giovedì 12 marzo 2009

rimescolamenti

Quello che mi fa arrabbiare, quando vedo gente in rete che si mette a delirare intorno a truffe immaginarie come quella del “signoraggio”, è che le stesse persone spesso non si accorgono di cose ben più evidenti che stanno proprio sotto il loro naso, ma alle quali non sono interessate semplicemente perché non c’è nessun misterioso complotto da scoprire. Ad esempio, non sento mai dire che la pressione fiscale nel nostro paese potrebbe essere ridotta di una buona ventina di punti, senza far star peggio nessuno, e anzi facendo star meglio tutti. Basterebbe eliminare il fiscal churning.

Il fiscal churning (rimescolamento fiscale) è la misura in cui le stesse persone vengono tassate e sovvenzionate nello stesso tempo. In pratica è quel che succede quando il governo preleva due euro a Tizio per darli a Caio, e contemporaneamente preleva due euro a Caio per darli a Tizio. Non è una mia invenzione: parrà strano, ma questo è quel che avviene ogni anno quando viene varata una nuova legge finanziaria.

Per dare un’idea dell’estensione del fenomeno, il livello di risorse economiche spostate in questo modo nel nostro paese, nel 1993, era dell’ordine del 22,7% del PIL. Considerando che l’intera spesa pubblica annuale ammonta al 55-60% del PIL, questo significa che la spesa pubblica potrebbe essere ridotta a poco più del 30% del PIL semplicemente eliminando il fiscal churning (cioè togliendo alle stesse famiglie sia le tasse che i sussidi) (Fonte). Questo non farebbe stare peggio nessuno, e anzi farebbe stare meglio tutti, a causa dei considerevoli costi amministrativi attualmente affrontati dal fisco, senza contare l’evasione fiscale e la distorsione del sistema economico dovute all’alto livello di tassazione. Per quale motivo, allora, un governo agisce in maniera così irrazionale? Questa domanda è forse troppo intelligente per sperare di ottenere una risposta dai nostri politici, per cui proverò a rispondere io.

Si fa così per questioni di “trasparenza”, nel senso che le politiche fiscali NON devono essere trasparenti. Tutti gli elettori devono credere di essere in qualche modo beneficiati dalla politica fiscale, e a tutti deve essere data una qualche misera soddisfazione: sì, caro padre di famiglia, ti abbiamo aumentato le tasse, ma non lamentarti, perché abbiamo pensato anche a te ed è già pronto un aumento degli assegni familiari per coloro che stanno nella tua situazione.

Questa stessa mancanza di trasparenza rende possibile anche fenomeni che altrimenti sarebbero difficili da spiegare, all’interno di un sistema democratico dove in teoria conta il parere della maggioranza dei cittadini, e non di qualche lobby minoritaria. Ci dovremmo aspettare ad esempio che nel corso della “redistribuzione del reddito”, la maggior parte delle risorse venga spostata da una minoranza privilegiata, e non produttiva, verso una maggioranza di bisognosi, mentre spesso avviene il contrario.

Ad esempio, che cosa succederebbe se la compagnia aerea di bandiera di un certo paese fosse sull’orlo del fallimento, e con un passivo spaventoso, ma il governo si rifiutasse di cederla ad una solida compagnia estera che si offrisse di rilevarla con tutti i debiti, per darla invece ad una improvvisata cordata di industriali autoctoni una volta scaricati i debiti sui contribuenti? Quale governo potrebbe conservare un minimo di credibilità dopo un simile smaccato esempio di favoritismo che danneggia la stragrande maggioranza dei cittadini? La risposta è facile: qualunque governo abbastanza abile e sfacciato da mascherare l’intervento dipingendolo come un gesto di patriottismo industriale.

Non che sia difficile, per un cittadino normodotato, capire cosa stia succedendo, ma occorre tener presente che pure il tenersi informati ha un certo prezzo, e riuscire a sollevare ondate di indignazione popolare ha un prezzo ancora maggiore. Chi perde, perde relativamente poco (anche se la cifra diventa consistente una volta sommati tutti i contributi) mentre chi vince ne trae enormi vantaggi, tanto da rendere conveniente per lui fare campagne d’informazione a suo favore e investire in opere di persuasione sugli organi di governo e di stampa.

Ma forse si tratta di un esempio troppo facile e demagogico: in fondo l’operazione Alitalia un certo rumore lo ha suscitato, e anzi vi è stato un periodo in cui non si parlava d’altro. Ma perché, allora, nessuno parla mai della Politica Agricola Comune? All’interno della Comunità Europea solo un cittadino su quattro abita nelle campagne, solo uno su venti lavora nel settore agricolo, ed ancora minore è il contributo dato dall’agricoltura all’economia europea. Eppure il 40% del bilancio comunitario è destinato alla PAC, ovvero 55 miliardi di euro l’anno (0,5% del PIL dell’UE). La PAC costa a ciascuno di noi 2 euro la settimana, cioè più di 100 euro l’anno (Fonte). Per quale nobile scopo?

Alle sue origini, 50 anni fa, l’accento era posto sulla necessità di produrre cibo sufficiente per un’Europa che usciva da un decennio di carestie dovute alla guerra. I sussidi alla produzione su vasta scala e l’acquisto delle eccedenze nell’interesse della sicurezza alimentare appartengono ormai al passato. L’attuale politica dell’UE è incentrata sull’obiettivo di far sì che i produttori di alimenti di ogni genere (cereali, carne, frutta e verdura o vino) siano in grado di competere in modo autonomo sui mercati dell’UE e su quelli mondiali (Fonte).


Traduco: se inizialmente l’obiettivo era quello di far fronte a una scarsità dell’offerta di fronte alla domanda, oggi lo scopo che ci si prefigge è l’esatto contrario: data la vastità dell’offerta a livello mondiale, noi paghiamo gli agricoltori non per produrre di più, ma anzi per produrre di meno garantendogli al medesimo tempo un decente tenore di vita e tenendo i prezzi più alti rispetto a quelli di mercato. I consumatori ringraziano, i contadini del terzo mondo esclusi dalla concorrenza pure. La cosa naturalmente viene mascherata con le parole d’ordine della sicurezza alimentare e della protezione dell’ambiente, ma il bello è che se fossimo davvero interessati all’ambiente, dovremmo agire esattamente in senso contrario. Dovremmo tassare chi si ostina a vivere in campagna, e favorire l’urbanizzazione.

Per un amante della natura è certamente più romantico vivere in un casolare situato a chilometri di distanza da qualsiasi avamposto della civiltà, solo che, dovendosi spostare, l’amante della natura userà un fuoristrada e consumerà molta più benzina di qualsiasi altro cittadino. Bisognerà allacciarlo alla rete elettrica, al gas e all’acqua, bisognerà portargli Internet e il telefono in casa, e inoltre è prevedibile che consumi molto di più in riscaldamento. Le metropoli saranno più brutte (per alcuni) ma sono, da molti punti di vista, dei paradisi ecologici.

Le città, inoltre, non sono semplici agglomerati di case e persone: sono degli agglomerati di idee. Ciò che spinge la maggior parte delle persone a concentrarsi in così poco spazio è, fra le altre cose, il fatto di poter incontrare altre persone e sfruttare le maggiori opportunità offerte da questi incontri. Trasferirsi in una città, quindi, non arreca vantaggio solo a colui che si trasferisce, ma produce una esternalità positiva. È un po’ come il telefono: non serve quasi a niente finché ci sono solo due o tre apparecchi in giro, ma ogni nuovo apparecchio installato aumenta esponenzialmente l’utilità dell’invenzione. Nelle parole di Colin Ward (pensatore anarchico):

La città è una proprietà comune dei suoi abitanti. È, in senso economico, un bene pubblico […] il valore astronomico assegnato al centro della città emerge solamente dal fatto che è al centro delle attività di milioni di persone. Loro, non i proprietari, hanno creato questi valori, che evidentemente appartengono ai cittadini.


Occorrerebbe quindi aiutare chi decide di trasferirsi in centro, contribuendo alla creazione di questo valore comune. Naturalmente, la politica dei piani regolatori va in senso esattamente contrario: tende a limitare la costruzione di nuovi alloggi in zone ad alta densità abitativa, favorendo i proprietari di immobili e penalizzando gli inquilini, facilitando le speculazioni, e aumentando vertiginosamente il prezzo degli affitti.

Questi sono i complotti veri. Non sono segreti, e infatti per saperne qualcosa basta andare a leggere qualche libro o rivista di economia. Non troverete accenni al fiscal churning o alla PAC, invece, sui vari siti dedicati alla contro-informazione: quelli che consigliano di curare il cancro col bicarbonato perché le terapie ufficiali sono una truffa sanitaria, che parlano di aerei che rilasciano scie chimiche allo scopo di sterminare i nove decimi dell’umanità, quelli per cui i terremoti e gli uragani sono telecomandati dagli americani, e quelli per cui i telefonini cuociono le uova.

Ma non è un complotto per danneggiare la democrazia. Anche per questo esiste una spiegazione del tutto razionale: informarsi e documentarsi costa. Persino lo scrivere questo modesto post mi è costato qualcosina. Riempirsi la testa di stronzate invece non costa nulla. Almeno, a breve termine. E i nostri politici lo sanno, per questo non mi preoccuperei troppo della libertà di parola su Internet. A chi conviene eliminare Beppe Grillo, finché continuerà a occuparsi delle bio-palle?

19 commenti:

  1. molto bello il post,complimenti.avrei qualche piccolo appunto sul vivere in campagna:i contadini sanno ottimizzare tutto quello che la natura concede,sia per produrre cibo che per produrre energia,ho parenti contadini a cesena,e i primi pannelli solari li ho visti a casa loro per far funzionare gli irroratori di acqua circa venticinque anni fa.solo chi pensa di andare a vivere in campagna con lo stile della città fa gli stessi errori e pretende le stesse "comodità".e poi,scusa,ma il modo è quasi tutto in internet ,la città a me e a molti altri avanza! ciao e complimenti ancora.mauro.

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  2. Bel post!
    Sottoscrivo, anzi potrei averlo scritto io (se solo tu avessi sbagliato accenti e doppie).
    Sul concetto di città aggiungerei una postilla (sperando di non finire troppo OT).Cioè:
    come noi in Italia concepiamo la città è profondamente sbagliato.
    Es. Milano,Como e Monza sono considerate tre città indipendenti (anzi tre province indipendenti) e nel loro territorio sorgono alcune tra le città più popolose d'Italia come Cinisello e Sesto San Giovanni. Ma aldilà della storia e delle beghe di campanile si tratta di una solo agglomerato urbano omogeneo che all'estero (USA,Germania) verrebbe trattato come una singola metropoli ottimizzando costi e strutture e SOPRATTUTTO ottimizzando gli investimenti.Ovviamente facendo in questo modo si risparmierebbe un sacco di burocrazia e si taglierebbero un sacco di "poltrone".

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  3. Rileggendo il mio post precedente mi rendo conto che , anche a mettere le virgole, non sono granchè

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  4. Ovviamente non ho nulla contro chi vuole vivere in campagna, purché non mi venga a raccontare che la sua scelta è più ecologicamente responsabile di chi rimane a respirare lo smog in attesa alla fermata del tram. Pannelli solari o no (che sono una buona cosa), se tutti i cittadini di campagna si trasferissero in città, rimanendo inalterati i loro consumi, ci accorgeremmo di quanto sporcano.

    Grazie a entrambi per i complimenti.

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  5. E finalmente ce la faccio a darti contro! ;-)

    Partiamo dall'inizio.

    Il meccanismo alla base del fiscal churning è il medesimo che contraddistingue le politiche economiche dei paesi europei da quelle, ad esempio, statunitensi: una spiccata propensione alla redistribuzione fiscale in ottica egualitaria.

    Che poi tale principio divenga spesso invasivo e, all'occasione, si presti poi anche a meccanismi addirittura sperequativi come quelli che hai ben evidenziato, è pure vero.

    Ma l'adozione di un approccio volto alla forte fiscalità, alla redistribuzione e al dirigismo o, viceversa, a meccanismi di liberismo più marcati è una questione di filosofia economica generale indipendente dai possibili abusi.

    Ma dove dissento più fortemente dalla tua visione è nella contrapposizione del mito del "buon cittadino" allo sprecone campagnolo.

    Non li vediamo, forse, i medesimi fuoristrada torreggiare nelle vie caotiche delle metropoli, usati dalla "sciura" di turno nel nobile impegno di portare il figlioletto a scuola?
    E quanta plastica "rifiuta" un fast food a confronto con l'umido che il contadino ricicla direttamente nel campo?
    E se il contadino non vive disperso nell'ambiente, con mille esigenze di connessione alla civiltà, ma in un comune centro urbano, solo di qualche migliaio di anime invece di qualche milione?

    Insomma: un po' troppo facile la comparazione tra due stili di vita estremi, sia che la riduciamo alle linee elettriche da tracciare sia che la misuriamo in termini di rifiuti pro-capite.

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  6. E finalmente ce la faccio a darti contro! ;-)

    Anch'io ne sono lieto. È noioso essere sempre d'accordo. ;-)

    Brain, d'accordo sulle diverse filosofie riguardo alla concezione di Stato e intervento pubblico. Io sono a favore di uno Stato molto più leggero di quelli che abbiamo in Europa, ma non è questo il punto (tanto è vero che il fenomeno esiste anche negli Stati Uniti, stando alla tabella linkata). Il fatto è che il fiscal churning non ha nessuna ragione di esistere, se non puramente burocratica. È solo una misura dell'inefficienza di un governo nel distribuire aiuti.

    Ma dove dissento più fortemente dalla tua visione è nella contrapposizione del mito del "buon cittadino" allo sprecone campagnolo.

    Va bene, ma non si tratta di due diversi atteggiamenti morali. Anzi, sono disposto a concedere che spesso chi vive in campagna è più sensibile e rispettoso dell'ambiente, mentre le città sono piene di irresponsabili che non sono neanche in grado di buttare la carta o la plastica in cassonetti distinti. Dico solo che il vivere in grandi agglomerati urbani comporta automaticamente una maggiore efficienza nell'utilizzo delle risorse e minori sprechi. Questo vale anche per i piccoli comuni (ovviamente in misura minore).

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  7. solo una misura dell'inefficienza di un governo nel distribuire aiuti.

    In questi termini (purtroppo per te :P ) torniamo ad essere perfettamente d'accordo!


    Dico solo che il vivere in grandi agglomerati urbani comporta automaticamente una maggiore efficienza nell'utilizzo delle risorse e minori sprechi.

    E io dico che non è sempre né necessariamente vero.

    Se migliora l'efficienza impiantistica in genere, peggiora l'efficienza dei mezzi di trasporto, almeno di quelli privati.
    Se aumenta l'interscambio delle idee, ne aumenta proporzionalmente l'entropia (bella, questa, vero? ;) ).
    Se diminuisce il costo pro-capite di alcuni servizi, aumenta il costo pro-capite di altri, ad esempio quelli sanitari derivati dalle alte concentrazioni di inquinanti, o quelli di ordine pubblico.
    Ecc...

    E' indubbio che l'agglomerato urbano abbia le sue funzioni e il suo fascino. Del resto la Storia ci insegna le ragioni del nascere e del fiorire delle città.

    Ma non deve essere inteso per forza come optimum fino a creare un sistema del tutto squilibrato in cui l'uomo si trovi inurbato esclusivamente in grandi centri.

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  8. Sul "non sempre" e "non necessariamente" è difficile darti torto, ma a questo punto ci vorrebbe uno studio dettagliato con tutti i calcoli e i confronti.

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  9. "È un po’ come il telefono: non serve quasi a niente finché ci sono solo due o tre apparecchi in giro, ma ogni nuovo apparecchio installato aumenta esponenzialmente l’utilità dell’invenzione."

    ehm... credo che l'utilità cresca al più in modo quadratico.

    lasciamo questo tipo di imprecisioni a chi parla in televisione (sono semiserio ;-)!

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  10. Giusto. Me la potrei cavare appunto dicendo che l'aggettivo "esponenziale" è ormai usato come sinonimo di "crescita molto rapida", ma la realtà è che pure a me danno fastidio queste imprecisioni. Negli altri. :-)

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  11. Questa domanda è forse troppo intelligente per sperare di ottenere una risposta dai nostri politici, per cui proverò a rispondere io.

    Allora, sèm a post!

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  12. Esempio Alitalia: dici "una sollida [sic] compagnia estera che si offrisse di rilevarla con tutti i debiti". Come pensava Airfrance di sanare i debiti?

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  13. Con la vendita di T-shirts con su scritto "Aridatece la Gioconda", o forse, trattandosi di una compagnia aerea, facendo volare gli aerei.

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  14. lo sanno tutti che la famosa compagnia aerea estera avrebbe ripianato i debiti alitalia rilevando dal nwo l'appalto delle irrorazioni chimiche su sanremo e la sardegna!!!!!!! mauro

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  15. Thomas, un solo appunto, anche la signorina al centro del dipinto è piuttosto discinta...

    ;-)

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  16. Anonimo
    Come pensava Airfrance di sanare i debiti?

    Conferenza stampa del presidente Air France (marzo 2008): LINK
    A mio parere non è un paese normale quel paese con gravi problemi economici, dove qualcuno per interessi propagandistici a fini elettorali, manda all'aria una occasione unica di risparmio per le finanze collettive, e la gente non se ne accorge, non si ribella. Non è normale.

    @ Thoma Morton
    Interessante articolo (come sempre), anche se forse un poco polemico... io abito alla periferia di un paesotto della bassa bresciana, e non lo scambierei con un appartamento in centro città :P

    Un altro esempio di inutile spreco è il carrozzone delle Province. Inutile spreco di denaro per la collettività, ma utile a pochi per la gestione del proprio potere.

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