La memetica, come molti sanno, è una cosa inventata da Richard Dawkins in un capitolo del suo libro Il gene egoista.
In origine era solo un'analogia molto interessante. Dawkins si chiedeva se oltre al Dna era possibile individuare altre entità che evolvessero in modo darwiniano, ovvero tramite replicazione ed errori, e la selezione operata dall'ambiente. Un possibile candidato, secondo Dawkins, erano le "idee", o "unità di memoria", ribattezzate "memi" per assonanza con i geni.
Le idee, secondo questa concezione, sarebbero copiate e trasmesse più o meno fedelmente attraverso i vari veicoli (i cervelli umani, eventualmente attraverso l'intermediazione di media come la stampa o la tv), entrerebbero in competizione tra loro per occupare le limitate risorse di memoria dei loro portatori, ed evolverebbero di conseguenza.
Una filastrocca, ad esempio, può essere sentita una prima volta, memorizzata, e poi ritrasmessa con qualche piccola modifica. Il successo delle varie ed eventuali modifiche, che possono dipendere da semplici lacune di memoria di colui che ripete la filastrocca, dipenderà dalla loro facilità di memorizzazione e di esecuzione. Filastrocche troppo complicate e con versi eccessivamente lunghi, parole difficili, e dalla metrica ardita, quindi, tenderanno a cedere il passo alle loro varianti più semplici, dalla cadenza ripetitiva e in rima baciata.
L'idea interessante è che così come, secondo Dawkins, i geni non lavorano necessariamente per il bene dell'organismo ospite, ma lavorano, egoisticamente, soprattutto per il proprio tornaconto (la massima diffusione nella biosfera), così dovrebbero agire anche i memi. In questo modo si spiegherebbe la diffusione di idee che sembrerebbero altamente perniciose, almeno dal punto di vista degli esseri umani che le ospitano.
L'esempio paradigmatico di meme è la classica catena di sant'Antonio, diffusa per lettera come ai vecchi tempi o ancora meglio via posta elettronica. Un messaggio di questo tipo non ha altra funzione se non quella di replicarsi il più possibile, e infatti anche il suo contenuto consiste di poco altro che dell'istruzione "replicami", accompagnato da qualche minaccia o lusinga. Lo si potrebbe paragonare a un virus, che infatti non è altro che uno scarno involucro di proteine contenente una stringa di Dna la cui unica funzione è quella di replicarsi. Alcune varianti della classica catena sono i consueti appelli-bufala, che facendo leva su sentimenti universali come la pietà per i bambini malati o il sospetto nei confronti delle malefatte delle industrie multinazionali, ci convincono a diffondere messaggi il cui contenuto non è stato verificato.
Ma Dawkins aggiunge, provocatoriamente, che anche entità culturali enormemente complesse come le religioni potrebbero essere paragonate a "virus della mente". Il beneficio che le religioni apportano alla vita dell'individuo, o alla società nel suo insieme, è infatti dubbio (almeno dal punto di vista di Dawkins che è un noto anticlericale). Ma le religioni, a volte dotate di contenuti poco "ragionevoli" (come la credenza in un parto virginale), sono provviste, come le catene di sant'Antonio, delle loro minacce e lusinghe allo scopo di convincere il loro portatore a non abbandonarle, e anzi a propagarle.
Un "trucco" ben riuscito, ad esempio, una vera barriera contro la ragionevolezza e il buon senso, è il famoso motto attribuito a Tertulliano "credo quia absurdum": "ci credo proprio perché è assurdo", e non "nonostante sia assurdo". In questo modo l'assurdità di un sistema di credenze si trasforma, agli occhi del portatore, in un pregio, in una caratteristica affascinante, piuttosto che in un difetto. Questo "atletismo della fede", per cui un uomo è tanto più virtuoso quanto più riesce a digerire le peggiori sciocchezze, è in effetti una caratteristica comune a molte credenze religiose.
La memetica quindi sarebbe lo studio scientifico delle strategie elaborate dai memi al fine di garantire a se stessi la massima diffusione e conservazione. Il problema è che una scienza del genere non esiste, nonostante il successo clamoroso dell'idea di Dawkins al livello della cultura pop, perché dopo trent'anni dalla pubblicazione del Gene egoista siamo ancora fermi allo stadio del vago suggerimento e dell'analogia. E probabilmente questo è anche il massimo cui la memetica possa aspirare: non può esistere una scienza della memetica per il semplice motivo che la cultura, escluse notevoli eccezioni, non si evolve affatto in questo modo.
Dawkins, con la sua consueta abilità argomentativa e intelligenza, ha fatto balenare davanti agli occhi dei neo-positivisti il miraggio impossibile di una scienza materialistica e quantitativa della cultura, rivoluzionaria quanto lo è stata la teoria di Darwin per la biologia, e molti suoi ammiratori (fra cui un grande filosofo come Daniel Dennett) ci sono cascati con entrambi i piedi, sottovalutando le difficoltà intrinseche in una tale visione. Tanto per cominciare, la stessa esperienza quotidiana e un minimo di introspezione dovrebbero avvertirci che le cose non possono essere così semplici.
Le idee, infatti, non vengono diffuse e replicate per semplice imitazione, e non si modificano per il tramite di errori casuali: esse si trasformano a causa dello sforzo cosciente, da parte dei loro portatori, di migliorarle, valutandone le potenzialità e gli eventuali difetti. Le idee non sono virus che si propagano nell'aere dai quali rimaniamo involontariamente infetti e che diffondiamo tramite contagio altrettanto inconsciamente. Noi le cerchiamo, nello sforzo di migliorare le nostre vite e la nostra visione del mondo, le selezioniamo, scartando quelle che ci paiono inutili o dannose, e poi ci sforziamo di migliorarle, per trovare le soluzioni ai nostri problemi o alle nostre curiosità sul mondo. E niente di tutto questo assomiglia a un vero processo di selezione darwiniana.
Una mente cosciente e intelligente è un qualcosa che viene sempre a rompere le uova nel paniere ai vari progetti riduzionistici. C'è infatti qualcosa di più, per il quale rimango piuttosto scettico riguardo alla memetica: nessuno sa dire esattamente in che cosa consistono i memi, o idee. Non che la definizione di "gene" sia del tutto priva di ambiguità, ma nel caso della genetica sappiamo grosso modo a cosa corrisponde un gene nel mondo materiale: è un pezzetto di acido desossiribonucleico incorporato in una cellula. Sappiamo dire quando un gene è dello stesso tipo di un altro, anche a prescindere dalla funzione svolta per l'organismo: due geni sono identici quando sono composti dagli stessi nucleotidi, quando le loro "stringhe" sono identiche. Mentre nel caso delle idee, non solo ci mancano criteri chiari per capire quando un'idea è la stessa di un'altra (il vecchio Quine diceva sempre "no entity without identity"), ma abbiamo anche molti motivi per credere che non esista niente, nel mondo materiale, a cui corrisponda sempre una stessa idea (una tale posizione corrisponderebbe, in filosofia della mente, alla teoria dell'identità dei tipi, oggi assai poco in voga).
Dal momento che non abbiamo un'idea di cosa siano, in realtà, le unità di replicazione e selezione che renderebbero conto in maniera darwiniana dell'evoluzione della cultura, è difficile pensare di poterci davvero costruire sopra una scienza rigorosa. Quella di Dawkins resta, tuttavia, una provocazione affascinante, che alcuni studiosi hanno inoltre raccolto ed elaborato in maniera critica e originale (ad esempio Dan Sperber, che invece di "memetica", con la sua stretta analogia darwiniana, preferisce parlare in modo più generico di "epidemiologia delle credenze"). E su cui vale la pena di riflettere.
Se sono abbastanza sicuro, infatti, che una tale analogia non possa affatto rendere conto dell'evoluzione della cultura nel suo complesso, può ben darsi invece che alcuni fenomeni culturali abbastanza circoscritti corrispondano grosso modo al quadro delineato da Dawkins ed epigoni. Trovo abbastanza inutile chiedersi da dove venga la teoria della relatività: essa è un parto del genio di Einstein, ed è così diffusa, nei libri di testo e nelle università, perché rappresenta una descrizione vera del mondo, o almeno un'ottima approssimazione alla verità. Ma da dove vengono, invece, le barzellette o le leggende urbane, da dove vengono certi culti religiosi (ho letto da poco un romanzo, Pastorale americana di Joseph Roth, dove la figlia del protagonista a un certo punto si dedica al giainismo: si mette una garza sulla bocca per non nuocere ai microbi, ed evita di lavarsi per non fare del male all'acqua), da dove vengono certe teorie di complotto?
Le teorie del complotto infatti sono un po' come le barzellette: non nel senso che fanno ridere (non solo), ma nel senso che le modalità di propagazione sono simili. Molto spesso non c'è un vero "autore": alcuni complottisti sono molto noti, ma di rado possono essere identificati come gli autori originari delle teorie cospirazioniste, poiché esse sono "nell'aria" e attecchiscono dove trovano del terreno fertile. A differenza della teoria della relatività, inoltre, è molto difficile sostenere che le cause del loro attecchimento si trovano nella loro corrispondenza alla realtà o nel successo nel prevedere o spiegare gli eventi. Esse corrispondono piuttosto a bisogni psicologici, e si alimentano dei pregiudizi o delle fobie della gente.
Come le barzellette, esse sembrano propagarsi ed evolversi per replicazione ed errore, nel senso che vengono ripetute acriticamente in maniera meccanica, salvo le innumerevoli varianti che acquistano vita indipendente, e delle quali è molto difficile rintracciare l'origine. La riprova del carattere "meccanico" o automatico del sistema di propagazione la si può ritrovare in qualsiasi forum di discussione sulle teorie cospirazioniste, e nella loro evoluzione altalenante e imprevedibile. Basti notare infatti come risulti pressoché impossibile superare o dare per acquisite certe nozioni: supponiamo che venga denunciata una certa "stranezza" della "versione ufficiale" per quanto riguarda il 9/11, come ad esempio il fatto che le rotte percorse dagli aerei mostrano manovre "impossibili". La cosa viene ripetuta fino a quando qualcuno non fa notare che le rotte disegnate in realtà non sono quelle ufficiali, le quali invece appaiono eseguibili senza difficoltà particolari. Il tema viene dimenticato per un breve periodo di tempo, ma dopo qualche mese un nuovo utente apre una nuova discussione dove denuncia il fatto, scandaloso, che gli aerei hanno percorso manovre impossibili. E si riparte da capo. Non si può dire che non esista un'evoluzione, ma di certo non c'è progresso.
Nonostante molti cospirazionisti amino definirsi "ricercatori", è fuor di dubbio che la ricerca scientifica non progredisce in questa maniera. I ricercatori non assimilano passivamente le nozioni ripetendole a pappagallo senza verificarle e senza aggiornarsi allo stato dell'arte della ricerca. I ricercatori vanno in cerca delle informazioni più attendibili, più aggiornate, e poi tentano di elaborarle personalmente (dove però per elaborazione personale non si intende, ovviamente, la prima boiata che viene in mente), e poi verificano di nuovo il frutto delle loro elaborazioni. No, le teorie scientifiche non assomigliano un granché ai memi di Dawkins.
Trovo interessante il fatto che una teoria avanzata al fine di rendere conto, in maniera sistematica e simil-quantitativa, dell'evoluzione della cultura, ovvero della più alta espressione della mente umana e della sua capacità raziocinante, riesca ad apparire promettente solo in quei campi ristretti dove la razionalità sembra fallire del tutto il suo compito.
Gentilissimo,
RispondiEliminagrazie per la visita e per l'apprezzata segnalazione. Causa noia estiva ho da poco ripreso le attivita' blogghesche, da cui l'aggiunta del tuo blog ai link, datosi che mi pare ricco di spunti davvero interessanti. In realta' lo leggo da svariati mesi, essendo purtroppo incappato tempo addietro in alcuna marmaglia sciachimista, con l'unico risvolto positivo di aver appunto conosciuto alcuni blog molto apprezzabili.
Ad maiora,
*
Articolo molto interessante e pieno di spunti per buone letture. Grazie :)
RispondiEliminaTra l'altro mi sembra banale rilevare che mentre gli umani son dotati di coscienza i geni non lo sono, il che ha un enorme impatto nella gestione dei fenomeni.
RispondiEliminaDtm, credo che il punto sia questo: la metafora intenzionalista funziona benissimo per i geni, pur essendo i geni non dotati di coscienza e intelligenza. Il che potrebbe spingere a pensare che una metafora meccanicistica, per inversione, funzioni per le entità dotate di coscienza e intelligenza. Ma non funziona.
RispondiElimina(non che sia un dualista, ma non posso ceerto mettermi a disquisire sul problema mente-corpo in due righe)
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RispondiEliminaSei noioso, Ano. La prossima volta trova qualche modo di insultarmi che non faccia riferimento alle seghe. Un po' di fantasia, su.
RispondiEliminaCancelli il post… però rispondi. E non ti imbarazza citare Einstein. Fantastico (ma logico).
RispondiEliminaIo non credo si possa collegarsi alla scienza, ma anche solo a Darwin, quando si parla di "idee". Dato che una qualsiasi idea può essere buona per uno, cattiva per un altro, è impossibile parlare di "miglioramento" e/o "evoluzione" come la intendeva Darwin per una specie, in questo caso quella umana.
RispondiElimina"Le idee, infatti, non vengono diffuse e replicate per semplice imitazione, e non si modificano per il tramite di errori casuali"
RispondiEliminaPreciserei: non solo. In molti casi i "movimenti di massa" funzionano proprio così.
Penso che la memetica possa essere promettente in campo statistico, per la diffusione di mode, costumi e "esprit du siécle".
"Noi le cerchiamo, nello sforzo di migliorare le nostre vite e la nostra visione del mondo, le selezioniamo, scartando quelle che ci paiono inutili o dannose, e poi ci sforziamo di migliorarle, per trovare le soluzioni ai nostri problemi o alle nostre curiosità sul mondo."
Questo è vero a livello individuale e sopratutto su idee che si sviluppano per confronto e valutazione.
Non vale per le idee assunte acriticamente o per quelle soggette al puro e semplice "principio di autorità" (come, nella maggior parte dei casi, per le idee religiose).
Non vale per le idee assunte acriticamente o per quelle soggette al puro e semplice "principio di autorità" (come, nella maggior parte dei casi, per le idee religiose).
RispondiEliminaSono d'accordo, ma non possiamo fare del'eccezione, o del malfunzionamento della ragione, una regola. Anche nei casi più estremi, penso sia impossibile un approccio "puramente" statistico a causa del contenuto comunque normativo e razionale della credenza (e pure olistico, tanto per dire una parola difficile).
ma non possiamo fare del'eccezione, o del malfunzionamento della ragione, una regola.
RispondiEliminaUn blog, invece, pare di si.
Non vale per le idee assunte acriticamente o per quelle soggette al puro e semplice "principio di autorità" (come, nella maggior parte dei casi, per le idee religiose).
RispondiEliminaO come, appunto, le tesi cospirazioniste in genere.
senza volermi addentrare troppo nella discussione consiglierei la lettura di " la macchina dei memi " di Susan Blackmore , a mio avviso risponde a molti dei dubbi che vi siete posti sulla memetica
RispondiEliminaTi ringrazio per il consiglio, DrMorbius. Conosco l'esistenza di quel libro, ma un riassuntino veloce veloce, in modo che venga maggiormente invogliato a leggerlo, non vuoi proprio farmelo?
RispondiEliminanon mi chiedi poco, è un librone bello pieno.. Cmq in pillole , la Blackmore prima di tutto ipotizza che l'uomo si sia distinto dagli altri animali sopratutto per la sua capacita di imitazione adattiva ( vedi neuroni specchio ecc ecc ), questo( molto molto molto in breve ) sarebbe fondamentale per la capacità che abbiamo di "assorbire" e utilizzare concetti complessi per semplice scambio di informazioni( vedo un tizio pescare , leggo una ricetta , mi raccontano una storia ), in pratica buona parte della nostra evoluzione genetica
RispondiEliminasarebbe stata spinta ( per motivazioni che la Blackmore ipotizza) a trasformarci in una perfetta macchina per assimilare memi in fretta e bene( sopratuto aggiungerei nei prima anni di vita).
Quando al discorso dell autodeterminazione e della coscienza la Blackmore ci va pesante , definendo il se come "selfplex" ovvero a suo dire la coscienza potrebbe essere un semplice complesso di memi , una specie di "software" che vaglia i memi in arrivo rispetto alla possibilità di addattarli al memeplesso "coscienza" e li accetta/rifiuta.
Questa però come spiegazione è davvero davvero complessa e lunga e la lascerei al libro.
una pillola ( in italiano ) qui
http://www.susanblackmore.co.uk/Co
nferences/OntopsychItal.htm
aggiungo un ultima cosa , io non sono del tutto d'accordo con la blackmore , ne credo che la memetica sia la Risposta con al R maiuscola , però puo essere un buon strumento da utilizzare per formalizzare certe dinamiche e a mio avviso mertia di essere studiata e capita , non fosse altro che come meme "antivirus" utile a
proteggerci dai mille trucchi del marketing virale( nella sua accezione più generica).
Viceversa, anche le "teorie ufficiali" vengono ripetute a più non posso da tutti i media, fino a diventare qualcosa di scontato, su cui non si discute più ma si da per certo, la prima che mi viene è L'IRAK HA ARMI DI DISTRUZIONE DI MASSA . Meditate gente.
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