giovedì 27 novembre 2008

la scelta di Annapurna - 2

Il reddito, si sa, è l'indicatore più comunemente usato dagli economisti nello stilare le classifiche di benessere fra i vari paesi. Questo approccio è spesso criticato come inadeguato, e con buoni motivi, ma in realtà nessun economista è davvero così ingenuo da pensare che reddito e benessere coincidano: il fatto è che tale indicatore da un lato fornisce una misura facilmente effettuabile e confrontabile sincronicamente (fra diversi paesi o popolazioni) e diacronicamente (lo stesso paese in periodi diversi); da un altro lato tale indicatore è strettamente correlato con gli altri indicatori di benessere (ad esempio aspettativa di vita e livello di istruzione) e quindi può essere un'utile scorciatoia.

Detto questo, e anche a prescindere dalle considerazioni sull'ineguaglianza che a volte tali stime nascondono, è chiaro che avere più soldi di un'altra persona non comporta automaticamente lo stare meglio. Il fatto è che nessuno vuole il denaro solo per il denaro, ma lo vuole per le cose che il denaro può comprare. Ebbene, il denaro può comprare molte cose, quasi tutto, ma vi possono anche essere circostanze in cui a una persona occorre molto più denaro di un'altra persona per vivere una vita egualmente soddisfacente. Ad esempio, le persone che hanno un'handicap fisico dovranno "compensare" la propria invalidità e spendere molto più denaro per fare le stesse cose che a un'altra non costano nulla (dovranno acquistare delle protesi che gli permettano di camminare e avere una certa libertà di movimento). È questa la ragione che sta dietro ai sussidi e agli altri "privilegi" (come i parcheggi riservati) che vengono accordati ai disabili (il che pare ovvio, ma è una grande conquista di civiltà). Oppure, uno può avere molti soldi, ma vivere in un paese che non gli permette di sfruttarli al meglio: si compra una Ferrari ma non può usarla perché le strade sono tutte in dissesto e nessuno le ripara; essendo sterile vorrebbe riprodursi grazie alle tecniche di inseminazione artificiale, ma non può perché qualche genio l'ha proibito...

Potrebbe sembrare meglio, allora, misurare direttamente lo stato di soddisfazione delle persone: questo è l'approccio "utilitarista". Nell'etica utilitarista il valore di un'azione si misura in base alla differenza fra le conseguenze piacevoli e quelle spiacevoli dell'azione: quando le conseguenze piacevoli superano quelle spiacevoli quell'azione è da considerarsi giusta, a meno che non esiste un'alternativa ancora più vantaggiosa. In quest'ottica un ipotetico governo dovrebbe badare solo a rendere allegri e contenti i suoi cittadini, e proteggerli dall'infelicità.

Ci sono però molti problemi con l'utilitarismo: intanto come fare a misurare una cosa soggettiva come la felicità individuale? Poi come riuscire a prendere in considerazione tutte le conseguenze, piacevoli o spiacevoli, di un'azione (cosa evidentemente impossibile)? Anche se si superassero questi problemi pratici, ve ne sono altri di natura più sottile. Cos'è la felicità? È semplicemente il proprio stato di soddisfazione momentaneo? Un eroinomane in sballo perenne è la persona più felice del mondo?

Gli esseri umani, poi, hanno sorprendenti capacità di adattamento, anche alle condizioni di vita più miserevoli, ma spesso non si rendono conto di come le cose per loro potrebbero essere diverse, o non vogliono rendersene conto, proprio perché ne soffrirebbero. La volpe, una volta resasi conto che non riuscirà mai a raggiungere l'uva, decide di auto-ingannarsi e di credere che in fondo l'uva non l'aveva mai voluta ("tanto era acerba"). Ma allora, dal punto di vista utilitarista, sarebbe meglio mantenere gli uomini nell'ignoranza riguardo al loro stato, in modo che siano più felici?

Una terza opzione, quella liberale, propone di guardare non tanto allo stato di soddisfazione soggettivo delle persone, ma alla loro materiale condizione di vita: sta meglio quella persona che è più libera di condurre il tipo di esistenza che effettivamente desidera. Secondo Amartya Sen, il massimo benessere coincide con il massimo ampliamento di quelle che chiama "capacitazioni" (capabilities), che distingue dai "funzionamenti": il funzionamento è quello che una persona sceglie (a volte come unica alternativa possibile) di fare, mentre le capacitazioni sono l'insieme delle scelte alternative a disposizione di un individuo. Un esempio dovrebbe chiarire la questione: io posso scegliere di digiunare perché è l'unico modo che ho per riuscire a pagare l'affitto, oppure perché voglio mantenere il mio peso forma. Il funzionamento è lo stesso, ma le capacitazioni sono diverse: benché in entrambi i casi io resti a digiuno, nessuno direbbe che il mio stato di benessere è simile nei due casi.

La felicità è in fondo un affare privato, una questione di responsabilità personale che non riguarda la collettività, e quindi non sarebbe logico aspettarsi che uno Stato se ne occupi direttamente: quello che un governo può fare è garantire a tutti le stesse possibilità, e di non limitarle. Anzi, ampliare il più possibile il campo di scelte a disposizione di ciascun individuo.

Da notare che il tipo di liberalismo teorizzato da Sen è diverso da quello degli anarco-liberisti e che consiste nel semplice "lasciar fare". La libertà non è concepita solo "negativamente" (soprattutto come "assenza di Stato"). Anche se nessuno mi proibisce di agire in un certo modo, infatti, non è detto che io ne abbia la reale possibilità. Una persona povera e invalida ha teoricamente gli stessi diritti di qualsiasi altra persona, ma si può davvero sostenere che è altrettanto libera?

In questo senso, c'è spazio per lo Stato di agire per il benessere dei suoi cittadini, non in modo paternalistico proteggendoli da ogni eventuale dispiacere, ma ampliandone le libertà, e quindi anche le responsabilità.

mercoledì 26 novembre 2008

la scelta di Annapurna

Da Lo sviluppo è libertà di Amartya Sen, liberamente tradotto da me:

Annapurna vuole che qualcuno pulisca e sistemi il giardino, che ha sofferto per la passata incuria, e tre lavoratori disoccupati si offrono per l'impiego: Dinu, Bishanno, e Rogini. Può assumere uno qualsiasi dei tre, ma il lavoro è indivisibile e non può essere spartito. Ognuno di loro, inoltre, farebbe il lavoro altrettanto bene degli altri due e allo stesso prezzo, ma siccome Annapurna è una persona sensibile, si chiede a chi sarebbe giusto assegnarlo.
Viene a sapere che, mentre tutti sono poveri in qualche misura, Dinu è il pù povero del trio, come ciascuno riconosce, e questo rende Annapurna incline ad assumere lui ("Cosa può esserci di più giusto che aiutare il più povero?").
Viene a sapere anche, però, che Bishanno ha recentemente sofferto un tracollo finanziario e che è il più insoddisfatto riguardo alla propria situazione (mentre Dinu e Rogini sono abituati al loro stato di miseria). Ciascuno riconosce che Bishanno è il più infelice e che quindi riceverebbe il maggiore beneficio psicologico dall'assunzione, e questo rende Annapurna incline anche ad assumere lui ("rimuovere l'infelicità è la cosa più importante").
Ma ad Annapurna viene anche detto che Rogini soffre di una malattia cronica (stoicamente sopportata) e che potrebbe usare il denaro guadagnato per liberarare se stessa da un terribile male. Nessuno dice che sia la più povera del gruppo, e neanche la più infelice, visto che convive piuttosto serenamente con la propria disabilità, abituata com'è ad una vita di privazioni (viene da una famiglia povera ed è stata educata, in quanto giovane donna, a non nutrire vane ambizioni). Annapurna si chiede però se non sia più giusto dare il lavoro a lei ("farebbe la maggiore differenza rispetto alla qualità della vita").

Al posto di Annapurna, noi cosa faremmo? A cosa daremmo la priorità? Al fatto nudo e crudo del reddito, all'infelicità soggettiva (misurata magari con un rilevatore di endorfine), oppure alla qualità della vita misurata con parametri oggettivi?
La risposta a questa domanda, ovviamente, presuppone diverse concezioni del benessere, e anche dell'intervento politico volto ad aumentare il benessere. Qual è il compito del governo: renderci più ricchi, più felici, o più liberi?

mercoledì 19 novembre 2008

vinca il migliore!

Così, per gioco, dalle pagine del New York Times diversi mesi fa il famoso linguista e scienziato cognitivo Steven Pinker, recensendo un libro di psicologia morale, aveva posto la seguente domanda ai suoi lettori: quale di questi tre personaggi del '900 ritenete più degno della vostra stima e ammirazione: madre Teresa di Calcutta, Bill Gates, o Norman Borlaug?Supponendo di svolgere il classico sondaggio fra la "gente comune", credo che sarebbero in pochi a preferire Bill Gates a Teresa, mentre per il terzo personaggio la reazione più probabile sarebbe: "ma chi cazzo è Norman Borlaug?". Eppure facendo un po' di conti sarebbe facile constatare che l'antipatico e monopolista Gates, attraverso le sue opere di beneficenza, ha salvato e sta salvando molte più vite umane di quante ne avrebbe mai potute salvare Teresa. E si noti che non si tratta di un'opinione, ma di fatti.

Anche senza scomodare le controverse inchieste del noto giornalista anti-clericale Christopher Hitchens, è ad esempio un fatto che quelli che Teresa gestiva non erano ospedali o strutture sanitarie moderne attrezzate in vista dell'obiettivo primario di guarire e alleviare le sofferenze dei malati, ma semplici lazzaretti, dove i più poveri fra i moribondi avevano diritto a un letto e poco altro. Non dico che non sia un'opera meritoria, ma se avessi vinto al SuperEnalotto e volessi regalare un milione di euro a qualcuno, forse penserei a qualcosa di diverso e più concreto.

La Fondazione di Bill e Melinda Gates, d'altra parte, spende circa due miliardi di dollari l'anno in progetti mirati principalmente allo sviluppo agricolo nel Terzo Mondo e alla lotta alle malattie endemiche (Aids e malaria), e con criteri ispirati alla massima efficienza degli investimenti effettuati. Liberissimi di pensare che Bill Gates è il diavolo in persona e di odiarlo a morte per le torture che ci hanno inflitto i suoi sistemi operativi, liberi anche di considerare la sua carità come un'operazione di facciata a scopo pubblicitario, ma quei soldi (e si tratta di una enorme quantità di soldi) salvano vite umane, e anche questo è un fatto.

Quanto a Norman Borlaug, non è certamente il più noto del trio, ma è anche considerata la persona che nella storia ha salvato il maggior numero di altri esseri umani, il che non è un merito da poco.

Questo dimostra semplicemente che nelle nostre valutazioni morali, più che la ragione, entra spesso in gioco un istinto che bada più alle apparenze che ai risultati concreti: dopotutto Teresa è una fragile e minuscola donna vestita con un modesto sari bianco e azzurro e circondata da lebbrosi, mentre Bill Gates è solo un nerd occhialuto con un sacco di soldi, quindi si fa fatica a pensare a lui con un'aureola in testa.

L'esempio di Pinker però può essere replicato anche con altre modalità: immaginando, sempre per gioco, di avere risorse limitate (come in effetti sono) a quale di questi tre progetti pensate che uno Stato dovrebbe dare la priorità?

  1. Messa in sicurezza degli edifici nelle aree sismiche;
  2. Sistemi per immobilizzare i bambini nelle automobili;
  3. Aggiunta di cloro all'acqua potabile.

Se venisse indetto un referendum, non ho idea di cosa verrebbe fuori, ma ritengo probabile che la scelta degli elettori sarebbe influenzata da molti fattori che di razionale non hanno molto: i terremoti fanno paura, i bambini vengono prima di tutto, mentre l'acqua con l'aggiunta di cloro... ha un cattivo sapore. Ma può anche essere utile sapere che il costo calcolato in dollari, per anno di vita guadagnato, dei suddetti interventi, è nell'ordine questo: 18.000.000, 73.000, 3.100.

Traggo queste cifre dal libro L'ambientalista scettico, di Bjorn Lomborg, il quale è anche il fondatore del Copenaghen Consensus Center, una istituzione il cui scopo è proprio quello di stabilire le priorità nella lotta ai flagelli del pianeta tramite rigorosi metodi economico-scientifici ispirati all'ottimizzazione delle risorse (e che è molto criticata per aver assegnato una bassa priorità alla lotta contro il riscaldamento globale).

Ma visto che stiamo giocando, e non vorrei mai scrivere un post troppo serio, continuiamo a giocare. Cosa preferireste mettere sotto l'albero di Natale? Cioccolata equa e solidale della Coop, oppure la Barbie made in China? Sembra che non valga la pena di rifletterci: comprando cioccolata solidale, e magari anche biologica, aiutiamo gli agricoltori del terzo mondo a sopravvivere alla concorrenza delle terribili multinazionali, mentre la Barbie è stata sicuramente montata da un bambino cinese in condizioni di lavoro che.. brrr.

Già, ma se nessuno gli compra più le bambole quel bimbo cinese di cosa camperà? Nessuno ha costretto la sua famiglia a mandarlo a lavorare, esclusa la fame, il che significa che le alternative non devono essere migliori. Ci avevate pensato? E sapevate che meno del 10% del sovrapprezzo sulla cioccolata va ai teorici beneficiari (i produttori) mentre il resto viene spartito fra distributori e venditori? Avete pensato che acquistando un prodotto a un prezzo superiore a quello di mercato ne incentivate la produzione, contribuendo ad abbassarne ulteriormente il prezzo di mercato e così danneggiando tutti gli altri che non godono di quella certificazione? E siete sicuri che i criteri con cui quella certificazione viene assegnata siano del tutto trasparenti e non siano viziati ad esempio da pregiudizi politici (cooperative vs. imprese familiari)? Avete pensato che la coltivazione biologica a parità di resa deve occupare molto più terreno intensificando lo sfruttamento del suolo?

Divertente, vero? Allora continuiamo a giocare: voi chi buttereste giù dalla torre?

Pecoraro Scanio o Umberto Veronesi?
Vandana Shiva o Florence Wambugu?
Jeremy Rifkin o Muhammad Yunus?
José Bové o i fratelli McDonald?*
Naomi Klein o Hernando De Soto?
Carlo Petrini o Ingo Potrikus?
Luca Casarini e Francesco Caruso oppure Sergey Brin e Larry Page?

ecc... ecc...

*Thomas Friedman ha osservato che nessun paese con all'interno un McDonald's ha mai attaccato un altro paese dove è presente un McDonald's.

giovedì 13 novembre 2008

ma perché ce l'ho con Vandana Shiva?

Io mi sono divertito a prenderla in giro, ma se volessimo parlarne seriamente, c'è chi può farlo molto meglio di me. Utile quindi qualche segnalazione.

Cominciamo dall'ottima Anna Meldolesi (anche autrice di Organismi geneticamente modificati. Storia di un dibattito truccato), qui, qui e qui (ce n'è anche per Carlo Petrini, il fondatore di Slow Food).

Proseguiamo con Roberto Defez e con Antonio Pascale.

Facciamo una visita a quest'altro ottimo blog dedicato alle biotecnologie.

E infine spostiamoci oltreoceano per Michael Fumento.

Per ora penso possa bastare. Buona lettura.

lunedì 10 novembre 2008

la maledizione del caso e l'11/9

A una partita di pallacanestro il campione della squadra locale, che finora non si è prodotto in una performance particolarmente buona, infila quattro canestri di seguito e da lunga distanza. Lo speaker della partita commenta che finalmente il nostro giocatore “ha preso la mano”. In realtà alla fine della partita, facendo il conto fra tiri tentati e canestri effettuati, vediamo che siamo di fronte a una distribuzione puramente casuale, equivalente a quella di un lancio di monete.

Lo stato di Freedonia dichiara guerra alla vicina Sylvania, e il giorno dopo i giornali titolano che l’euro ha perso due centesimi del suo valore sul dollaro “a causa delle tensioni internazionali”. Alla fine della guerra un corrispondente apprezzamento dell’euro viene attribuito alla ritrovata stabilità. In realtà durante tutto il periodo preso in considerazione il valore dell’euro sul dollaro ha continuato a scendere e salire in maniera totalmente casuale e imprevedibile.

Il signor Esposito accende un cero in chiesa per la Madonna, chiedendole la grazia di una vincita alla lotteria. Il giorno dopo realizza un bel terno al lotto, e con i soldi vinti decide di costruire una cappelletta privata in ringraziamento alla Vergine. Il signor Esposito dimentica, nella sua gratitudine, che la Madonna non è stata altrettanto buona con migliaia di altri suoi fedeli che le avevano chiesto lo stesso favore, anche con maggior ardore e devozione, e che sono rimasti delusi.

L’essere umano sembrerebbe essere geneticamente inadatto a percepire la casualità, e geneticamente programmato, al contrario, a scambiarla per causalità. Questo è in sintesi il tema principale dei libri, molto interessanti, di Nassim Nicholas Taleb: Giocati dal caso e Il cigno nero.

Taleb di professione fa il trader (compra e vende titoli o azioni in Borsa) e applica le sue riflessioni soprattutto al campo della finanza. Spiega in maniera molto chiara e convincente come mai essere miliardari non significa necessariamente essere dei maghi della finanza: spesso si è solo fortunati, e altrettanto spesso scambiare la fortuna sfacciata per una propria presunta superiorità può condurre alla rovina. Potrebbe essere il caso ad esempio di uno che, ingannato dalle serie di risultati positivi ottenuti applicando sempre la stessa strategia, continui ad applicarla investendo somme sempre più grosse, fino a che il destino non gli porta via in un giorno solo dieci volte di più di quello che ha guadagnato in cinque anni.

Questo accade anche perché gli esseri umani sono programmati (giustamente) per imparare dall’esperienza, mentre non sono altrettanto preparati ad aspettarsi l’inaspettato, “il cigno nero”, ovvero l’evento raro che non si è mai verificato ma che è comunque possibile e sempre in agguato dietro l’angolo. Si tratta in fondo della stesso atteggiamento che è alla base del bias di conferma, di cui ho già parlato qui.

I libri di Taleb aiutano a capire anche molti aspetti dell’attuale crisi economica, ma non è questo, per me, il loro principale interesse: la mancata percezione della casualità è un fenomeno che può essere ritrovato sempre laddove vi è della cattiva scienza. Prendiamo il caso dei rimedi alternativi contro il cancro: coloro che vendono questi prodotti sono soliti presentare, nelle loro inserzioni, la testimonianza di qualcuno che è guarito grazie ai loro ritrovati. Anche senza mettere in dubbio la buona fede di tali testimonial (che potrebbero avere un interesse), queste dichiarazioni sono purtroppo destinate a convincere più la parte emotiva del nostro cervello che la nostra ragione, inadeguata a percepire la “distorsione da sopravvivenza” qui presente. Nessuno di questi ciarlatani, difatti, ci parla di coloro che hanno provato gli stessi rimedi e sono morti. È un po’ come se io, dopo aver lanciato 100 volte di seguito 10.000 monete diverse, prendessi quella che è caduta più volte dal lato “testa” e sostenessi che quella moneta ha una particolare propensione a cadere da quel lato.

L’undici settembre secondo Taleb è proprio un cigno nero, un evento che nessuno era in grado di prevedere basandosi sulle esperienze passate (non cinematografiche, almeno). Per questo rischiano di essere fuorvianti le critiche di chi esclama “ma come hanno potuto farsi fare una cosa del genere sotto il naso”? Vengono spesso citate circostanze (come il “Phoenix Memo”) che sembrano indicare una qualche negligenza da parte degli apparati di sicurezza, ma ci si dimentica che quelle circostanze potevano essere percepite come rilevanti solo dopo l’evento, non prima. È sempre facile, dopo la catastrofe, andare in cerca delle avvisaglie, ma la verità è che se la catastrofe fosse stata prevedibile sarebbe (probabilmente) stata evitata. Alcune considerazioni di Taleb intorno all’11/9 possono essere lette qui.

Ma l’errata percezione del caso è una sindrome che, approfondendo l’esempio di Taleb, può essere rintracciata in tutte le varie teorie cospirazioniste che riguardano l’11 settembre. Un esempio estremo può essere rintracciato in questo articolo, che contiene appunto una “applicazione” del calcolo delle probabilità all’11/9.

L’autore dell’articolo individua 22 proposizioni diverse che descrivono gli eventi di quel giorno e assegna a ciascuna di esse (in modo del tutto arbitrario) una probabilità del 10%. Alcuni esempi di tali proposizioni sono:

2. quattro gruppi di musulmani salgano a bordo di quattro aerei negli Stati Uniti lo stesso giorno senza destare sospetti.

7. i dirottatori volino da un'altra città fino all'aeroporto in cui pensano di mettere in atto l'operazione di dirottamento solo due ore prima che il loro piano inizi.

8. le autorità militari USA pianifichino, esattamente per la data degli eventi delittuosi, giochi di guerra ed esercizi che includono la simulazione di dirottamenti aerei con l'obbiettivo di colpire edifici governativi.

10. i passaporti dei dirottatori siano trovati nei luoghi d'impatto, nonostante le macerie e la mancanza dei corpi.

17. cinque individui armati solo di coltelli tengano in ostaggio cinquanta adulti in un aereo.

[...] La probabilità complessiva dei suddetti eventi è il prodotto delle singole probabilità o 0,1^22 (0,1 elevato all'esponente 22). Questa cifra è così piccola che, praticamente, si approssima allo zero.


In questo modo si potrebbe dimostrare tutto: che non solo l’11/9, ma neanche la battaglia di Waterloo è mai avvenuta come ci raccontano; che una qualsiasi delle nostre giornate (calcolando la probabilità di ciascuno dei micro-eventi di cui è composta) è impossibile; o anche che nessuno di noi in realtà è mai nato, contando la probabilità che fra tutti gli spermatozoi di nostro padre sia stato proprio quello che ci ha generati a fecondare l’ovulo di nostra madre, moltiplicata però per ognuno dei nostri antenati; oppure si potrebbe usare lo stesso identico metodo per mostrare che una cospirazione governativa è altrettanto improbabile, se non di più (calcolando ad esempio le probabilità che ciascun partecipante al complotto non si lasci sfuggire niente, moltiplicata per le migliaia di persone che dovrebbero necessariamente avervi preso parte).

Questo approccio è particolarmente ridicolo e facile da smontare perché esplicito. Ma se guardiamo bene le stesse considerazioni sono all’opera, in forma implicita, in molte altre asserzioni dei cospirazionisti. Ci si meraviglia con Steven Jones (un fisico evidentemente poco avvezzo al calcolo delle probabilità) del fatto che tre grattacieli nel centro di Manhattan siano caduti nello stesso giorno a causa degli incendi, sostenendo che questo è tanto improbabile che non può essere vero:

prima (o a partire da allora) nessun edificio del genere in acciaio è mai crollato completamente a causa di incendi! [...] Che sorpresa, dunque, un evento del genere nel centro di Manhattan – tre grattacieli collassati completamente lo stesso giorno, l’11 settembre 2001.
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=1683


Steven Jones commette però l’errore di considerare solo la probabilità pura dell’evento, e non quella condizionata dagli impatti con gli aerei e gli incendi. È come se un avvocato difendesse il suo assistito, accusato di aver ucciso la moglie con la sua pistola, sostenendo che solo una minuscola percentuale di mariti in possesso di armi da fuoco finisce per uccidere la moglie. Dimenticando cioè che quel che conta non è la probabilità che un generico marito uccida la moglie con una pistola, ma la probabilità che “quel” particolare marito abbia ucciso la moglie, condizionata dall’evento che la moglie è stata effettivamente ritrovata uccisa con quella pistola.

Si insiste particolarmente sull’edificio 7 perché le analisi del NIST indicano che in quel caso non sono neanche stati i danni strutturali (a quanto pare non decisivi) subiti dall’edificio a causare il crollo, che quindi è crollato solo in conseguenza dell’incendio. Questa è in effetti una conclusione sorprendente, perché priva di precedenti storici: basta per concludere che è impossibile? Evidentemente no, perché come insegna Taleb (e prima di lui Popper) il semplice fatto che un evento non è accaduto prima non dimostra che non possa accadere, così come il fatto che tutti i cigni osservati finora siano bianchi non dimostra che non possa esserci un cigno nero (e si dà il caso che una specie di cigni neri esista davvero, in Nuova Zelanda).

Un altro aspetto della sindrome cospirazionista legato alla errata percezione del caso è il fatto di scambiare sistematicamente il rumore per genuina informazione. I cospirazionisti si rifiutano di considerare la semplice idea che uno qualsiasi delle migliaia di avvenimenti accaduti l’undici settembre possa non avere alcun significato, non essere altro che “rumore”. Ogni minuscolo evento è invece scandagliato alla ricerca di possibili indizi intorno alla cospirazione: i movimenti di borsa prima dell’11/9, del tutto normali, vengono descritti come operazioni sospette (è vero, qualcuno ha guadagnato dal crollo delle Borse, ma questo accade sempre). Tutto ciò che hanno detto e fatto gli attentatori nei giorni e nelle ore prima degli attacchi è considerato strano o incompatibile con la versione ufficiale. Perché alcuni attentatori, invece di partire direttamente da Boston, hanno viaggiato in macchina da Boston fino a Portland, hanno preso un aereo per Boston, e giunti di nuovo lì si sono imbarcati sul volo da dirottare? Probabilmente non lo sapremo mai, ma è davvero importante? Ci deve per forza essere un motivo se un passeggero, a bordo di uno degli aerei, telefonando alla moglie si è presentato con nome e cognome? Si può dire al massimo che è insolito, ma quante cose insolite accadono ogni giorno senza che nessuno ci faccia troppo caso?

Uno di questi dettagli che probabilmente non aggiunge nulla alla conoscenza degli avvenimenti, ma contribuisce solo al rumore che vi è attorno, viene addirittura presentato da Massimo Mazzucco come “la prova inconfutabile” dell’auto-attentato. In un filmato girato prima del crollo del WTC7 si vedono alcuni pompieri che corrono e avvertono gli altri che “the whole thing is about to blow-up” (“sta per scoppiare tutto”). Secondo Mazzucco queste parole possono significare solo che l’edificio era stato minato con cariche esplosive, e i pompieri ne erano a conoscenza (essendo quindi complici dell’attentato). La possibilità che i pompieri stiano usando un’espressione figurata, o impropria, o che addirittura stiano parlando di qualcos’altro viene scartata a priori. Che dire? Bisogna stare attenti a qualunque cosa si dica quando Mazzucco è nei paraggi...

Ancora: molti testimoni affermano di aver visto un aereo di linea dirigersi verso il Pentagono, e alcuni anche di averlo visto scontrarsi con la facciata. Che cosa fanno i cospirazionisti di fronte alle loro dichiarazioni? Le analizzano scrupolosamente, scartando tutto ciò che vi è di genuinamente significativo, e selezionando solo il rumore. Se, ad esempio, un testimone afferma di aver visto un aereo, e che questo aereo “era come un missile con le ali”, l’affermazione non viene vista come la prova che c’era un aereo, ma come la prova che c’era un missile. Inoltre, sebbene l’insieme delle testimonianze nel suo complesso avvalori la tesi dell’aereo, i cospirazionisti utilizzano alcune discrepanze contenute in alcune di esse (ad esempio sulla rotta effettivamente seguita) nel tentativo di screditare la versione ufficiale degli avvenimenti. È come se 100 testimoni diversi giurassero di aver visto Pierino rubare la marmellata, che però viene assolto perché i testimoni non sono tutti concordi sull’ora esatta in cui è avvenuto il furto.

Tutte le fallacie probabilistiche qui descritte non sono un sintomo di particolare stupidità: si tratta di bias cognitivi particolarmente difficili da riconoscere anche per individui altrimenti razionali, tanto da essere l’oggetto di una intera disciplina accademica, e cioè l’economia comportamentale, che in opposizione alla teoria neo-classica studia il comportamento concreto degli individui di fronte alle situazioni di incertezza, restituendo un modello più realistico del funzionamento dei mercati.

Il rimedio, però, è quello che dovrebbe adottare un qualsiasi ricercatore che non voglia diventare lo zimbello dei propri colleghi: non fidarsi del proprio istinto, e prima di annunciare al mondo di aver fatto una scoperta sensazionale fermarsi a riflettere, poi riflettere di nuovo, e poi riflettere ancora. A meno che, naturalmente, non sia perfettamente conscio di quel che sta facendo, e non stia appunto utilizzando i meccanismi sopra descritti a puro scopo propagandistico, proprio come un piazzista di “miracolosi” prodotti medicinali.