sabato 7 gennaio 2012

sassolini



Non sarebbe mia intenzione trasformare questo mio spazio, che raccoglie in post sparsi il suono dei miei sospiri mortali, in un blog monotematico dedicato all'economia, però viste alcune reazioni suscitate dal mio ultimo post penso sia il caso di aggiungere qualche cosina. Nel caso che qualche lettore sia stupito da questo mio attacco di urielismo preciso che oltre che nei commenti in calce al blog spesso discuto anche in un social network di nicchia frequentato da molti turchi e alcuni blogger italiani, e che lì in genere le discussioni sono più animate e vivaci che sul blog (un po' per la maggiore familiarità, un po' per la natura più vicina alla chat del social network in questione).

Allora, dicevo che di là, dove di certo non ho mai nascosto le mie inclinazioni liberiste e libertarie, in molti sembrano aver visto un'occasione per attaccare frontalmente queste mie idee, trascurando purtroppo di criticare il contenuto del post vero e proprio, dove non si fanno certo affermazioni radicali ed esplosive ma si  scopre solamente l'acqua calda, anzi tiepidina, ovvero che le tasse hanno un effetto distorsivo sull'economia e sono inefficienti. E mi pareva anche di aver concesso molto ammettendo che le tasse siano giustificate e persino necessarie, finché non le si voglia trasformare in un discutibile strumento di giustizia sociale, anziché di mero finanziamento per lo spese dello Stato.

Un punto debole nel mio discorso c'era, e consiste nell'aver effettivamente adottato un sistema di valori dove l'efficienza economica aveva un posto di prestigio ignorando la possibilità che potesse confliggere con altri valori, come quello dell'equità. Ovvero io consideravo che una maggiore equità al prezzo di una minore efficienza (quindi una più equa spartizione di una torta più piccola per tutti) non valesse la pena di essere perseguita, mentre mi rendo conto che per altri l'equità potrebbe essere un valore così importante da rendere insignificante il prezzo da pagare in termini di efficienza (buffo però che nel pesare i valori in gioco ricorra ad un lessico che richiama, ancora una volta, quello dell'efficienza economica). Anche se altri valori in realtà li avevo ponderati, come quello della solidarietà per i più deboli e sfortunati (che non è proprio la stessa cosa dell'equità). Questo punto debole comunque è stato notato da pochissimi, mentre i più si sono dedicati alla ripetizione di una serie di slogan e argomenti totalmente fuori bersaglio, che ora per mio divertimento andrò a criticare.

Mi è stato detto per lo più di essere un teorico della "mano invisibile" accecato dall'ideologia, e di credere appunto nell'efficienza dei mercati che invece sono "notoriamente" inefficienti, come è dimostrato da quei casi in cui si è costretti ad intervenire con la tassazione per scoraggiare esiti che, se vigesse il totale laissez-faire, sarebbero funesti. L'inquinamento potrebbe essere l'esempio paradigmatico. Le fabbriche inquinano e danneggiano l'atmosfera, ma nessuna di esse ha un incentivo abbastanza forte a smettere di inquinare, almeno finché gli altri continuano a farlo, ed ecco quindi che un intervento dello Stato sottoforma di sanzioni anche come risarcimento alla comunità può essere considerato provvidenziale.

È il tema delle "esternalità". Capita che una nostra azione oltre a darci un beneficio abbia anche una ricaduta negativa sulla collettività,  e sono quelle occasioni in cui la collettività può essere giustificata a tassarci (può capitare anche l'inverso, ovvero che una nostra azione abbia un beneficio collettivo tale da rendere conveniente l'incentivarla tramite sussidi). Quello che stupisce però è che il tema dell'esternalità venga usato in funzione antimercato, quando al contrario ne dimostra in maniera definitiva la maggiore efficacia rispetto alle alternative. Ovvero, le esternalità sono quello che succede laddove non esiste un mercato, perché di certe tipologie di bene non si riesce a stabilire la proprietà, e quindi il prezzo.

Come l'aria, appunto. Se noi, in quanto soggetti privati, fossimo proprietari dell'aria che respiriamo potremmo costringere chi la vuole usare a pagare il prezzo che riteniamo più adeguato, e far pagare un prezzo ancora più alto a chi ne rovina la qualità. Non succede ad esempio che chi abita un appartamento sia libero di danneggiare il locale quanto vuole, magari danneggiare anche le proprietà vicine, e poi non debba affrontare le conseguenze dei suoi comportamenti. Non siamo nemmeno liberi di andare in macchina, tamponare le altre vetture, e poi fuggire indisturbati. In effetti quando il governo costringe le fabbriche che inquinano a pagare una tassa non fa che ripristinare una certa logica di mercato laddove prima era assente: essendo l'aria della collettività intera, è la collettività che impone un pagamento per chi danneggia la proprietà comune. 

Viceversa collettivizzare quello che non ha nessun bisogno di essere collettivizzato in quanto ha già delle regole chiare concernenti la proprietà e il suo prezzo determinato dal mercato sarebbe la premessa per una tragedia appunto collettiva. Perché il fatto di essere molto più attaccati alle nostre proprietà che al bene comune non è solo una mancanza di educazione civica, è perfettamente razionale ragionando in termini di puro calcolo degli interessi. Se io ho un oggetto che vale 1000 euro e lo distruggo ho perso 1000 euro. Ma se distruggo una proprietà comune che vale 1000 euro ho perso una frazione infinitesimale di 1000 euro, un sessantamilionesimo circa. Direi un buon affare, per me.

Insomma, dato che i teorici del libero mercato sostengono che tutto deve andare nel migliore dei modi – in un regime di mercato libero – non si capisce che razza di critica sia la constatazione che laddove non esiste il mercato libero o esso sia disturbato dall'interferenza statale le cose invece non vadano così bene. Ma a questo punto i miei critici fanno di solito notare che appunto, non esiste un mercato perfetto, e che questo da solo è sufficiente a invalidare gli assunti del liberismo. Le ricette del liberismo si fondano su premesse inesistenti, e devono quindi essere rimpiazzate da assunti meno fantasiosi e utopici, come, che so, la generosità del cuore umano o la saggezza dei rappresentanti delle istituzioni.

Bizzarro punto di vista, anche questo. Perché lo so pure io che il mercato perfetto non c'è, ma allora non si capisce come possa qualcosa di inesistente fare tutti i danni che i critici del mercato gli attribuiscono. Seriamente, o la colpa delle cose che vanno male è del mercato, che però non esiste, oppure occorre trovare qualche altro capro espiatorio. Il vantaggio di prendersela con le ingerenze della politica è che almeno si tratta di una cosa esistente. Immaginate che qualcuno dica che è necessaria una maggiore onestà da parte dei contribuenti, perché se non ci fosse l'evasione fiscale e tutti pagassero le tasse avremmo risolto il problema del debito pubblico. Ma tutti sappiamo che questa premessa è irreale: non succederà mai che tutti facciano la loro parte, ci sarà sempre qualcuno che vorrà fare il furbo e la farà franca. Ma allora questo dovrebbe essere un argomento contro l'onestà? Avrebbe un qualche senso dire che il debito pubblico italiano è colpa dell'onestà?

Approfondiamo ulteriormente il tema: una delle cose che vengono imputate al libero mercato è che esso tende ad autodistruggersi in quanto tende a creare monopoli o cartelli, il che distruggerebbe l'assunto della concorrenza su cui l'efficienza del mercato si regge. Si ritiene cioè che quando esistono molte imprese concorrenti queste tendano a mettersi d'accordo per imporre ai consumatori un prezzo superiore a quello del mercato che sarebbe naturalmente imposto dalla concorrenza. E non c'è dubbio che questo sarebbe effettivamente nel loro interesse, se solo esistesse un modo di far rispettare i patti, e tutti potessero essere sicuri di non essere danneggiati dal furbetto di turno. Ma l'unico modo per garantire il rispetto dei patti (specialmente quando le imprese sono molte) è tramite l'intervento statale. Ad esempio tramite la creazione di un ordine professionale, e la messa fuorilegge di chi non rispetta le regole dell'ordine. Insomma l'unico modo sarebbe fuoriuscire appunto da una situazione di libero mercato.

Allora vediamo, secondo gli oppositori del libero mercato noi dovremmo appoggiare l'intervento statale e per esempio imporre gli ordini professionali che danneggiano i consumatori, perché in assenza di esso le imprese si metterebbero d'accordo per fuoriuscire dal libero mercato e riuscirebbero a far imporre gli ordini professionali a danno dei consumatori. Mi pare che messo così la debolezza dell'argomento emerga meglio.

Chiedo scusa per il bignamino di economia, però le feste di Natale mi rendono nervoso e polemico. Inoltre le trovo terribilmente inefficienti.