sabato 6 ottobre 2012

malati transitori

Durante il mio breve periodo di supplenza, qualche mese fa, parlando di malattie mentali mi capitò di menzionare il fatto che l'omosessualità non è più considerata un disturbo della personalità solo dal 1973, anno in cui venne cancellata dal manuale diagnostico e statistico.

Per riassumere brevemente la faccenda, in quell'occasione venne cancellata solo la cosiddetta "omosessualità ego-sintonica", ovvero quella in cui il soggetto accetta la propria condizione, mentre continuò ad essere considerata un disturbo da curare (nel senso di far cambiare orientamento sessuale al soggetto) l'omosessualità ego-distonica, fino all'uscita del DSM IV nel 1994. È ancora oggi considerato un disturbo la distonia dell'orientamento sessuale in genere, disturbo che però può riguardare anche le persone eterosessuali (e si ritiene che il compito della terapia dovrebbe essere piuttosto quello di far accettare il proprio orientamento sessuale).

La storia di come l'American Psychiatric Association (APA) arrivò a prendere questa decisione è molto interessante, e se ne parla in questo post. Qui vale la pena ricordare, quale dettaglio pittoresco, come in questa storia a un certo punto faccia la sua comparsa un certo dottor Anonymous, con maschera di Nixon (a me sembra piuttosto Leatherface di The Texas Chainsaw Massacre) e parruccone, che parla a un incontro appositamente organizzato per descrivere la sua condizione di psicologo gay costretto a nascondere le sue preferenze (altrimenti non avrebbe potuto esercitare, secondo il regolamento dell'ordine).

Meno pittoresco è il fatto che tale decisione venne presa sia per pressioni interne alla comunità degli psicologi, non soddisfatti dello statuto teoretico della definizione di omosessualità come malattia, che per pressioni esterne alla comunità scientifica, ovvero da parte degli attivisti gay. Motivo questo per cui anche dopo la revisione del 1973 questa incontrò una forte opposizione da parte di una minoranza conservatrice di psicologi convinti che la scienza avesse ceduto il passo alla politica, all'ideologia. E in effetti ci si può ben chiedere quanto abbiano contato i motivi ideologici in quella decisione.

È esattamente quando ho detto questo (ma non è che abbia ripetuto tutto il pappardello sopra, non giudicatemi male) che una studentessa mi ha guardato e mi detto: "ma prof, era giusto che non fosse considerata una malattia". Mi ha fatto molto piacere una tale sensibilità contro l'omofobia in una ragazza di liceo, e naturalmente l'ho subito rassicurata: certo che era giusto. Il punto però non era questo. Il punto è che è effettivamente difficile, quando si vuole stabilire cosa è un disturbo mentale, riuscire a discriminare che cosa è puramente scientifico da quello che è politico e ideologico, forse impossibile.

Ma il punto qui non è nemmeno ribadire l'ovvietà secondo cui i giudizi di valore sono sempre inestricabilmente mescolati con i giudizi teoretici, il punto forse è che non c'è nessuna realtà oggettiva sulla quale i nostri giudizi di valore fanno presa, essendo quella realtà appunto una costruzione di quegli stessi valori. Non parlo ovviamente della "realtà" in senso generale (non sono un idealista), parlo di alcune specifiche realtà, ovvero di quei fenomeni che vengono appunto chiamati "disturbi mentali".

Nel libro I viaggiatori folli Ian Hacking introduce la categoria della "malattia mentale transitoria". Un disturbo mentale transitorio è un disturbo che fa la sua comparsa in una certa epoca, in un certo contesto, viene descritto, studiato, analizzato, e poi sparisce così come era misteriosamente comparso. Il caso dal quale prende le mosse Hacking è l'epidemia della fine dell'Ottocento di "determinismo ambulatorio", ovvero di persone che spinte da un qualche stimolo irresistibile si sentivano come costrette a vagare senza meta, spesso in stato di coscienza alterata, ritrovandosi poi a distanza di mesi, ritrovata la lucidità, in paesi lontanissimi dalla loro residenza abituale.

Il primo caso di fugueur diagnosticato come tale fu un operaio di Bordeaux, Albert Dadas, e il medico che per primo descrisse il male fu Albert Tissiè (figura importante anche per la storia della pedagogia e in particolare dell'educazione fisica, le idee riguardo alla quale lo posero in contrasto col barone de Coubertin). Ma presto moltissimi altri ne seguirono, prima in Francia, poi anche in Germania. È affascinante seguire nel libro di Hacking le polemiche e i dibattiti dottrinali che accompagnarono il decorso dell'epidemia: in sostanza secondo la scuola di Tissiè la fuga era un fenomeno di origine isterica mentre secondo la scuola di Charcot apparteneva invece alla classe dei disturbi epilettici. È affascinante, dicevo, in quanto secondo le moderne categorie psichiatriche quella diatriba non ha alcun significato, non trova posto nella nostra tassonomia scientifica, è come se quelle persone stessero parlando, in assoluta serietà, del sesso degli angeli. Cosa che dovrebbe almeno far sospettare che i dibattiti odierni possano essere giudicati un domani nello stesso modo.

Comunque accanto alla malattia mentale transitoria Hacking introduce il concetto, collegato e altrettanto importante, di "nicchia ecologica", ovvero l'insieme delle condizioni (sociali, culturali, economiche) affinché una malattia mentale venga all'esistenza, e la mancanza delle quali ne determina invece la scomparsa. Quali fattori hanno determinato, ad esempio, la comparsa del determinismo ambulatorio nella Francia di fine Ottocento? Una risposta plausibile, per Hacking, è la polarizzazione-opposizione fra due altre categorie (polarizzazione solo in quel momento resa possibile), quella del turista e quella, antica, del vagabondo. Il vagabondaggio era un fenomeno che destava allora preoccupazione sociale, che si cercava di estirpare tramite meccanismi di controllo quali il documento d'identità reso obbligatorio, meccanismi ai quali Albert Dadas tentava di sfuggire "smarrendo" ripetutamente i suoi documenti (ma in altre occasioni conservando quelli che lo "certificavano" come malato da curare). Dall'altro lato della medesima polarità si trova il fenomeno, nuovo, del turismo: la media borghesia è libera di viaggiare (grazie anche all'espansione delle ferrovie) per il puro piacere di farlo e vedere posti nuovi.

Ma persone come Albert Dadas non sono classificabili né come vagabondi né come turisti: non sono reietti e diseredati della società come il classico vagabondo, si tratta di professionisti, persone che hanno un loro lavoro, ma al tempo stesso mancano dei requisiti di benessere tali da identificarli come turisti. Ecco allora che si rende necessario spiegare la loro esistenza introducendo una nuova etichetta: Albert Dadas è la devianza patologica di quegli altri fenomeni, altrimenti normali e rassicuranti (rassicuranti almeno dal punto di vista cognitivo). Negli Stati Uniti il fenomeno non prende piede perché lì la polarità in questione è resa impossibile dal mito della frontiera. In Germania invece è rinforzato da un altro elemento della polarità: quello della renitenza alla leva, tanto che parte dei dibattiti verte sul come distinguere il vero fugueur (isterico o epilettico che sia) dal semplice disertore. Infine il fenomeno cessa quando viene a mancare uno dei poli che lo alimentano, ovvero quello della paura del vagabondaggio. Ma anche per motivi interni alla scienza psichiatrica (anch'essi facenti parte della nicchia ecologica), ovvero l'aggiornamento della tassonomia e delle classificazioni mediche che dissolvono la dicotomia tra isteria ed epilessia, negano uno status autonomo alla fuga e semplicemente la inseriscono all'interno dei comportamenti possibili associati ad altri disturbi della personalità (di varia natura).

Hacking non intende dire che il fenomeno non sia in un certo senso "reale" (lo è certamente, anche se reso relativo), che sia una sorta di impostura, né il suo libro vuole essere un atto di accusa in senso antipsichiatrico. Credo piuttosto che intenda essere una seria riflessione su quanto sia rischioso certo "positivismo" applicato alle scienze che studiano la mente. Quali altre malattie transitorie conosciamo? Non è molto difficile individuare una classe di possibili candidati. Lo stesso Hacking ha scritto un precedente libro, La riscoperta dell'anima, dedicato al disturbo della personalità multipla, che in molti sospettano essere una sorta di costrutto giuridico, fatto per evitare il carcere ai responsabili di atti violenti e alimentato anche dalle pratiche pseudoscientifiche di certi psicologi che usano l'ipnosi per far emergere false memorie. Vogliamo parlare del disturbo da deficit dell'attenzione? Oppure della sindrome di Asperger, dove possiamo anche ritrovare quella polarità fra due termini in opposizione, ovvero l'idiota e il genio asociale (il geek)? Forse pure l'anoressia potrebbe essere classificata come transitoria, se si ritengono necessarie certe condizioni solo oggi presenti affinché possa esistere.

Tornando all'omosessualità, potremmo chiederci di nuovo: perché era considerata una malattia, e perché non lo è più? Quali sono le condizioni affinché un dato comportamento possa essere classificato come patologico e deviante? Quello che il sottoscritto trova curioso, ad esempio, è il come la "normalità" (non patologicità) del comportamento sia passata attraverso l'instaurarsi di un dogma oggi praticamente indiscusso quale l'ipotesi innatista. Oggi insinuare che l'omosessualità possa essere il frutto di una scelta (consapevole o meno) derivante da esperienze di vita è considerato oltraggioso, qualche decennio fa forse sarebbe stato considerato oltraggioso il contrario, sempre dal punto di vista del pensiero politicamente corretto, perché qualsiasi ipotesi innatista correva il rischio di essere bollata come riduzionismo biologico e quindi di stampo addirittura eugenicista.

Si tratta di un modo, direi, per escludere a priori l'intervento terapeutico, perché se uno non ha la possibilità di essere altro che omosessuale (o eterosessuale) allo psicologo spetta al massimo il compito di fargli accettare questa condizione. Non esiste invece la possibilità che un orientamento sessuale incerto possa  prendere una direzione o un'altra in seguito a particolari condizioni successive alla nascita, o meglio, questa possibilità non deve essere riconosciuta perché si vuole escludere che qualcuno possa considerare il proprio orientamento sessuale (specie se omo) come qualcosa di indesiderabile, da dover cambiare. Ma a me sembra chiaro che in questo modo gli psicologi vengono meno al loro dovere di neutralità e non fanno altro che sovrapporre quelli che sono i nostri valori (di liberali occidentali del ventunesimo secolo) ai desiderata dei loro potenziali clienti. Mentre io, da non credente, non trovo nulla di particolarmente scandaloso nel fatto che un cattolico possa desiderare di "guarire" dalla sua omosessualità. Pensare questo sarebbe come considerare il cattolicesimo una malattia da estirpare, inserendola magari nel DSM prossimo venturo.

In realtà, le condizioni che prima rendevano possibile la classificazione dell'omosessualità come malattia non consistevano tanto, da parte degli psicologi, in una valutazione moralistica del comportamento omosessuale (ma ci sarà stato sicuramente anche questo), quanto in una valutazione oggettiva del fatto che l'omosessualità era, ai tempi, socialmente indesiderabile. Ed è il fatto che la società ha infine accettato l'omosessualità come un comportamento non scandaloso ad avere infine spinto verso la revisione. Alcuni omosessuali in paesi dove l'omosessualità è proibita provano certamente un disagio direttamente legato alla loro condizione, ma questa è in fondo la definizione di disturbo della sessualità: una disfunzione nel meccanismo dell'attrazione sessuale che preclude la trasmissione dei propri geni, e tale da provocare un disagio psichico in chi ce l'ha. Il che significa che il considerare l'omosessualità una malattia oppure no potrebbe dipendere dal paese dove ci si trova a risiedere.

Ovviamente, come dissi alla mia studentessa nel tentativo di rassicurarla, è senz'altro una cosa positiva che gli psicologi americani abbiano alla fine rivisto le loro posizioni, in quanto la posizione degli psicologi, oltre a registrare il dato di fatto, rischiava di giustificarlo e perpetuarlo. Ma ancora una volta, questo ci fa solo capire come l'intreccio sia pressoché inestricabile. Il problema insomma, non è nel concetto di omosessualità, è nel concetto di malattia mentale.

2 commenti:

  1. A mio avviso il problema è che il concetto di malattia non è scientifico, in realtà. La malattia è un malfunzionamento, presuppone dunque un funzionamento, e dunque uno scopo. Solo rispetto a quello che viene visto come "il corretto funzionamento" è possibile definirne uno scorretto.
    Dunque cosa è malattia e cosa non lo è dipende esclusivamente da una valutazione di carattere sociale, pratico e, sì, anche morale. Paradossalmente c'entra pochissimo con la scienza! Per questo non può essere considerata del tutto neutrale la decisione dell'APA, ha una ragione che si potrebbe definire ideologica, o filosofica: non si è più disposti a considerare malattia un qualcosa che non crei DI PER SE' un disagio clinico. Abbondano esempi dibattuti e più attuali, come ad esempio la sordità: i sordi molto spesso non si considerano malati, e sono offesi dai tentativi di curarli. Questa posizione è a mio avviso del tutto legittima, è il paziente a dover essere al centro, a dover decidere se considerarsi malato o meno; è una definizione che non può essere calata dall'alto. Sono convinto che questo approccio sia corretto, e che debba essere espanso ulteriormente, addirittura penso che la dicotomia sano/malato, specialmente in psichiatria, debba essere superata.
    Per questa ragione quando sento dire da omofobi vari che la decisione "fu frutto di pressioni della comunità", dico che non solo non è vero (semmai fu frutto ANCHE di pressioni della comunità), ma anche che è perfettamente legittimo, anzi, è un obbligo morale, sentire cos'ha da dire il paziente sulla sua condizione prima di classificarlo come sano o malato; altrimenti lo si trasforma in un oggetto, una non-persona.
    Diciamo che decidere cosa è malattia e cosa non lo è, non solo in psichiatria, non è una decisione cosiddetta scientifica, ovvero l'affermazione di un dato di fatto scientifico, ma un'affermazione scientificamente informata, ovvero in cui su una conoscenza corretta e scientifica dei fatti si innestano considerazioni di altra natura.

    PS: complimenti per il blog :)

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