Un tempo tutti i manuali di storia della filosofia spiegavano che il pensiero filosofico è nato e si è sviluppato nell'antica Grecia (o nelle colonie della Grecia), per una serie di circostanze che in realtà non sono mai state del tutto chiare. Perché proprio lì? ha forse qualcosa a che fare con la forma di governo democratica delle polis? o col clima mediterraneo?
Non lo sappiamo e non lo sapremo mai con certezza, ma in ogni caso quando pensiamo alle origini della filosofia pensiamo inevitabilmente ai Greci, al trio Talete-Anassimandro-Anassimene, per poi proseguire con Socrate-Platone-Aristotele e via dicendo. È da qui che si è sviluppato tutto il pensiero filosofico che conosciamo, sono qui le radici non solo della "nostra" cultura, ma del pensiero filosofico-razionale astratto in generale. Forse anche del pensiero scientifico moderno.
Questo tipo di approccio, da un paio di decenni a questa parte, è stato fortemente contestato (si veda ad esempio qui), per il motivo che non si possono ignorare le altre millenarie tradizioni di pensiero filosofico che si sono sviluppate anche indipendentemente dal mondo occidentale che conosciamo meglio. Tradizioni che i nostri programmi scolastici, intrisi di eurocentrismo, ignorano sistematicamente.
Ora, lasciando da parte per un attimo il fatto che è abbastanza normale che un programma scolastico di un paese europeo (o occidentale) sia eurocentrico, vorrei dire che sono assolutamente d'accordo. Anche guardando all'epoca antica (è ovvio che in epoca moderna diventa difficile determinare confini geografici netti alla diffusione di una scuola di pensiero), non esiste solo la Grecia.
L'India antica, per esempio, è piena di sistemi filosofici e tradizioni di pensiero che per sottigliezza e profondità analitica non hanno assolutamente nulla da invidiare a un Platone o un Aristotele. Le tematiche del pensiero filosofico indiano (darsana) sono molteplici, e grosso modo le stesse di quello occidentale: epistemologia, logica, ontologia, estetica, etica. In questi sistemi, soprattutto, si nota la presenza di un'abitudine al dibattito critico e razionale: non sono fatti di affermazioni apodittiche, ma si tratta di sistemi di pensiero che si sviluppano ed evolvono criticando di volta in volta le soluzioni precedentemente adottate, tramite il dibattito aperto. *
Ora, purtroppo non sono abbastanza esperto di filosofie orientali (tutt'altro, direi) per poterne illustrare adeguatamente la ricchezza. Ma si potrebbe menzionare, fra i grandi filosofi indiani, ad esempio il monaco buddista Nāgārjuna (II-III sec. d.C.) che, in modo simile a Parmenide e agli eleati, sottopose il mondo fenomenico a critica denunciando la contraddittorietà dell'esistenza dei fenomeni in quanto tali. Riflessioni simili anche a quelle condotte, stavolta in ambito induista, da Adi Shankara e la scuola monista Advaita Vedanta. Oppure la scuola dei Nyaya, che elaborò una riflessione metodologica ed epistemologica, ed un sistema di logica, la cui influenza, per il pensiero indiano, è paragonabile alla logica aristotelica. Si potrebbe inoltre citare (anche se non è esattamente un filosofo) il grammatico Pāṇini, il cui trattato sulla lingua sanscrita è considerato una delle più grandi conquiste intellettuali dell'umanità, e la cui influenza è stata riconosciuta da Noam Chomsky.
Qui mi fermo, per quanto riguarda l'India. Quando si parla di filosofie orientali, però, il pensiero vola immediatamente anche ad un altro grande paese, dalle tradizioni altrettanto antiche e venerabili: come dimenticarsi, infatti, della Cina? giustissimo, se non fosse per il piccolo dettaglio che la Cina non ha affatto un'antica tradizione di pensiero filosofico. Ripeto: non esiste una filosofia cinese. No.
Ok, proviamo a digitare "filosofia cinese" su Google, e vedremo che escono fuori un sacco di risultati, il che sembra contraddire la mia affermazione. Beh, analizziamoli. Quali sarebbero le grandi scuole filosofiche e i grandi pensatori cinesi, quali le grandi opere? Due nomi saltano subito agli occhi, Confucio e Lao-Tsu.
Confucio. Uhm. Vi viene in mente qualche grande intuizione filosofica di Confucio? Che cosa ha insegnato quest'uomo? Il suo pensiero è espresso in massime, le quali non hanno alcuna pretesa di sistematicità. Alcuni esempi:
Imparare senza riflettere o riflettere senza imparare non vi porta alla buona comprensione
Quando io so, dico che so, quando io non so, dico che non so, ecco ciò che si chiama sapere
Quando il nome non è giusto, il discorso non è conforme; quando il discorso non è conforme, gli affari non possono essere condotti bene
Chi ascolta molto e misura le sue parole commette meno errori; chi vede molto e agisce prudentemente ha meno rimorsi
Non sono nato saggio, ma è con gli studi che sono diventato saggio
Confucio contribuì anche, pare, alla stesura di una nuova edizione dei Ching, il Libro dei Mutamenti, che ebbero un'influenza profonda sul suo pensiero, e che sono un'altra opera citata spesso in relazione alle vette di profondità raggiunte dal pensiero cinese. I Ching. Un libro di divinazione. Quello dove si lanciano le monetine, si tracciano segni un foglio, e si ottiene l'oracolo del giorno. Come se Carl Gustav Jung, ad esempio, dicesse di essersi ispirato a un cazzo di oroscopo. Scusate, ho sbagliato esempio. Come se Kant si fosse ispirato alla lettura dei Tarocchi per scrivere la Ragione pura.
Comunque è evidente che a Confucio, e al confucianesimo in generale, mancano tutte le caratteristiche del pensiero filosofico vero e proprio. Si tratta perlopiù di massime apodittiche, enunciate come verità autoevidenti, ripetute acriticamente e senza uno straccio di argomentazione razionale a loro supporto. Mi spiace, la filosofia è un'altra cosa.
Che dire, invece, di Lao Tsu e del taoismo? Lao Tsu (o Tse, o Zi) è autore del Tao Te Ching, "libro oscurissimo, criptico, a volte ambiguo. A ciò si aggiunge il sospetto che le tavolette dalle quali era composto, mal rilegate, si slegassero frequentemente, in modo tale che blocchi di caratteri si mescolassero nel tramandarlo: da qui il sorgere di numerose questioni critiche e interpretative" (Wiki). Ah, bene. Di che parla questo testo? Di tutto e di niente. Parla del Tao, che è puro suono, nome che ha solo connotazioni, e nessuna denotazione.
Il parlar dell'Insonoro è spontaneità.
Per questo
un turbine di vento non dura una mattina,
un rovescio di pioggia non dura una giornata.
Chi opera queste cose?
Il Cielo e la Terra.
Se perfino il Cielo e la Terra non possono persistere
tanto più lo potrà l'uomo?
Perciò compi le tue imprese come il Tao.
Chi si dà al Tao s'immedesima col Tao,
chi si dà alla virtù s'immedesima con la virtù,
chi si dà alla perdita s'immedesima con la perdita.
Chi s'immedesima col Tao
nel Tao si rallegra d'ottenere,
chi s'immedesima con la virtù
nella virtù si rallegra d'ottenere,
chi s'immedesima con la perdita
nella perdita si rallegra d'ottenere.
Quando la sincerità vien meno
si ha l'insincerità.
Certo, non nego che abbia il suo fascino, ma sfido chiunque a trarne un pensiero suscettibile di approfondimento critico. Come le massime confuciane, o lo si accetta o lo si rifiuta, non esistono mezze vie. Caratteristica, questa, del sapere pre-filosofico. È misticismo, espressione di una rivelazione improvvisa che non richiede meditazione, ma il suo esatto contrario, ovvero il totale abbandono.
Non esiste una filosofia cinese, esistono dei balbettii che fanno molto new age e che qualcuno ha voluto chiamare, impropriamente, filosofia. Probabile, a questo punto, che qualche sinologo più esperto di me voglia ribattere menzionando quel tale, o quella scuola, o quel testo che ignoro, e che corrispondono maggiormente alla mia idea di filosofia. Sarei lieto di essere smentito (leggo ad esempio che esiste una "Scuola dei Nomi", che presenta qualche affinità con la sofistica), ma qui non si tratta di individuare delle eccezioni. Si tratta del fatto che l'elaborazione di pensiero messa insieme, cumulativamente, dagli sforzi dei Greci, e degli Indiani, non ha confronti con nessun altro popolo. Nemmeno la Cina, e questo nonostante i Cinesi, sul piano della scienza e della tecnica, fossero invece una civiltà avanzatissima.
E se non esiste una filosofia cinese, vuol dire che molto probabilmente non esiste nemmeno una filosofia aborigena, o africana, o pre-colombiana (che poi gli Aztechi non avevano nemmeno una scrittura vera e propria, ed è difficile arrivare a certi livelli di concettualizzazione con i disegnini).
Questo perché la filosofia è una conquista culturale, non una cosa che nasce insieme all'uomo. Richiede, evidentemente, un humus adeguato. Che non so quale sia, ma evidentemente c'era in Grecia, c'era in India, ma non altrove. Certe conquiste culturali, pur se fatte di cose immateriali, sono assimilabili ai progressi tecnici: non tutti i popoli del mondo hanno scoperto (indipendentemente) l'agricoltura, o la scrittura, o la stampa, o l'aritmetica se è per questo. E non tutti i popoli del mondo hanno avuto le consolazioni della filosofia; il che non equivale a dire che non avessero le loro visioni del mondo, le loro cosmogonie e le loro mitologie. Magari rispettabilissime. Solo, la filosofia è un'altra cosa.
La critica all'eurocentrismo, spesso corretta, viene molte volte fatta anche con motivazioni sbagliate. È sbagliato, ad esempio, rinnegare l'originalità delle nostre elaborazioni intellettuali in nome di un buonismo che accetta tutte le culture più esotiche come uguali, e come aventi lo stesso valore per qualsiasi aspetto. È sbagliato parificare una cosa come il pensiero filosofico a quello mistico-religioso che si ritrova in tutte le culture, buttando tutto in un unico minestrone, perché in questo modo non si aiuta a comprendere né l'uno né le altre. E, come ho cercato di spiegare, non è sbagliato solo perché in questo modo si fa un torto all'Occidente. Si fa un grosso torto alla civiltà indiana, anche.
Per troppo tempo, infatti, i caratteri della speculazione indiana sono stati mal compresi e sottostimati, proprio perché letti unicamente attraverso la lente del misticismo orientale. Ma l'India non lo merita: è molto di più di qualche fachiro, qualche santone strafatto, e dei Beatles. Teniamone conto, quando si parla di "filosofie orientali".
* Sia chiaro che non affermo, come altri, addirittura una derivazione della filosofia greca da quella orientale; quali fossero i contatti ipotizzabili tra le due civiltà, il pensiero greco ha senz'altro delle caratteristiche originali. Inoltre le scritture indiane più antiche non hanno tratti propriamente filosofici, che compaiono più tardi e per i quali anzi si potrebbe addirittura sostenere un'influenza ellenistica.