mercoledì 9 febbraio 2011

la voce degli dei


Julian Jaynes, nel libro Il crollo della mente bicamerale e l'origine della coscienza, suggerisce che in epoca antica (Egitto, Mesopotamia, Grecia preomerica) i nostri antenati non erano coscienti, ovvero non avevano la facoltà dell'autoconsapevolezza che abbiamo noi. Per dimostrare questa bizzarra tesi, si appoggia a una ricca messe di documentazione testuale e archeologica, e in realtà piuttosto suggestiva.

Si argomenta che nell'Iliade di Omero, ad esempio, i personaggi non sembrano mai animati, nelle loro azioni, da decisioni e pensieri coscienti, da riflessioni consapevoli sulle conseguenze delle loro azioni e attente disamine dei loro desideri: i personaggi dell'Iliade non hanno una "psicologia" come la intendiamo noi, e quale compare già nell'Odissea (un testo sicuramente di altro autore e molto più tardo). Quando Achille nel primo libro alza la daga per colpire Agamennone e poi si ferma, non è perché ci ha ripensato. È Minerva che lo afferra per la chioma, e, invisibile agli altri, gli parla e lo induce a più miti consigli. Ed è sempre il dio Apollo che, per dispetto, invia un sogno ingannevole ad Agamennone nel quale gli consiglia di sferrare un poderoso attacco contro i troiani l'indomani.

Schema che si ripete innumerevoli volte. Non sono mai gli uomini a decidere del loro destino, ma sono sempre gli dei a guidarli, parlandogli o addirittura manovrandoli fisicamente. La tesi di Jaynes è che gli dei omerici (così come quelli della mitologia egizia o di altri popoli, Ebrei compresi) non erano altro che allucinazioni uditive (più raramente visive), tramite le quali l'emisfero destro comunicava a quello sinistro: la personalità individuale non era ancora "integrata". Gli antichi erano tutti dei fottuti schizofrenici, e solo più tardi, con l'avvento della scrittura, la vera e propria coscienza avrebbe fatto la sua comparsa.

Questa sarebbe anche l'origine delle credenze religiose. Probabilmente le allucinazioni erano inizialmente attribuite a una personalità carismatica, come il capo, che però continuava le sue funzioni di comando o di consigliere anche dopo morto. Il posto in cui tali esseri risiedevano doveva essere il cielo, che quindi venne popolato di divinità. E lì ancora risiedono, anche se nel tempo hanno perso molto della loro concretezza e sono diventati sempre più invisibili e lontani.

Con l'avvento della coscienza, e poi del pensiero razionale, entrare in contatto con le divinità (che non vuol dire solo pregare, ma anche ottenere una risposta) è quindi diventato molto più difficile, ma l'umanità si è sempre ingegnata di trovare espedienti che permettessero di ristabilire un certo grado di comunicazione. Uno di questi è la droga, che svolge una funzione molto importante in pressoché tutte le culture note. I razionali Greci, Platone compreso, frequentavano i riti Eleusini, intorno ai quali il mistero è fitto, ma che forse comprendevano l'ingestione di sostanze allucinogene affini all'LSD (il ciceone). Probabilmente anche la Pizia nel tempio oracolare emetteva i suoi verdetti sotto l'effetto di qualche sostanza.

Ma le vie dell'estasi sono infinite. Ildegarda di Bingen, mistica e santa tedesca del XII secolo, soffriva con ogni probabilità di emicrania, o più precisamente di "scotoma scintillante", il che secondo i medici odierni spiegherebbe alla perfezione il contenuto delle sue allucinazioni, descritte con dovizia di particolari nei suoi testi nei quali, a partire dalle visioni celesti ricevute, viene elaborata un'intera dottrina teologica.

Un altro modo di entrare in contatto con una realtà trascendente è morire, o almeno avere un'esperienza di pre-morte. La tipica esperienza di chi sta per morire e poi si riprende è quella di percorrere un tunnel con una luce abbagliante alla fine, e una contemporanea sensazione di beatitudine. I neurologi hanno mostrato come queste esperienze possano essere spiegate dal rilascio di endorfine nel sistema nervoso durante il forte stress, oltre che dal possibile cambiamento nel metabolismo nelle cellule dovute all'interruzione dell'ossigeno. Persino la visione del tunnel sembra poter essere indotta dalla stimolazione di alcune cellule in una zona particolare del cervello. Quanto alla sensazione di uscire dal corpo, potrebbe essere un effetto della ketamina (usata come anestetico).

Il modo più conformistico e tranquillo di contattare il divino è invece la meditazione, con la quale si possono ottenere gli stessi risultati della droga, solo che occorre molta più pazienza. Molti adepti della meditazione affermano di riuscire a raggiungere uno stadio di illuminazione, che a volte persiste nel tempo anche se non è facile da mantenere in maniera costante, durante il quale sperimentano un senso di unità col cosmo intero e di beatitudine. I neurologi hanno studiato anche loro.

Andrew Newberg e Eugene d'Aquili hanno provato, ad esempio, a monitorare l'attività cerebrale di persone in profonda meditazione, trovando un insolito calo del livello di attività in una piccola zona da loro denominata "area associativa dell'orientamento", che serve appunto a orientarsi nello spazio e soprattutto ha l'importante funzione di demarcare, a questo fine, i confini del proprio corpo distinguendolo dal mondo esterno (è molto importante, per un organismo, capire cosa e sé e cosa non lo è). Proprio per questo, secondo l'ipotesi contenuta in Dio nel cervello, un calo di attività in questo settore può contribuire a dissolvere il senso di separatezza dell'io rispetto al resto dell'Universo e a percepire una mistica unità col Tutto.

Altri neurologi invece propongono che l'estasi mistica sia correlata ad altre zone del cervello (la disciplina della neuroteologia è ancora agli inizi, non c'è consenso universale), come i lobi temporali e il sistema limbico. Esistono anche macchine deputate a stimolare l'attività in queste zone del cervello in modo da indurre un'illuminazione artificiale (l'elmetto di Dio di Michael Persinger). Sembra che Dawkins, curioso di capire cosa si provasse a credere in Dio, abbia voluto provare l'elmetto ma ne sia rimasto deluso.

Max Weber parlava del disincanto del mondo, prevedeva che la razionalità e il progresso scientifico avrebbero infine determinato la caduta delle superstizioni e delle credenze religiose: come sappiamo, non è andata proprio così, e il progresso scientifico non ha affatto determinato la fine nella fede religiosa neanche nelle sue forme più deleterie e irrazionali. Il problema non è solo che esistono ancora cristiani o musulmani, fedi che possono contare su una consolidata tradizione storica, e un apparato istituzionale e propagandistico fortissimo. Il problema è che nascono nuovi culti ogni giorno, e che a quanto pare nessun culto è abbastanza bizzarro da non essere preso sul serio da qualcuno.

Non dobbiamo nemmeno aspettarci, quindi, che la diretta intromissione della scienza nelle faccende religiose sconvolga più di tanto, che la scoperta da parte di uno scienziato che Dio è un'allucinazione possa far perdere la fede a qualcuno. Le ricerche di cui sopra vengono inoltre tacciate spesso di "riduzionismo", o di scientismo arrogante. Non si può pretendere di ridurre un fenomeno culturalmente complesso come la religione all'attivazione di un paio di neuroni, o trattarlo alla stregua di una malattia psichiatrica. Ci vuole rispetto. Per una volta, sono d'accordissimo. Anzi, sostengo che quelle ricerche, lungi dal costituire un rischio per la spiritualità, potrebbero contribuire a risvegliarla.

Se le vie del Signore sono infinite allora può benissimo manifestarsi attraverso il lobo temporale, attraverso uno scotoma scintillante, oppure una droga psichedelica (sostanze enteogene, ovvero "con Dio al loro interno"). Ma soprattutto, cosa ci importa dell'origine dell'esperienza, se è l'esperienza che conta? In fin dei conti ci sono un sacco di persone che assumono droghe proprio allo scopo di avere esperienze mistiche, e non pensano affatto che l'origine "artificiale" della loro esperienza la squalifichi. Altri invece pensano che questi siano mezzucci e scorciatoie che non "valgono", ma non si capisce su che basi possano affermarlo, al di là di un certo moralismo. Se poi c'è una differenza fra un'illuminazione indotta da una sostanza psichedelica, e una fede ottenuta credendo ciecamente nel contenuto di un libro o a un'autorità, direi che è una differenza che va tutta a discapito della fede dogmatica.

Le istituzioni ecclesiastiche difatti sono in genere contrarie alle droghe psichedeliche, e se è per questo diffidano dei mistici in generale, anche quelli che aderiscono ufficialmente alla loro chiesa, in quanto hanno l'antipatica tendenza a non ubbidire (anche se possono creare a loro volta culti attorno alla loro personalità) e creare problemi. Non c'è niente di più lontano dal mistico di un cardinale o di un ayatollah.

Allora la mia teoria è questa: oggi il miglior alleato dell'uomo nella ricerca di Dio e della spiritualità in genere è la scienza, la chimica, la neurologia. I peggiori nemici di Dio invece sono la Chiesa e lo Stato, che proibiscono le droghe e scoraggiano la ricerca personale di Dio in qualsiasi forma. Io, scettico e ateo ma non dogmatico, sono pronto a esplorare le dimensioni parallele che la chimica potrebbe disvelarmi, sono pronto a sentire la voce di Dio e cercare di capire cosa vuole dirmi. Sarei persino disposto a pagare una modica cifra per questo, solo che è proibito.