fondo tutte le teorie complottiste, questa può rivelarsi l'occasione per scoprire aspetti della realtà che in precedenza conoscevamo solo superficialmente. In questo caso si tratta della misteriosa natura del denaro, e in virtù di quale arcano processo esso abbia un valore. Quanto segue quindi è utile soprattutto per me, appunto come tentativo di spiegarmi le cose.

Bisogna dire che ci sono alcuni aspetti del modo in cui tratto la questione che qualcuno potrebbe trovare un po' controversi, o che almeno non mi soddisfano del tutto nella versione rilasciata ad esempio su Wikipedia (vox populi). Per esempio, noto che la voce "Moneta" su Wikipedia comincia la trattazione della storia della moneta contrapponendola al precedente sistema del baratto. Allora cerchiamo innanzitutto di fare chiarezza su un punto: il sistema del baratto non è mai stato abolito e non è mai cessato. Con il che non intendo dire semplicemente che ancora oggi è possibile scambiarsi delle uova per una focaccia, o una focaccia per una prestazione sessuale. Intendo dire che quando scambiamo una focaccia con del denaro non facciamo in realtà nulla di diverso di quando scambiamo focaccia per uova.

Il denaro è un bene come gli altri, e come tutti i beni può avere sia un valore d'uso che un valore di scambio. Diciamo che la caratteristica principale del denaro è quella che, per alcune sue caratteristiche, vuoi intrinseche legate alla sua natura (ad esempio al materiale di cui è fatto), vuoi per motivi storici-giuridici-legali, il suo valore di scambio è quasi sempre preponderante rispetto al valore d'uso. Ovvero, è prodotto proprio in vista di tale fine, e non altri, ed è garantito da qualche autorità sempre in vista di tale fine (nulla però impedisce che qualcuno lo collezioni o lo conservi per una sua forma di feticismo, o addirittura che usi le banconote per accendere il camino, cioè che gli attribuisca un valore d'uso).

Questo accade soprattutto in tempi recenti, ma è bene ricordare appunto che praticamente qualunque cosa può assumere le veci del denaro, specie se possiede alcune caratteristiche che lo rendono adatto a tale scopo. Deve trattarsi di un bene che non si deteriora troppo facilmente, ad esempio. Deve essere un bene né troppo scarso e difficile da procurarsi (il che ostacolarebbe gli scambi), né troppo disponibile (il che ne annullerebbe il valore). Deve inoltre essere un bene facilmente divisibile (anche se una gallina viene scambiata per un chilo di sale non vuol dire che mezza gallina equivalga esattamente alla metà di un chilo di sale) e misurabile in maniera oggettiva.

In diversi periodi storici, quindi, sono state usate come denaro cose come semi di cacao, conchiglie (il wampum dei pellirosse), sale, o sigarette. O pezzi di metallo prezioso, come oro e argento. La distinzione tra la "merce" e la "moneta" che si usa per pagare la merce è una distinzione relativa a quale aspetto, di volta in volta, privilegiamo rispetto alle cose che scambiamo, ma non è una distinzione "ontologica". Tutto può essere moneta, tutto può essere merce.

Quindi, se si è d'accordo su questo, dovrebbe essere chiaro che è in un certo senso ingannevole anche l'altra distinzione, presente nella stessa voce di Wikipedia: quella fra "valore nominale" e "valore intrinseco". In realtà, e almeno finché la moneta ha corso legale, esiste solo il valore intrinseco, reale, della moneta, come di qualsiasi merce. Se io scambio una banconota da 50 euro con un oggetto del valore di 50 euro, vuol dire che quella banconota vale davvero 50 euro, e non si tratta affatto di un valore solo "nominale", "simbolico". Lo scambio avvenuto è la prova della realtà concreta, effettiva, del valore. Quel che si vuol dire è che in circostanze diverse quella banconota, dati i materiali poveri di cui è fatta, non avrebbe nessun valore, cioè potrebbe accadere che nonostante quel che è scritto sulla banconota qualcuno si rifiuti di accettarla come pagamento, ma anche questo è valido per qualsiasi altro tipo di moneta. Pure i miei lingotti d'oro potrebbero, in circostanze molto particolari, perdere di qualsiasi valore.

Dato che i teorici del complotto del signoraggio spesso definiscono il "reddito da signoraggio" come la differenza (percepita da chi stampa la moneta) fra il suo valore nominale e il suo valore intrinseco, comprendere l'illusorietà di una simile distinzione può già essere utile a smontare la teoria. La Banca Centrale non può incassare nessuna "differenza" del genere, perché non esiste. Una differenza siffatta potrebbe essere ammessa nel caso dei falsari, che stampano carta effettivamente priva di valore e la cedono al prezzo del valore nominale, ma così danneggiando chi entra in possesso della banconota. Le banconote false non valgono nulla proprio perché, al contrario del denaro vero, non abbiamo il diritto di esigere niente in cambio della loro cessione, e non è ragionevole aspettarsi che qualcuno le accetti consapevolmente (se non per truffare altre persone, però mentendo appunto sul loro valore).

Veniamo quindi al terzo punto: la moneta non ha valore solo in quanto viene accettata come forma di pagamento della comunità, ovvero solo per il tramite di una convenzione condivisa, della "fiducia", o di una decisione delle autorità preposte (si veda il paragrafo, sempre su Wikipedia "La fiducia come fondamento del valore di una moneta"). Il corso forzoso della moneta serve, beninteso, a proteggere un tale valore, ma non lo crea in origine, e al contrario si potrebbe dire che tale convenzione (di accettare il denaro come forma di pagamento) e tale fiducia derivano piuttosto da un interesse oggettivo, cioè dal fatto che la moneta ha valore. Altrettanto chiaramente l'emissione di moneta non è "creazione di ricchezza dal nulla", e questo rimane valido anche in un regime di cosiddetto fiat money, dove cioè la moneta non è obbligatoriamente convertibile in oro o metalli preziosi.

Per comprendere l'origine del valore del denaro (il nostro denaro, emesso dalle Banche Centrali), occorre quindi comprendere per quale motivo la Banca Centrale non è un falsario. Innanzitutto la Banca Centrale, al contrario dei falsari, non possiede il denaro che stampa, non ne ha la disponibilità, ma si limita a "emetterlo", a metterlo in circolazione. Ovvero il denaro emesso è registrato fra le passività nella contabilità della Banca, non è un attivo che può essere utilizzato per acquistare altri beni. Il che non significa che il denaro venga regalato: viene dato alle banche commerciali (o in forma di vere e proprie banconote o in forma di conto corrente aperto presso la Banca Centrale) in cambio di titoli che poi saranno nuovamente restituiti alla banca commerciale alla loro scadenza, mentre la banca commerciale dovrà restituire alla Banca Centrale il denaro più gli interessi. Questi interessi costituiscono appunto il vero reddito da signoraggio, e anche l'unica ricchezza "creata" dall'operazione dell'emissione di moneta.

Ovvero, supponiamo che io abbia una ricchezza immobiliare particolarmente consistente ma che abbia bisogno di liquidità. Il modo migliore per ottenerla è semplicemente quello di chiedere un prestito, forte del fatto che grazie alle mie proprietà posso garantirne la restituzione. Se il denaro che mi viene prestato (in cambio di un documento nel quale appunto mi impegno a restituirlo entro una certa data e con gli interessi) viene stampato ex novo da un ente apposito, non sarebbe ricchezza in più che viene creata dal nulla, ma solo un espediente per rendere "liquida", capitalizzabile, la ricchezza che già posseggo. Se tutto va bene, estinguerò il debito (grazie al modo in cui avrò fatto fruttare il denaro prestatomi) e il denaro tornerà all'origine pronto per essere emesso nuovamente. Il denaro quindi non è mai veramente "fiat" ma è sempre (o meglio dovrebbe essere sempre) riconducibile a un titolo di proprietà (attenzione, non si limita a "rappresentare" la proprietà, ma diventa esso stesso proprietà, la cui utilità consiste nel permettere gli scambi).

Criticità. Il sistema monetario così descritto funziona abbastanza bene: non ha nulla di truffaldino come vogliono i teorici del complotto del signoraggio, e in realtà affronta abbastanza bene anche certe critiche che arrivano dal fronte libertario, permettendo una certa flessibilità che non sarebbe possibile con la parità aurea. L'emissione di moneta ha la funzione di trasformare la proprietà "morta" in capitale fungibile sul mercato, e le Banche Centrali cercano (non sempre riuscendoci) di regolarne il volume in circolazione adattandolo alle esigenze della crescita economica, aumentando l'offerta in caso di previsione di forte crescita o riducendo l'offerta per evitare il rischio dell'inflazione (ricordo che secondo la definizione della scuola austriaca l'inflazione È l'aumento della massa monetaria in circolazione).

Tuttavia dobbiamo notare che il particolare sistema che è stato adottato da praticamente tutte le nazioni industriali, se da un lato non può togliere al denaro la sua natura di "merce", di bene scambiabile al pari di altri beni, dall'altro lato fa di tutto per occultare questa natura, e per trasformare il denaro in una sorta di entità astratta, semplice "misura" e simbolo del bene reale. Da sempre, da quando cioè è stato inventato per sostituire le forme di baratto meno comode, il denaro è stato scambiato per un puro significante, e per questo considerato una sorta di violazione delle leggi naturali, osteggiato e assunto come radice di tutti i mali (si veda anche un recente post di Eschaton). Una teoria "dualistica" del denaro, insomma, cui occorrerebbe rispondere con un sano monismo, ricordando che non si può veramente estrarre e isolare il valore incorporato negli oggetti.

La visione dualista è incoraggiata anche dal fatto che, se in effetti lo sganciamento del valore dalla merce non è possibile, i meccanismi di produzione del denaro ne fanno comunque una merce particolare, che non ubbidisce del tutto alle leggi della domanda e dell'offerta. Questo, in primis, in quanto si tratta di un monopolio. La Banca Centrale, unico ente autorizzato ad emettere moneta, ha anche una quasi totale discrezionalità riguardo alla quantità di moneta che può emettere. Questo non significa, naturalmente, che può creare ricchezza a piacimento (immettendo troppo denaro non si fa altro che creare inflazione) ma può in effetti agire al di fuori delle logiche di mercato. L'inflazione, del resto, se nel lungo periodo non fa che diminuire il valore del denaro e quindi vanifica i tentativi di aumentare la ricchezza stampandolo, ha effetti diseguali nel tempo su persone diverse, e fasce diverse della popolazione, quindi può davvero trasformarsi in uno strumento occulto di accaparramento di risorse reali (una sorta di "signoraggio"), ovvero una tassazione indiretta sulla popolazione a beneficio delle banche e degli Stati.

L'altro problema è che il corso forzoso, pur non creando il valore dal nulla, lo protegge, ancora una volta, in maniera slegata delle logiche di mercato, interferendo sulle libere decisioni degli agenti razionali, che potrebbero avere motivi per non accettare la moneta come forma di pagamento, come del resto accade nelle transazioni internazionali (posso rifiutare la dracma e pretendere di essere pagato in dollari). L'altro effetto nefasto del corso forzoso è appunto l'eccessiva "fiducia" nel sistema economico così delineato che conduce a investimenti incauti: le banche commerciali si indebitano troppo perché le Banche Centrali piuttosto che farle fallire le finanzieranno oltre il dovuto per evitare conseguenze politicamente indesiderate, e nessuno potrà rifiutare quel denaro.

Una vera "sovranità monetaria" del popolo (di cui tanto cianciano i signoraggisti) potrebbe allora passare non dal controllo dello Banca Centrale da parte dello Stato (che per motivi ovvi sarebbe peggio), ma piuttosto dalla restituzione al mercato, e alla concorrenza, della produzione di moneta. Ovvero non dalla nazionalizzazione delle Banche Centrali come vorrebbe Marra (non tenendo conto del fatto che la Banca Centrale è già pubblica), ma dal suo esatto contrario: dalla loro completa privatizzazione.