Da qualche settimana mi sono messo a dieta. Non c'è nulla di straordinario né di particolarmente interessante in questo, ma come tutte le persone a dieta ammetto che in questi giorni mi è difficile pensare a molto altro. Ma nel mio caso in realtà l'interesse che provo non è tanto rivolto al cibo e agli effetti sul mio corpo, quanto alla verifica di certe ipotesi. Sono abbastanza fortunato da godere di buona salute e non avere un problema di obesità, quindi non mi sono mai preoccupato molto di quello che mangio (piuttosto, sono o anzi ero vegetariano per motivi squisitamente etici).
C'è però la questione intellettuale di cui mi sono già occupato nel post precedente a questo, un interesse in un dibattito scientifico alimentato da recenti letture. Quali sono le cause dell'obesità (e di altre malattie?). E quali sono le diete più efficaci per perdere peso? Essendomi fatto un'idea, ho così deciso di metterla alla prova personalmente (pur essendo consapevole che in realtà il valore dell'esperimento scientifico condotto su un singolo soggetto per di più biased è abbastanza scarso). Oltre a una questione di mera curiosità, a dire il vero, c'è una questione anche, volendo, morale, ovvero di riparazione di ingiustizie protrattesi per decenni.
Sembra che la preoccupazione principale di quelli che si occupano del problema dell'obesità, a quanto pare in costante e drammatico aumento nei paesi sviluppati, sia quello di trovare un colpevole, prima di trovare una soluzione. Dopo che i malati di Aids hanno vinto la loro battaglia per non essere considerati da tutti dei peccatori meritatamente puniti per il loro comportamento sregolato l'obesità è ancora vista come un marchio d'infamia, uno stato che non può conoscere scusanti di sorta. Eccezione concessa, forse, solo agli infanti, ma solo per spostare la colpa senza nessun tipo di sforzo intellettuale al più facile bersaglio (da sempre e per qualsiasi cosa riguardi i bambini), ovvero i genitori, colpevoli di maltrattamento e meritevoli di gogna, come suggerito da questo articolo (un esempio fra tanti) o dal seguente poster demotivazionale.
Infatti i genitori dei bambini grassi sono di solito grassi a loro volta, in quanto ghiottoni, ed è chiaro che il loro desiderio è quello di riscattarsi da una vita di prese in giro rifacendosi crudelmente sulla prole, alla quale viene imposta fin dalla nascita una dieta a base di trippa infilata a forza nel cavo orale. L'idea che i genitori, normalmente, provino amore per i loro figli e desiderino il loro bene non sfiora i nostri censori. Figuriamoci se possono essere sfiorati dalla genetica, dal fatto che i bambini tendono ad assomigliare ai loro genitori anche in maniera del tutto indipendente dagli espedienti che questi adoperano per renderli simili. Tanto che il figlio di genitori obesi adottato alla nascita, udite udite, avrà praticamente le stesse probabilità di diventare obeso che se fosse cresciuto nella sua famiglia naturale (facendo i debiti aggiustamenti per reddito, nazionalità, ecc.), come dimostrano anche gli studi effettuati sui gemelli.
Il peso corporeo, in ogni caso, è universalmente visto come una diretta conseguenza di un fattore comportamentale semplicissimo che si riassume ancora una volta nella più crudele delle massime che derivano dalla cosiddetta saggezza popolare: se vuoi dimagrire "magna di meno". Una condanna moralistica travestita da ovvietà, perfida quanto il suggerire a una persona depressa di sorridere di più. La folk science prosegue, nella sua demolizione di qualsiasi tentativo di giustificazione del grassone che giura di non mangiare affatto quelle porzioni da elefante che lo si accusa di ingurgitare, con l'altra picconata inferta anche ai valori dell'umanità e della civiltà: "ad Auschwitz nessuno era grasso", quasi come se il problema non fosse quello di dimagrire restando in buona salute e senza dover sopportare le torture fisiche e morali di un detenuto in un campo di sterminio, cosa difficilmente raggiungibile con un mero sforzo di volontà.
Dalla colpa individuale i moralisti passeranno poi a mettere sotto accusa l'intero sistema dei valori su cui si basa l'Occidente, l'avidità, il consumismo, il liberismo economico, il laissez-faire, mali dei quali l'epidemia di obesità è un simbolo oltre che un contrappasso evidente. Nel famoso film di Morgan Spurlock di qualche anno fa, Super Size Me, il colpevole diventa appunto la catena di fast food McDonald, responsabile del crimine di vendere cibo, e implicitamente tutta l'industria alimentare se non l'intero sistema capitalista, che ci forza a consumare sempre di più, violando e non rispettando il nostro prezioso ecosistema naturale, simboleggiato nel film dalla fidanzata-fata turchina chef vegetariana che alla fine salva il protagonista-pupazzo nelle mani delle multinazionali con una dieta veg in armonia con la Natura.
Il problema di un film del genere, e dell'esperimento che ne è al centro, è che può servire a indignare, a mobilitare le coscienze, ma non si sa esattamente contro che cosa. Non serve infatti a stabilire con precisione quali potrebbero essere le cause del peggioramento di salute che Morgan Spurlock avrebbe sperimentato, non serve quindi a trovare rimedi che siano altri dal manifestare contro la McDonald simbolo della iniquità del mondo moderno, e forse organizzare azioni legali che renderanno ricchi certi avvocati e associazioni ma non renderanno meno grassi gli americani. In questo caso, la responsabilità, bisogna ammetterlo, è spostata dall'individuo, assolto in quanto stupido, alla società, ma il contenuto moralistico tuttavia rimane immutato. Su questi temi segnalo il brillante documentario-replica di Tom Naughton Fat Head.
Le conclusioni e gli indirizzi della odierna scienza alimentare si sono formati in un periodo storico che è coinciso in effetti con l'esplosione dell'economia del benessere diffuso, della prosperità. Questo e il fatto che esiste un'intera classe di malattie certamente definibili come "malattie della civiltà", nel senso che sono ignote o rarissime presso i popoli che sono appunto rimasti tagliati fuori dalla storia, ha generato una reazione di rifiuto culturale (si pensi alle comunità hippy) che non poteva non influenzare anche la ricerca scientifica, e suggerire come la soluzione dovesse passare almeno in parte attraverso il ritorno a forme di esistenza più "naturali", invito anche sensato sul piano strettamente medico-sanitario (vi è sicuramente qualcosa, nel nostro modo di vita, che ci danneggia) ma rischiosamente intrecciato appunto ad atteggiamenti moralistici che non aiutano a fare chiarezza. E il principale accusato – mai veramente messo in discussione se non da dietologi come Atkins sistematicamente criminalizzati come irresponsabili a caccia di facili guadagni – divenne così l'eccesso di calorie, secondariamente l'eccessivo consumo di grassi e di carne rossa.
Cerchiamo allora di capire qualcosa di più e di meglio. La folk science, la setta del "magna di meno", con l'approvazione purtroppo di buona parte dei dietologi, invocherà come sostegno alla sua tesi il più citato e abusato dei principi scientifici (citato spesso ad esempio dai complottisti dell'11 settembre quando pretendono di dimostrare che le torri gemelle mica potevano cadere come sono cadute, senza barbatrucchi): il principio di conservazione dell'energia, trasformando una macchina complessa quale il corpo umano in un mero recipiente di calorie, il cui peso dipende senza altre complicazioni da quanto entra e quanto esce. Sei sei grasso vuol dire che mangi troppo oppure che non fai abbastanza esercizio fisico, cioè sei un goloso incontinente oppure un pigro, nessuna alternativa o giustificazione.
Soffermiamoci su quest'ultimo punto, essendo innegabile la sua apparente forza. In realtà, che le persone grasse mangino troppo rispetto a quanto consumano, o che brucino troppo poco rispetto a quanto mangiano, è una tautologia, e in effetti una diretta implicazione del principio di conservazione dell'energia. Proprio perché affermazione tautologica, però, non è informativa. Non sappiamo cos'è questo troppo. Non importa che ci domandiamo quanto effettivamente mangia (o sta bruciando) una persona grassa, se si tratta di due calorie al giorno oppure 10.000, è chiaro che sarà sempre troppo, dal momento che è grasso: l'aumento di peso non è causato da uno sbilancio energetico, è uno sbilancio energetico. Quello che trascuriamo di chiederci, quando pronunciamo tautologie con l'aria di avere fatto grandi scoperte, è appunto quali potrebbero essere le cause di questo sbilancio. Non sappiamo qual è la direzione causale, qual è la causa e qual è l'effetto, e nemmeno se le due variabili, quella delle calorie in entrata e quella delle calorie in uscita, siano indipendenti come l'argomento "magna di meno" tenderebbe ad assumere.
Potrebbe darsi benissimo che uno mangi tanto proprio perché grasso e non viceversa: espressa in maniera più precisa, può darsi che l'organismo non riesca a trasferire abbastanza rapidamente le risorse energetiche dalle riserve contenute nei tessuti adiposi alle cellule, laddove c'è bisogno per il loro funzionamento, e per questo richieda ancora maggiori risorse sotto forma di alimentazione, risorse in più che andranno per la maggior parte a depositarsi, ancora una volta, nei tessuti adiposi – invece di essere usate come combustibile – per un difetto dell'organismo. Se a una persona con questo difetto chiediamo di mangiare meno le sue cellule saranno ancora ancora più bisognose di energia, cosa che determinerà necessariamente un calo compensativo dell'attività fisica. Se a questa persona chiediamo di fare esercizio fisico il mancato apporto energetico a livello cellulare determinerà un attacco di fame acuta.
Una persona priva di questo difetto metabolico, se mangiasse più del necessario, compenserebbe in maniera naturale bruciando le calorie in eccesso, e se viceversa conducesse una vita troppo sedentaria compenserebbe mangiando di meno (non provando gli stimoli dell'appetito). Ora, la regolazione del metabolismo per mantenere costante il proprio peso è una delle prime cose che hanno imparato gli esseri viventi, un trucco che riesce benissimo persino agli organismi unicellulari, nel nostro caso probabilmente settata in maniera profonda nell'hardware del nostro sistema nervoso. Ha senso ipotizzare che possa essere guidata dalla nostra volontà razionale, dal nostro comportamento volontario? E che un difetto metabolico nel rapporto tra calorie in entrata e calorie in uscita possa essere corretto grazie al controllo cosciente di ciò che mangiamo e di quanto ci muoviamo? Che possiamo fregare il nostro corpo così facilmente? Come diceva Pascal "il corpo ha le sue ragioni, che la ragione non conosce" e mai detto si è dimostrato più vero se pensiamo alle ragioni dei dietologi ortodossi.
Non c'è quindi nessuna violazione del principio della conservazione dell'energia (anzi, si è fatto uso di esso), nell'ipotizzare che esista un difetto, probabilmente ormonale, responsabile dell'eccessivo aumento di peso (e forse anche dell'eccessiva magrezza come nell'anoressia) e dell'obesità, e non un difetto psicologico e comportamentale. Si può naturalmente anche ipotizzare quali siano le cause ambientali che favoriscono l'emergere di questo difetto in una grande fetta di cittadini (è impossibile che siano puramente genetiche visto l'andamento epidemiologico). Senza farla troppo lunga e senza trasformare questo post in una troppo noiosa dissertazione, è da circa 150 anni che ogni tanto riemerge, per poi come dicevamo essere ricacciata nell'oblio, la teoria di una dieta ricca di carboidrati e zuccheri (specialmente se raffinati) come particolarmente cicciogenica, mentre una dieta povera o addirittura priva di carboidrati servirebbe a perdere peso. Il primo a proporla, e sperimentarla con successo su di sé, fu un certo William Banting nel 1867 (curiosamente questo Banting è lontano parente di Frederick Banting, premio Nobel per la scoperta dell'insulina, ormone ritenuto dai lowcarbonari il principale responsabile dell'aumento di peso). In tempi più vicini a noi ci sono stati la dieta Atkins, il metodo Montignac, la Zona, e la più recente dieta Dukan (che però, a mio avviso sconsideratamente, elimina anche i grassi). Ed è questa ipotesi che mi accingo a testare tramite una dieta rigorosamente lowcarb, ma altrimenti ricca in calorie e in grassi (saturi o insaturi non mi importa).
Un cambiamento di paradigma scientifico, purtroppo, non sempre è accompagnato in maniera istantanea da un corrispondente cambiamento di mentalità. Ne è la prova per esempio un libriccino di Guia Soncini, Come salvarsi il girovita, che non è esattamente un libro di dietetica, ma più un trattatello sulla mania (giustamente paragonata a una sorta di fervore religioso) per le diete e per la ricerca della linea perduta. Ora, la Soncini non è una scrittrice di scienza ma piuttosto una fustigatrice di costumi (spesso anche acuta), per cui è giusto che ci faccia la morale, ma ci si aspetterebbe almeno un po' di coerenza. Invece riesce a scrivere più volte nel corso del libro quella frase che odio ("magna di meno") accompagnata dalla considerazione che i grassi, come i tossici, "mentono sempre", praticamente nella stessa pagina in cui ha appena celebrato Karl Lagerfeld per aver perso 42 chili in 13 mesi evitando i carboidrati. Riesce a dire "ricordate quando contavamo le calorie? che ingenuità" e poco dopo disserta sul fatto che le "magre naturali" sono tali perché a loro non piace mangiare.
Ma il principio alla base del motto "magna di meno" è che "una caloria è una caloria", ovvero non esiste nessuna differenza, ai fini dell'aumento di peso, fra una caloria di carboidrato e una caloria di grasso o proteine. Non conta quello che mangiate, conta solo quanto mangiate. Ed è un principio evidentemente opposto all'ipotesi del carboidrato, secondo cui le calorie non contano, ma conta cosa l'organismo decide di farne, il che dipende anche da che tipo di calorie sono (sostanzialmente: gli zuccheri nel sangue aumentano il livello di insulina, la quale inibisce la mobilitazione dei grassi che rimangono lì a ingrossarci la pancia o il sedere). Se c'è una morale sulla quale potrei invece essere d'accordo con l'autrice è che in effetti non si ottengono risultati senza sacrifici, come alcuni libri di diete troppo entusiasticamente promettono. Ma insomma, nessuno può essere così pazzo da sostenere davvero che fare a meno del pane, della pasta, della vera pizza napoletana, non costituisca un grosso sacrificio. Siamo seri, siamo italiani.
P.S. come sta andando il mio esperimento: in tre settimane di dieta rigida ho perso almeno quattro chili, passando da 80 a 76 e rientrando nel peso forma (qualche cosa devo averlo perso nei mesi precedenti perché ricordavo una misura della bilancia anche più severa). Sto cercando di tenere alto il numero di calorie giornaliere facendo colazioni abbondanti "all'inglese", ma ammetto che non è facile perché una degli effetti di una dieta lowcarb è proprio la perdita dell'appetito, che limita la quantità di cibo ingerito a pasto. Questo è naturalmente è uno dei punti a suo favore (le diete solo ipocaloriche ottengono prevedibilmente l'effetto opposto) ma rende più problematico smontare la tesi "una caloria è una caloria" (resterebbe comunque vero che la buona volontà non basta, non essendo la fame un impulso facilmente controllabile).
P.P.S. la mia principale fonte d'informazioni è questo libro di Gary Taubes, che sta avendo un notevole impatto e ha resuscitato l'interesse per le diete lowcarb anche da parte delle autorità scientifiche. Annotazione: Taubes è un ottimo esempio di quello che è o dovrebbe essere un giornalista scientifico. Non è uno scienziato, non ha idee originali da proporre e non fa ricerche scientifiche in proprio, ma espone i risultati che già esistono e che attendono solo di essere conosciuti. Un lavoro che fa un gran bene anche alla scienza, quando ben eseguito.
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