mercoledì 3 febbraio 2010

selvaggi


Gli Yanomami sono una popolazione che vive nella foresta amazzonica, in un territorio situato fra il Brasile e il Venezuela. I Tasaday invece vivono nella foresta pluviale di Mindanao, seconda isola in ordine di grandezza dell'arcipelago delle Fillippine.

Conosciuti fin dal XVIII secolo, gli Yanomami divennero molto noti dalla fine degli anni '60 come una delle popolazioni "primitive", di cacciatori-raccoglitori, più rappresentative e citate nei testi, grazie in particolare all'opera dell'antropologo americano Napoleon Chagnon, autore di Yanomamo. The Fierce People. Le osservazioni di Chagnon ebbero l'effetto di sovvertire un certo immaginario riguardante il "buon selvaggio", descrivendo in realtà una popolazione nient'affatto pacifica, ma dedita alla guerra e al saccheggio continuo nei confronti dei villaggi vicini.

Contrariamente agli allarmi sulla criminalità nelle civiltà urbane, risulta che l'omicidio nel mondo degli Yanomami (ma se è per questo anche di molte altre comunità isolate dalla civiltà) è una causa di morte di diversi ordini di grandezza più frequente che nel nostro. Lo status gerarchico, del resto, è legato direttamente al valore di un uomo come guerriero, e quindi al numero dei nemici uccisi, e addirittura Chagnon ha pubblicato un articolo scientifico nel quale mette in rilievo come l'attitudine alla guerra viene rinforzata "evolutivamente" grazie al meccanismo per cui i capi più valorosi possono avere più donne e conseguentemente lasciare una discendenza più numerosa dei rivali. La principale causa di conflitto fra gli Yanomami era vista proprio nella carenza di donne, per un circolo vizioso nel quale le donne, scarsamente valutate come progenie e quindi meno propense a sopravvivere, diventano un prezioso bottino per i guerrieri in virtù del loro scarso numero.

I Tasaday invece vennero scoperti solo nel 1971 da un uomo d'affari e politico filippino, Manuel Elizende (che ne ricevette notizia da un cacciatore chiamato Dafal entrato in contatto con loro). Costui era il consigliere del Presidente Marcos per le minoranze culturali, nel senso che si occupava di mediare tra le esigenze dei disboscatori e la volontà di conservare lo stile di vita delle varie minoranze di indigeni sparse nella foresta. Nel 1971, appunto, fece scalpore il ritrovamento, nel cuore della foresta, di un "popolo perduto", ritenuto del tutto isolato dal resto della civiltà dai tempi della preistoria. I Tasaday (26 persone in tutto, fra uomini, donne, e bambini) vivevano ancora nelle caverne, avevano una lingua loro, erano praticamente nudi tranne che per dei perizomi fatti di foglie intrecciate, non conoscevano l'agricoltura, e usavano solo rozzi attrezzi in pietra.

La notizia di un popolo che ignorava, secondo i primi osservatori, cose come la violenza e la guerra, e dallo stile di vita così semplice e pacifico, a contatto con la natura, affascinava. Finì così sulle pagine dei rotocalchi quali il National Geographic e in televisione. Quegli indigeni nudi e dai capelli lunghi erano la prova che l'umanità non è originariamente corrotta, ma che può essere trasformata nel senso auspicato dai fricchettoni dell'epoca, stanchi del Vietnam e della guerra. I Tasaday vengono visitati sotto la supervisione di Elizelde da un selezionato numero di giornalisti e antropologi, che ne scrivono resoconti entusiastici e realizzano documentari, nonché da visitatori curiosi fra cui l'ex aviatore Charles Lindbergh e la nostra Gina Lollobrigida. Ma solo per pochi anni, perché a un certo punto Manuel Elizende decide di proibire l'accesso a chiunque non abbia il permesso governativo (permesso che sarà negato a tutti), al fine di proteggere la già fragile comunità.

Nel 2000, una lettera inviata al presidente dell'associazione americana degli antropologi (AAA) annuncia la prossima uscita di un libro, Darkness in Eldorado di Patrick Tierney, contenente gravissime accuse contro Napoleon Chagnon e il genetista James V. Neel. Costoro avrebbero volontariamente infettato gli Yanomami con un "vaccino" non efficace che avrebbe scatenato un'epidemia di morbillo, il tutto nel quadro di un esperimento medico su cavie umane inconsapevoli. Si accusava inoltre Chagnon di aver fabbricato le prove sulla violenza fra gli Yanomami, di aver anzi contribuito lui stesso, col suo comportamento e la sua invadenza, a un aumento dei comportamenti violenti, e di aver danneggiato quella popolazione dipingendola in una luce poco favorevole e dando così la scusa per sfruttarla e depredarla dei suoi territori.

In realtà le accuse sull'epidemia artificialmente provocata vengono debunkate quasi subito (le autorità mediche smentiscono con decisione che il tipo di vaccino usato possa trasferire il morbo da persona a persona), ma restano i dubbi sull'operato di Chagnon, già da tempo sotto i riflettori della polemica. Lo si accusa ad esempio di aver acceso la competizione fra gli Yanomami scambiando armi e machete in cambio di informazioni, di averli messi l'uno contro l'altro facendosi rivelare i nomi segreti dei rivali, e poi spifferando apertamente questi segreti in modo da verificare la correttezza delle informazioni, o di aver realizzato documentari su scontri e battaglie che in realtà erano messe in scena da lui organizzate. Anche le sue teorie sulle cause della violenza vengono messe in discussione. La competizione fra gli Yanomami secondo Marvin Harris non è per il sesso ma per il territorio e le risorse ivi contenute (cioè per le proteine), mentre secondo Brian Ferguson (autore di Yanomami Warfare: A Political History) è addiritura per l'accesso all'antropologo, cioè per i favori dell'uomo bianco che porta i doni avvelenati della civiltà e rompe gli equilibri tradizionali.

Nel 1986, quando il regime di Marcos sta per cadere, due giornalisti riescono ad entrare nel territorio Tasaday sotto la guida di un militante comunista legato alla guerriglia contro il regime, Joey Lozano. Quello che scoprono, e che annunciano al mondo, è che i Tasaday non sono mai esistiti, ma che si tratta di un gruppo di contadini del luogo pagati per vestirsi da selvaggi, abitare nelle caverne, e recitare la parte dei primitivi, nel quadro di un'operazione di propaganda messa in opera allo scopo di mettere in buona luce il regime di Marcos o forse solo per soddisfare le ambizioni politiche di Elizelde.

In effetti, alcuni antropologi si erano già chiesti, com'è possibile che un gruppo rimanga isolato per millenni a pochi giorni di cammino dai villaggi più vicini? Com'è possibile che siano sopravvissuti tanto nonostante il loro scarso numero, al di sotto della soglia biologica di sopravvivenza? Perché le grotte sono così pulite, e dove sono i resti, nei pressi delle caverne, che indicano una presenza umana così prolungata nel tempo? Perché la loro lingua è così simile a un dialetto Manobo, ed è così facile da decifrare? Perché nessun antropologo ha davvero potuto osservare il loro modus vivendi, venendo ostacolato dalle interferenze di Elizelde? Com'erano davvero i Tasaday prima di venire in contatto con Dafal, e perché a volte indossano vestiti, e a volte tornano ai loro perizomi solo per compiacere i visitatori? I Tasaday tornano così sotto la luce dei riflettori, ma stavolta come "la più grande truffa della storia dell'antropologia". Gli antropologi che ne avevano avallato la storia vengono messi in ridicolo, e il mito del buon selvaggio nuovamente riposto in soffitta.

Ma le cose non sono mai così semplici. Numerose inchieste vengono svolte sull'operato di Chagnon, alcune ad esplicito intento apologetico, mentre un'altra investigazione viene promossa dall'AAA, che pubblicherà un lungo report informativo (in pratica Chagnon viene "processato" dai suoi colleghi). Ne emerge un quadro alquanto complesso, dove più che l'operato di Chagnon vengono messi in discussione i fondamenti stessi della scienza antropologica. Chi mette in dubbio l'oggettività delle osservazioni di Chagnon, in quanto condizionate dalla sua stessa presenza, non sembra rendersi ben conto che questo è semplicemente inevitabile e di quanto sia ipocrita e superficiale addebitare a lui quello che è una sorta di corollario, applicato all'antropologia, del principio di indeterminazione di Heisenberg.

È comunque evidente l'intento moralistico e persecutorio, in un clima di vera caccia alle streghe, degli accusatori, e sono in molti a notare come la figura dei veri "selvaggi", aggressivi e violenti, in questa storia la stiano facendo proprio le fazioni in lotta degli accademici. Degli Yanomami non interessa un granché a nessuno: quello che è in gioco è una nozione puramente intellettuale della "natura umana" e l'antipatia della sinistra accademica per la sociobiologia e la psicologia evoluzionistica, tacciata di riduzionismo e di eugeneticismo nazista. La vicenda comunque si concluderà in sordina nel 2005, quando l'AAA liquiderà tramite un referendum lo stesso report da essa scritto (fra mille litigi e dissociazioni) sulla base del fatto che una simile investigazione sull'operato di un membro non è prevista dalle regole dell'associazione, soprattutto in quanto priva del consenso necessario sulle questioni etiche messe in gioco (fra parentesi, la storia dello scandalo El Dorado è stata fonte d'ispirazione per uno dei primi post di questo blog).

Ma anche i Tasaday, nel corso degli anni, vengono riscoperti e in un certo senso rivalutati, con qualcuno che si spinge a dire che la vera bufala non sono loro, ma la notizia della bufala, spacciata frettolosamente per verità in un momento in cui tutto ciò che era associato al regime di Marcos era visto come negativo. Anche in questo caso i Tasaday, poverini, non hanno colpa di nulla. Come è documentato nel bel libro di Robin Hemley (Invented Eden) essi esistono, indubitabilmente (oggi hanno anche una loro pagina web), e del resto sarebbe stato impossibile ricreare dal nulla la loro lingua (o dialetto) solo per realizzare una bufala, ma hanno la responsabilità di non esser riusciti a combaciare perfettamente con l'immaginario che la civiltà voleva sovrapporre alle loro persone.

L'ipotesi oggi ritenuta più probabile è che non si tratti di una popolazione antichissima, ma semplicemente di un gruppo staccatosi forse un centinaio di anni fa da una tribù più grande in seguito a un'epidemia (il fugu, forse vaiolo, di cui conservano una vivida memoria), e quindi regredito a uno stato selvaggio, isolandosi nella foresta e perdendo la conoscenza dei metalli e dell'agricoltura. La loro soggezione nei confronti del "benefattore" Elizelde, che li voleva ancora più "selvaggi" di quanto già non fossero, avrebbe poi contribuito ad alimentare gli equivoci a loro riguardo. Quel che è certo è che non sono stati trattati bene da nessuno, abbandonati da Elizelde (fuggito dal paese), e squalificati dalla comunità scientifica, non hanno tratto nessun giovamento dalla loro "recita", se di una recita si è trattato (solo recentemente il governo filippino ne ha riconosciuto ufficialmente l'esistenza).

I percorsi del politicamente corretto, applicati all'antropologia, sono assai tortuosi: da una parte si attacca un antropologo per essersi rifiutato di descrivere in maniera idilliaca il modo di vivere di una popolazione dell'Amazzonia, come se il riconoscerne la componente aggressiva e violenta potesse giustificare davvero il loro maltrattamento, mentre dall'altra parte si nega l'esistenza stessa di un gruppo di persone, solo perché associate (in maniera da parte loro inconsapevole) ad un regime odioso. In tutto questo furore ideologico, come sempre, sono le persone in carne e ossa ad essere dimenticate e messe da parte.

7 commenti:

  1. Articolo interessante, lo intitolerei Quando l'ideologia e' piu' importante della realta'

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  2. Le mie conoscenze di antropologia sono limitate a quattro-cinque volumi studiati per due esami universitari, quindi affronto il tema praticamente da profano, però ci sono dei punti nel tuo articolo che non mi sono chiari.
    Innanzitutto, al di là dell'accusa debunkata di aver diffuso un'epidemia, l'altra accusa, e cioè di aver coscientemente incoraggiato rivalità tra gli Yanomani, è stata smontata anch'essa oppure no? Perché mi sembra francamente strano che alla fine Chagnon venga criticato per aver destabilizzato l'ambiente con la sua presenza, visto che i rischi insiti nell'osservazione sul campo sono stati tenuti in conto sin dai tempi di Malinowski, vari decenni prima del 1968. A prescindere dalla sua colpevolezza o innocenza, se era sospettato di aver alterato apposta i comportamenti della tribù studiata il "processo" da parte dei colleghi era come minimo un atto dovuto (un po' come se degli scienziati fossero sospettati di modificare i dati delle ricerche per dimostrare la propria tesi). Che poi l'associazione abbia fatto un pasticcio con le regole e il dibattito, è un discorso a parte...
    Sulla sociobiologia non mi esprimo, anche se penso che, come per ogni teoria, non vada assolutizzata, perché le spiegazioni unilaterali finiscono sempre per spiegare molto poco.

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  3. Skeight, ti ringrazio per gli approfondimenti che mi chiedi.

    La vicenda, che io ho studiato a suo tempo piuttosto bene, leggendomi non solo il libro che dette il via allo scandalo ma anche i vari report e contro-report, non si presta ad essere liquidata con un semplice "vero" o "falso".

    I comportamenti di Chagnon non sono affatto esenti da possibili critiche, anche se il dolo è improbabile (tieni presente che è lui stesso, nei suoi libri, a fornire delle fonti ai suoi accusatori descrivendo gli iniziali errori compiuti sul campo), poiché non è da escludersi che la sua presenza abbia davvero alterato certi equilibri, ma anche così è la superficialità dell'equazione "uomo bianco = innocenza perduta" che non è accettabile, oltre alla violenza dell'attacco.

    Se ad esempio gli Yanomami facevano davvero la fila per comprare i machete da Chagnon e conquistarsene i favori, non si può ignorare che questo dev'essere dovuto ad una competitività già presente nel loro modo di vivere. Chagnon, in altre parole, non può aver obbligato nessuno ad aggredire qualcun altro, rimanendo valido il principio della responsabilità individuale.

    Inizialmente le accuse verso di lui erano da codice penale, trasformandosi nel corso del processo in semplici e comunque presunte violazioni dell'etica professionale, con la differenza che fra gli antropologi, al contrario che presso gli psicoterapeuti, le questioni di etica professionale non sono ancora ben delineate, né probabilmente ammettono una soluzione netta e definitiva.

    In che misura, ad esempio, è lecito alterare il modo di vivere della comunità? Se gli Yanomami intendevano attaccare un villaggio vicino, Chagnon avrebbe dovuto dissuaderli? Forse sì, ma non sono certo risposte facili.

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  4. Articolo fulminante, grazie.
    Vorrei tanto sapere se la storia di Chagnon che negli anni '60 fabbrica prove sulla violenza fra gli Yanomami e li usa per criminali esperimenti, possa aver qualcosa a che fare con "Cannibal Holocaust", il visionario horror di Ruggero Deodato che nel 1979 raccontava la storia meta-teatrale degli fabbricatori di false leggende sui cannibali, ambientato proprio tra gli Yanomami.
    Troppo forte la somiglianza per essere solo un caso?

    Ma come è possibile che Deodato fosse stato ispirato proprio dalla vicenda di Chagnon, se questa viene svelata nel suo orrore da Tierney solo nel 2000?
    E se fosse stato invece il vecchio (ma famosissimo) film di Deodato, ad imbeccare a Tierney il sospetto di truffa antropologica?

    Sul potere suggestivo e visionario di Cannibal Holocaust avevo già scritto due articoli perchè è una ispirazione infinita per le contestazioni del mio blog ai falsi antropologi della pedofilia (non a caso mi presento con l'avatar del prof. Monroe).
    Caro Thomas, puoi comprendere adesso la mia attenzione alla storia che racconti e la curiosità di sapere se c'è una qualche forma di collegamento. O davvero Ruggero Deodato aveva visto oltre?

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  5. Caro Ugo, confesso che "Cannibal Holocaust" non mi era venuto in mente, forse perché l'ho visto troppi anni fa e non ricordavo neanche che fosse ambientato proprio fra gli Yanomami.

    Credo che una delle ispirazioni per i vari film italiani del genere "cannibale" però sia stato un libro di William Arens, "Il mito del cannibale", dove si liquidava l'intera faccenda del cannibalismo come un mito colonialista, sulla falsariga del "i veri selvaggi siamo noi occidentali" (se non ricordo male le tesi del libro vengono quasi letteralmente citate nel film di Umberto Lenzi "Cannibal ferox", o forse era "Mangiati vivi"). Ne ho parlato anche in un post abbastanza recente.

    L'interesse per gli Yanomami invece può esser venuto da alcuni antropologi italiani, come Ettore Biocca, che scrisse anche una biografia di Helena Valero (ragazza bianca rapita dagli indios e sempre vissuta fra gli Yanomami). Per quanto riguarda le somiglianze specifiche, però, non posso neanche escludere che Tierney abbia visto il film di Deodato e l'abbia utilizzato come canovaccio per creare il "suo" scandalo, anzi, mi sembra un'ipotesi molto suggestiva.

    P.S. Nel libro di Tierney non mancano neanche accuse di pedofilia, però rivolte a un antropologo francese allievo di Levi-Strauss, Jacques Lizot. È molto divertente, fra parentesi, la storia delle rivalità fra gli antropologi Lizot e Chagnon, che avrebbero cercato di uccidersi nella foresta in qualche occasione.

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  6. P.P.S. I due post che hai linkato nel tuo commento sono micidiali. Complimenti.

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