martedì 8 luglio 2008

Peirce e lo struzzo

In un breve saggio del 1877, dal titolo Il fissarsi della credenza, il filosofo americano Charles Sanders Peirce affronta la questione di come gli esseri umani cercano di uscire dallo stato di dubbio e incertezza nel quale possono venire a trovarsi.
Quando desideriamo formulare un giudizio, dice Peirce, è perché vi è una differenza fra la sensazione di credere e quella di dubitare: il dubbio è uno stato inquieto e insoddisfatto, paragonabile all’irritazione di un nervo, dal quale cerchiamo di uscire; lo stato della credenza è invece uno stato calmo e soddisfacente, al quale non desideriamo porre fine. Vi è anche una differenza pratica: le credenze ci stimolano all’azione, costituiscono un abito che determinerà il nostro comportamento quando si presenterà l’occasione adatta, mentre il dubbio ha, semmai, un effetto paralizzante. L’unica azione che ci spinge a compiere è appunto quella di tentare di trovare una risposta. La lotta per ottenere uno stato di credenza si chiama Ricerca, e il solo obiettivo della ricerca è, appunto, il formarsi di un’opinione. Con queste semplicissime osservazioni Peirce ha già spazzato via una buona parte delle teorie sugli obiettivi della ricerca, sia filosofica che storica o scientifica: ci ricorda infatti che il dubbio, da cui prende avvio la ricerca, deve essere vivo e concreto, e che non ha senso formulare problemi su questioni intorno alle quali, nel proprio intimo, non nutriamo dubbi affatto. La ricerca non è fine a se stessa, o altrimenti detto il senso del viaggio sta nell’arrivare a destinazione, non nel viaggio stesso.
Stabilito questo ci sono però, avverte Peirce, diversi metodi di fissazione delle proprie credenze: egli ne individua quattro.

1) Il primo metodo è quello della tenacia. Esso consiste nell’aggrapparsi a un’opinione qualsiasi e attenersi semplicemente a quella, evitando come la peste le esperienze o gli argomenti addotti da altri in contrario.
Questo metodo è effettivamente seguito da molti, qualche volta da tutti: potrebbe capitarci, ad esempio, di non voler leggere un libro che parli a favore di un’opinione che ci ripugna (come un saggio che neghi la realtà storica dell’Olocausto) per paura che il libro ci faccia venire dei dubbi che al momento non abbiamo, e ci faccia così uscire dal nostro placido stato di accettazione dell’opinione diffusa. È anche un metodo molto seguito per la soluzione delle questioni attinenti alla religione. Possiamo paragonare questo atteggiamento a quello dello struzzo quando nasconde la testa sotto la sabbia.
Da un certo punto di vista, questo metodo è buono quanto qualsiasi altro, e forse più, visto che persegue il suo scopo con grande economia di mezzi. Se davvero si riuscisse a condurre l’intera vita in tal modo, non ci sarebbe nulla da obiettare, secondo Peirce; purtroppo, però, questo metodo non è davvero praticabile, “l’impulso sociale gli è contro”. È impossibile vivere in una comunità senza che gli uomini si influenzino a vicenda con le proprie opinioni, di modo che attenersi a quel programma risulta estremamente arduo, e il dubbio, volenti o nolenti, tornerà a far capolino nelle nostre menti.

2) Il problema diventa allora non la fissazione delle credenze di un singolo individuo, ma dell’intera comunità: il secondo metodo per la fissazione delle credenze è quindi quello dell’autorità. Semplicemente, si delega a un organo competente il problema di stabilire la giusta opinione per tutti, e ci si attiene a quella. Tale organo deve avere anche il potere di impedire la diffusione e l’accettazione di idee contrarie esercitando, se occorre, la violenza, altrimenti non potrebbe essere realmente efficace.
Anche questo metodo, inutile dirlo, ha illustrissimi precedenti, ed è quello tuttora seguito dalla Chiesa cattolica (non si tratta di una battuta anti-clericale, ma di una pura constatazione). Ma anche le comunità di scienziati o di storici tentano talvolta di assumersi questa responsabilità, dicendo a tutti quel che si deve pensare su un dato argomento, e cercando di impedire la diffusione di teorie alternative (vedi riscaldamento globale). In alcuni paesi è un reato punito con la prigione negare l’esistenza dei campi di sterminio nazisti (che sono esistiti, ma non perché lo dice la legge).
Ma, sebbene molto più efficiente del primo, nemmeno questo metodo può, alla lunga, essere realmente mantenuto. Una simile istituzione non può riuscire a fissare ogni opinione su ogni argomento possibile, ma deve limitarsi a quelle particolarmente importanti. Ma anche le opinioni di cui ci si occupa, prima o poi, tenderanno a essere influenzate da quelle per le quali si è lasciata piena libertà, perché non si può reprimere la capacità umana di fare 2+2. Certi uomini, accorgendosi che esistono altre culture e altre “autorità”, non potranno fare a meno di accorgersi come le loro idee siano arbitrarie almeno quanto quelle degli altri. E con estremo disappunto, questi uomini precipiteranno nuovamente nello stato di dubbio.

3) Occorre dunque un nuovo metodo: la terza via fra quelle indicate da Peirce consiste nel ragionare su un argomento e infine adottare quell’opinione che si adatta meglio al proprio modo di pensare, alle proprie inclinazioni, ovvero quell’opinione che è in armonia con la ragione. È il metodo dell’a priori, ed è forse quello che è stato maggiormente seguito nella storia della filosofia, particolarmente in metafisica: “Platone, ad esempio, trova in armonia con la ragione che le distanze reciproche fra le sfere celesti siano proporzionali alle diverse lunghezze delle corde che producono accordi armoniosi”. Per un esempio meno esotico: “si consideri la dottrina per cui l’uomo agisce solo egoisticamente, sulla base cioè della considerazione che agire in un modo gli procurerà maggiore piacere che agire in un altro modo; questa dottrina non si basa su alcun fatto al mondo, ma ha avuto una estesa accettazione come la sola teoria ragionevole”.
Questo metodo è decisamente migliore di quelli che l’hanno preceduto, e finché non se ne trova uno migliore si consiglia di seguirlo, essendo espressione dell’istinto che, in ogni caso, costituisce la causa ultima della credenza. Tuttavia il suo fallimento è ancora più evidente: la ricerca diventa qualcosa di simile allo sviluppo del gusto, il gusto è soggetto alle mode, le mode cambiano, ed ecco che è proprio a causa dell’aver seguito troppo questo metodo che troviamo quella grande difformità di opinioni contrarie e contraddicentesi (ognuna in accordo con la ragione e l’intelletto di qualcuno) in politica, in economia, in filosofia (fa eccezione la scienza, per i motivi che vedremo fra breve). In realtà, questo metodo non differisce poi troppo da quello dell’autorità: l’autorità esterna vi è semplicemente sostituita da una “dittatura del senso comune”, che è destinata a crollare non appena ci si accorga di come le cause di certe nostre convinzioni siano in realtà del tutto accidentali (l’essere nato in Italia invece che in Polinesia, vivere nel ventunesimo secolo invece che nel Medioevo).

4) Il quarto, e definitivo, metodo è quello che Peirce chiama metodo scientifico, dove il termine “scientifico” va inteso in un’accezione piuttosto larga, non necessariamente ristretta all’ambito delle scienze naturali. L’ipotesi alla base di tale metodo potrebbe essere così enunciata: vi sono cose “Reali” i cui caratteri sono del tutto indipendenti dalle nostre opinioni su di esse. Tali cose Reali, inoltre, hanno un effetto sulla nostra esistenza, sulla nostra esperienza del mondo. Qualunque, uomo, quindi, avvalendosi della propria esperienza e del proprio ragionamento su di essa, è in grado di arrivare a una conclusione che non sentirà più il bisogno di abbandonare, perché è l’unica Vera.
Come facciamo a sapere che esiste una tale realtà? Non potremmo dubitare anche di questo? La risposta è implicita nel dubbio stesso. Quando dubitiamo siamo combattuti sulla verità di due, o più, ipotesi contrastanti: se fossero entrambe vere, o entrambe false, non avremmo ragione di dubitare e il dubbio non ci lascerebbe in uno stato di inquietudine che desideriamo superare (parafrasando Cartesio, dubito, quindi il mondo è).

Il metodo della tenacia, quello dell’autorità, e quello dell’a priori, sono tutti quanti usati con grande frequenza in ambito complottista.

Tenacia: continuare a dire che un buco è di 5 metri quando invece lo si può misurare e constatare che i metri sono 35, rifiutarsi di leggere le analisi dei debunker, o fare finta di non aver letto le varie smentite, liquidare tutte le testimonianze oculari che parlano di un aereo al Pentagono come “menzogne”, dire che le Torri sono crollate alla velocità di caduta libera ignorando l’evidenza contraria, continuare a ripetere la stessa frase (“the building is about to blow up”) nell’illusione che il suo valore probatorio (estremamente ridotto) si accresca con la ripetizione.

Autorità: fare ricorso a improbabili “esperti” per appoggiare teorie inconsistenti, tentare di dare autorità al proprio discorso semplicemente in virtù del numero di persone che lo sostengono (”la maggioranza degli americani crede che la versione ufficiale è falsa”), fare ricorso a formule matematiche e leggi fisiche solo per il fascino prodotto dal loro nome, e non per la loro applicabilità al caso in questione (“la caduta delle Torri viola il secondo principio della termodinamica”), aggredire verbalmente coloro che non sostengono le ipotesi di complotto, e bannarli non appena accennano una reazione, impedire o tentare di impedire l’accesso a fonti di informazione non “in linea” (esempio)

A priori: ignorare volutamente i “dettagli tecnici” per concentrarsi sul “quadro generale” della situazione geopolitica d’inizio secolo, sostenere che “il limite non è nella loro cattiveria”, ma nella nostra fantasia, pensare che il complotto è reale semplicemente perché lo si ritiene possibile (in virtù della cattiveria attribuita ai governanti o a servizi segreti), o perché piace pensare che lo sia (in virtù delle proprie idee politiche).

Il metodo scientifico, come possiamo constatare, è quasi completamente assente dalle “analisi” dei complottisti. Come abbiamo visto, però, non è detto che questo sia un male assoluto. Tutti i metodi elencati di “fissazione della credenza”, sono ugualmente validi, nella misura in cui sono efficaci. Così, non ho nessun consiglio da dare a chi riesce a mantenere ferme le proprie opinioni grazie al metodo della tenacia, e dovrei anzi complimentarmi con costui. Stessa cosa dicasi per l’autorità e l’a priori. Poiché però non tutte le persone sono uguali, se qualcuno dovesse essere punto da vaghezza per il metodo scientifico, non riuscendo a trovarlo sulle pagine dei complottisti, può rivolgersi altrove. Ad esempio, qui.

9 commenti:

  1. Sai a quanta gente consiglierò di leggerti, Thomas?
    Non servirà a niente, già lo so, ma lo farò.

    Bel lavoro!

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  2. Grazie, brain_use.
    Anche se in efetti non credo che questo sia un tipo di blog destinato a una grande popolarità.
    Ciao.

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  3. Non dubito che non possa ambire all'audience del grande fardello...
    Ma meglio pochi ma buoni.
    Chi ha voglia di usare il cervello può imparare molto dai tuoi scritti!

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  4. Interessante articolo, ma ho l'impressione, che parlando dell'undici settembre, tu invece segua il secondo metodo.
    Con stima, Aseptik

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  5. Grazie per la stima, Aseptik.
    Io credo invece di seguire più il terzo metodo: trovo assurde a priori le teorie del complotto, e basta. Spesso non mi stimolano neanche alla ricerca, e se lo fanno non è perché nutra qualche dubbio reale su come sono andate le cose, ma perché mi piace imparare.

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  6. ma qualcosa di più divertente...so che puoi....tipo il vecchio metodo del bastone e della carota?

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  7. Il metodo della tenacia, quello dell’autorità, e quello dell’a priori, sono tutti quanti usati con grande frequenza in ambito complottista.

    Dovresti come minimo concedere, però, che il metodo dell'autorità è usato praticamente sempre dalle – pensa un po'! – autorità.

    (Ma perché mi hai messo tra i nemici? Sei cattivo!)

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  8. Ciao Pax.

    Dovresti come minimo concedere, però, che il metodo dell'autorità è usato praticamente sempre dalle – pensa un po'! – autorità.

    l'autorità è, come dovrebbe essere, più spesso usata per costringere a fare, piuttosto che per costringere a credere, non trovi?

    (Ma perché mi hai messo tra i nemici? Sei cattivo!)

    eh, eh. Se non gradisci ti levo, ma non era per cattiveria, giuro. Solo ironia.

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  9. l'autorità è, come dovrebbe essere, più spesso usata per costringere a fare, piuttosto che per costringere a credere, non trovi?

    Se la massa non credesse, non ci sarebbe modo per l'autorità di costringerla a fare quello che essa desidera.

    Se la massa degli individui – a parte rare eccezioni – non fosse convinta che "lo stato siamo noi", non ci sarebbe modo né di estorcer loro le tasse né di mandarli a far la guerra.

    Se non gradisci ti levo, ma non era per cattiveria, giuro.

    No, no, per carità, ci mancherebbe che mi mettessi tra gli amici!

    :-)

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