lunedì 26 gennaio 2009

giovedì 22 gennaio 2009

alcuni fatti sull’evoluzione

Io tra una settimana sarò a Londra. Solo pochi giorni, giusto per approfittare della caduta della sterlina, ma non vedo l’ora di visitare la grande mostra su Darwin al Natural History Museum. Magari riferirò quel che avrò visto, ma intanto ho raccolto qui alcuni spunti di riflessione intorno a una delle più grandi (e pericolose) idee del millennio. Una specie di "forse non tutti sanno che"...

Nelle specie dei primati, la dimensione dei testicoli è proporzionale al grado di infedeltà della femmina. Più le femmine hanno la tendenza a giacere con maschi diversi, più grandi sono i testicoli. L’uomo si colloca a metà tra il gorilla (che si forma degli harem ben custoditi) e lo scimpanzè (le cui femmine amoreggiano a destra e a manca). In presenza di un alto grado di infedeltà, la competizione non è per la partner, ma è “dentro” la partner.

I neri americani soffrono di malattie legate all’ipertensione sei volte più dei bianchi. Ciò a causa di una maggiore ritenzione idrica e ad una insolita quantità di sodio presente nel sangue. Nei neri africani non si riscontra tale anomalia. Ciò è dovuto, secondo alcuni studiosi, al fatto che durante i lunghi viaggi nelle imbarcazioni negriere solo coloro che erano maggiormente in grado di conservare liquidi e non disidratarsi potevano sopravvivere.

L’anemia falciforme è diffusa specialmente nei paesi ad alto tasso di malaria. Chi ha ereditato un gene recessivo per questa mutazione sviluppa infatti una difesa contro il parassita. Un’ottima cosa per lui, ma se si accoppia con un’altra persona portatrice del gene i due rischiano di passare la malattia al figlio, il quale non vivrà abbastanza a lungo per godere di questo vantaggio.

Nei paesi dove c’è più sole la gente ha la pelle più scura, per ridurre il rischio di tumore alla pelle. Dove il sole è scarso la pelle tende ad essere priva di pigmentazione, per favorire l’assorbimento del calcio. Ok, questo lo sanno tutti, ma forse non tutti sanno che i popoli che hanno la pelle più chiara sono anche quelli in cui è praticamente assente l’intolleranza degli adulti al latte, che affligge invece il resto della popolazione mondiale.

Le donne camminano in maniera così buffa (e corrono più lentamente degli uomini), perché il loro bacino ha dovuto adattarsi alla spropositata grandezza del cranio umano, che rende anche rischioso il parto. Per lo stesso motivo, fra l’altro, la gestazione umana è più corta di quel che dovrebbe essere e gli esseri umani nascono in forma ancora embrionale, il che allunga l’infanzia.

La “pelle d’oca” è una reazione vestigiale risalente ai nostri antenati con la pelliccia. Gli animali che hanno freddo possono rendere la loro pelliccia più voluminosa in modo che conservi il calore in maniera più efficiente, e per fare questo attivano piccoli muscoli posizionati sotto la cute. Questa reazione è stimolata, oltre che dal freddo, da situazioni emotivamente forti (paura o aggressività). Gli animali fanno questo per sembrare più grossi e temibili.

L’incesto è un tabù universale. E Freud aveva torto: nessuno ha voglia di farsi la madre. Gli accoppiamenti tra consanguinei sono rari anche nel regno animale, benché l’osservazione degli animali domestici a volte possa farci pensare il contrario. La ragione è molto semplice: l’accoppiamento fra consanguinei rende più probabile che geni potenzialmente dannosi, ma innocui finché recessivi, si uniscano.

L’Africa, continente che si suppone essere il luogo d’origine della specie umana, ha anche i mammiferi più grossi e temibili per l’uomo. Anche altri continenti una volta avevano mammiferi molto grossi (vedi mammouth o tigre dai denti a sciabola). Si pensa che siano stati sterminati dall’uomo, che ha tenuto per sé solo mucche e cavalli. La ragione per cui il trucco non è riuscito nel continente africano è che l’uomo e le altre specie si sono modificate insieme, sviluppando strategie e contro-strategie di adattamento reciproco, mentre altrove i mammouth non hanno potuto adattarsi all’uomo.

Le popolazioni isolate che vivono ancora nelle foreste lontano dalla civiltà sono particolarmente vulnerabili alle malattie infettive, in quanto non hanno ancora avuto modo di adattarsi ad esse. I piccoli gruppi di cacciatori-raccoglitori nomadi, che non vivono in contesti urbani, hanno infatti scarse occasioni di infettarsi fra loro, e quando questo avviene l’epidemia tende a rimanere isolata. Questo è noto: una cosa forse meno nota è che se gli europei l’hanno avuta vinta sui nativi americani (fra cui vi erano grandi civiltà senza dubbio urbane) è anche grazie a una grande familiarità con un maggior numero di specie domestiche, e con i relativi germi. Ma lo scambio non è stato del tutto unidirezionale, visto che si ritiene che la sifilide venga dalle Americhe.

Il fatto che la sifilide oggi non sia temibile come lo era ai tempi della sua comparsa in Europa è un’altra prova dell’evoluzione: col tempo le malattie infettive più gravi tendono a scomparire sia per la scomparsa degli individui più vulnerabili, e sia perché un’eccessiva mortalità nuoce allo stesso agente infettivo, il quale deve invece avere il tempo di propagarsi e infettare altri ospiti. E la malaria? Beh, avete mai visto una zanzara morta di malaria?

La ragione per cui occorre fare cicli completi di antibiotici è impedire ai batteri di sviluppare una resistenza ad essi. Chi non crede alla teoria dell’evoluzione, invece, può provare a sospendere il ciclo ogni volta che vuole, oppure prendere antibiotici anche quando non ne ha bisogno. Ma in questo modo rischierebbe di vincere il premio Darwin.

La ragione immediata per cui l'evoluzione ha favorito l'esistenza delle tettone, è che le tette grosse piacciono agli uomini, il che però ha il difetto di non spiegare perché agli uomini piacciano le tette grosse, dato che non svolgono alcuna funzione vitale nota. Un motivo può essere che esse costituiscono un segnale di buona salute (donne denutrite non possono permettersi certe tette). Un'altra ipotesi, più fantasiosa, è che da quando gli esseri umani si accoppiano frontalmente in seguito allo spostamento in avanti della vulva femminile, il sedere abbia perso in parte la sua funzione di richiamo sessuale, venendo sostituito dalle tette la cui forma dovrebbe appunto imitare il sedere. La terza ipotesi, infine, è che il mondo sia stato creato da Pamela Anderson.

sabato 17 gennaio 2009

il buon selvaggio 3

Margaret Mead, ambiziosa e giovanissima antropologa, aveva un chiaro obiettivo quando nel 1924 (pochi anni dopo Erich Scheurmann) sbarcò a Samoa per studiare i costumi degli adolescenti polinesiani, e questo obiettivo era quello di non deludere il suo autorevole maestro, Franz Boas, portandogli i dati di cui aveva bisogno per sostenere le sue teorie anti-evoluzionistiche sulla natura umana, e il determinismo culturale. Secondo Boas la cultura si collocava “al di sopra” della biologia, ne era indipendente, e quindi ogni ipotesi di universalità culturale proveniente da una medesima e comune matrice biologica era destituita di fondamento.

Sostanzialmente, ci sono ancora oggi due tipi di antropologi: ci sono quelli che cercano di comprendere l’eterogeneità dei costumi e delle usanze sparse in giro per il mondo, comparandole, cercando di spiegarle e ricondurle ad unità, e quelli che si oppongono a qualsiasi tentativo di sistematizzazione, sostenendo al contrario che compito dell’antropologia è proprio quello di estraniarci dalla nostra cultura, osservando la relatività di usanze date per naturali e che invece sono frutto della semplice consuetudine.

I primi, scoprendo che presso alcuni popoli vige il tabù di mangiare il maiale, altrove considerato una prelibatezza, si chiedono quali sono le condizioni materiali che ne hanno reso svantaggioso il consumo, e magari osservano che in effetti non è una splendida idea allevare maiali, animali che hanno bisogno di stare al fresco, in un clima desertico. Gli altri parlano di rappresentazioni simboliche alternative dell’universo animale, laddove il maiale rappresenterebbe una violazione dell’ordine cosmico perché ha lo zoccolo fesso ma non rumina.

Chiamiamoli “universalisti” e “relativisti”. I primi fanno ipotesi sulla natura umana, ad esempio congetturando che presso ogni latitudine i vari popoli tenderanno a evitare cibi che potrebbero costituire un rischio per la salute, oppure il cui consumo ha dei costi troppo alti rispetto agli usi alternativi. I secondi sono invece alla continua ricerca di eccezioni e deviazioni dalla presunta “natura umana”.

Se ad esempio nella nostra società si tendesse a dare per scontato un certo tipo di divisione del lavoro fra maschi e femmine, laddove i maschi si procurano il cibo andando a caccia o in catena di montaggio, mentre le femmine cucinano il cibo e puliscono la casa, allora gli antropologi relativisti si metterebbero alla ricerca frenetica di una società, in qualche sperduto angolo di mondo non ancora corrotto dall’Occidente, dove non c’è questa distinzione tra i sessi, oppure dove la divisione del lavoro avviene in senso contrario.

Può esserci, naturalmente, anche un’agenda politica dietro questi diversi atteggiamenti: l’universalista potrebbe voler giustificare e conservare tramite l’appello alla natura caratteristiche e norme sociali che invece potrebbero essere contingenti. Il relativista al contrario può voler portare evidenze a favore di riforme sociali che sembrano improbabili tramite l’esempio di popolazioni che le hanno adottate da tempo immemorabile.

Da un punto di vista scientifico, popperiano, non c’è nulla di male nel voler cercare evidenze che falsifichino un’ipotesi: il problema, in antropologia, è quando questo sano atteggiamento si traduce invece in una sorta di “sospensione dell’incredulità” per tutto ciò che riguarda le strane usanze o sistemi di pensiero di altri popoli, e dove cioè a non essere più sottoposta a verifica è proprio l’idea che non esistano limiti alla eterogeneità culturale fra i vari popoli.

Certi studi assomigliano in effetti a quei resoconti medioevali di viaggi immaginari in cui venivano descritti i fantasmagorici “mondi alla rovescia”. Ecco allora che si parla di popoli presso i quali non esisterebbe il concetto di “tempo” quale noi lo conosciamo (gli Hopi per Benjamin Whorff), o di popoli la cui cultura rende impossibile il concetto di “numero” (i Piraha dell’Amazzonia per Everett), o di popoli che sono riusciti a rendere concreta l’utopia di un’anarchia perfetta e ordinata (i Nuer per Evans-Pritchard). Ci sono anche esempi di pacifiche società matriarcali, ma siccome non sono molto numerose certi antropologi ci assicurano che una volta tutte le società del Vecchio Continente lo erano, prima di essere rimpiazzate dal patriarcato violento e aggressivo. Mancano ancora all’appello popoli che camminano sulle mani, ma ci sono buone speranze.

Margaret Mead, invece, voleva scoprire se i disturbi tipici dell’adolescenza sono dovuti alla natura stessa dell’adolescenza (spiegazione riduzionistica) oppure alla civilizzazione. La scoperta di una civiltà priva di un’adolescenza concepita come inevitabile e dolorosa fase di ribellione e crisi esistenziale avrebbe quindi fornito il controesempio cercato al determinismo biologico. Da Wikipedia:

La ricerca più celebre ed importante di M. Mead fu L’adolescenza in Samoa, nella quale sosteneva che le difficoltà personali incontrate dalle adolescenti occidentali (americane in particolare), non sono universali e necessarie, ma contingenti e generate prevalentemente dalle costrizioni e dalle imposizioni che gli elementi più tradizionalisti e moralistici della cultura americana impongono. Le adolescenti samoane, al contrario, sarebbero lasciate libere di giungere alla maturità fisica, identitaria, sessuale, sociale, senza condizionamenti eccessivi, e non soffrirebbero delle crisi e delle difficoltà incontrate dalle occidentali.
Queste tesi ebbero grandissima risonanza negli Stati Uniti, e furono duramente contestate da parte dell'opinione pubblica di orientamento conservatore. […] D’altra parte Mead rimase fino agli anni sessanta un personaggio pubblico notissimo e fervente paladina dei valori progressisti, anti-autoritari e anti-discriminatori.


A colpire l’immaginario collettivo (e forse certe morbose curiosità), fino a rendere la Mead una sorta di guru del movimento hippy, fu soprattutto la descrizione della libertà sessuale goduta dalle adolescenti polinesiane, lasciate libere prima del matrimonio di esplorare ogni territorio della sessualità. Da notare come Wikipedia italiana, famosa per la sua precisione e attendibilità, si limiti a citare genericamente “contestazioni” da parte dell’opinione pubblica conservatrice. Questi bigotti americani…

La questione è però molto più seria, come si può constatare guardando alla voce dell’enciclopedia inglese. Il fatto è che praticamente niente di quanto la Mead racconta nel suo libro è vero, come molti altri osservatori giunti a Samoa ebbero modo di constatare, e come Derek Freeman ebbe per primo il coraggio di denunciare pubblicamente nel 1983, col libro The Making and Unmaking of an Anthropological Myth, seguito nel 1999 da The Fateful Hoaxing of Margaret Mead.

Oltre a mostrare l’inadeguatezza metodologica del lavoro sul campo della Mead (pochi mesi passati sull’isola, scarsa conoscenza della lingua, e scarso livello di “immersione” nella società locale), nel secondo libro Freeman (intervistando fra l’altro le vecchie informatrici della Mead) raccolse l’evidenza che la giovane Mead era stata letteralmente presa in giro dalle sue amiche. Più o meno le cose devono essere andate così:

- Ciao, sono un’antropologa, vorrei sapere in che modo voi ragazze vi trastullate con l’altro sesso prima di sposarvi -
- Prego? -
- Mi chiedevo se per caso subite lo stesso tipo di condizionamento culturale che nella mia società impedisce alle giovani come me di godersi la vita -
- Oh no, noi lo facciamo quando capita, con chi capita, e dove capita -
- Che bello. E nessuno vi dice niente? -
- Anzi. I nostri genitori ci danno un sacco di consigli, non si lamentano mai se facciamo tardi, e qualche volta ci lasciano anche la capanna libera per portarci i ragazzi -
- Davvero? E con i ragazzi fate anche ### ? -
- Certo. Ogni volta che possiamo -
- E magari anche ### -
- Sì, e poi facciamo pure ### e poi ### -
- Piano, piano, come si scrive quella parola? -

I samoani non sono affatto la personificazione del “buon selvaggio” di rousseauiana memoria, e la società samoana non è (e non era) disinvolta, sessualmente libera, egualitaria, e permissiva come la dipinge Margaret Mead. Si tratta invece di una società altamente competitiva, puritana, autoritaria, diseguale, e punitiva, e in cui ad esempio allo status di “vergine” è conferita, come in altre culture tradizionali a noi più familiari, un’altissima importanza simbolica.

Ma qui non si parla dei samoani: l’oggetto del post è invece la tribù degli antropologi. Perché sebbene nel corso del tempo le scoperte di Freeman abbiano finito per essere condivise (le opinioni divergendo piuttosto sulla buona o cattiva fede di Margaret Mead), l’uscita del suo libro nel 1983 (pochi anni dopo la morte della Mead) provocò un enorme scandalo in seno alla tribù. L’attacco a un mostro sacro della antropologia culturale, nonché icona della sinistra radicale, non poteva passare impunito. Soprattutto, quella era l’epoca in cui nulla poteva essere concesso allo spauracchio culturale del momento: la sociobiologia, che minacciava l’autonomia disciplinare della scienza antropologica.

L’American Anthopological Association convocò quell’anno una sessione speciale per discutere del libro, alla quale Freeman non venne invitato: nell’occasione, venne votata una mozione in cui l’opera veniva dichiarata “scritta male, non scientifica, irresponsabile e ingannevole”. È così, in effetti, che la scienza nel corso dei secoli ha segnato i suoi maggiori trionfi e risolto le sue controversie: tramite la votazione a maggioranza per alzata di mano.

Ma sia la Mead che Freeman oggi non ci sono più, ne è passata di acqua sotto i ponti, e come dicevo le idee di Derek Freeman non suscitano tanto scandalo come allora. Rimane sempre, però, la divisione cui accennavo all’inizio, fra due diverse idee di concepire il lavoro antropologico. Per qualcuno l’antropologia oltre che una scienza è anche e soprattutto uno strumento di natura politica: osservare i costumi degli altri popoli serve a prendere le distanze dalla nostra civiltà e a criticarla meglio. Per altri, il fine ultimo dell’antropologo è la conoscenza scientifica della natura umana, unica ma declinata in varie forme a seconda del contesto ecologico.

Ci si aspetterebbe che nel tempo le due fazioni abbiano imparato a rispettarsi reciprocamente e che nel ventunesimo secolo una lotta come quello intercorsa fra i critici della Mead e i suoi difensori non raggiungerebbe più tali livelli di astio. In fondo non è più tempo di caccia alle streghe, e il politicamente corretto può andar bene per le conversazioni da salotto, non certo in seno alla scienza. O no?

Peccato infatti che proprio il ventunesimo secolo, per gli antropologi, sia cominciato con un episodio di psicosi al cui confronto anche Rignano Flaminio sparisce, ovvero lo "scandalo El Dorado". Troppo lungo da raccontare, ma se a qualcuno interessa, può cominciare da qui.

giovedì 8 gennaio 2009

l'intelligenza del consumatore - 2

Gli esempi del post precedente sono tratti dalle ricerche fatte negli ultimi decenni da svariati studiosi, sia in campo economico che psicologico, i quali hanno provato a verificare se nella pratica le persone rispettano quelli che in quasi tutti i modelli sono considerati requisiti irrinunciabili della razionalità (quali la transitività delle preferenze). Il più famoso di questi, Daniel Kahneman, ha vinto un Nobel per l'economia grazie a queste ricerche (l'avrebbe certamente condiviso con Amos Tversky, se non fosse morto).

Si dà il caso che un lettore, in un altro blog, abbia espresso una certa preoccupazione per i risultati di tali esperimenti perché potrebbero costituire una giustificazione per politiche paternaliste e anti-liberali tese a limitare la libertà di scelta del consumatore (che ad una lettura frettolosa dovrebbe essere considerato evidentemente incapace di badare a se stesso).

Non è che avessi in mente questo, ma devo ammettere che tali preoccupazioni non sono del tutto infondate:

Paternalismo liberale

Thaler e Sunstein introducono la nozione di ‘paternalismo liberale’ che ritengono non essere un ossimoro perché il fervore anti-paternalista dei liberali classici si basa su un assunto falso e su alcune malintesi. L’assunto é che la gente faccia sempre scelte nel loro migliore interesse. Secondo Sunstein e Thaler questo assunto é verificabile ma si è rivelato essere falso da una vasta letteratura sperimentale.

Il paternalismo liberale non limita, in realtà, le scelte del consumatore, ma in qualche modo le manovra, proprio come i ristoranti riescono a manovrare i clienti con la sapiente compilazione della carta dei vini. Un esempio classico di applicazione sta nella norma del "silenzio assenso": lo Stato giudica un bene per tutti se più persone dessero il consenso all'espianto degli organi, ma sa che se dovesse attendere da tutti il consenso esplicito le adesioni sarebbero minime. Fà in modo perciò che la scelta di default sia proprio il consenso, e che uno debba dire esplicitamente solo se non è d'accordo a donare i propri organi.

In questo modo le adesioni aumentano, ma non si è fatta violenza a nessuno, perché la maggior parte dei cittadini è effettivamente disposta a donare gli organi, solo che non ha nessuna voglia di attivarsi in tal senso, e forse non ha nemmeno voglia di decidere, preferendo proprio che a decidere per lei siano altri.

In realtà non trovo nulla di male neanche in considerazioni del genere: l'unica cosa che mi preoccupa è l'eventuale deriva in senso "troppo" paternalista che potrebbe sorgere da un'applicazione non meditata e superficiale della teoria; certe cose dovrebbero costituire delle limitate eccezioni alla regola, e non la regola.

Infatti, sarebbe giusto considerare, per principio, le persone come un irrazionale branco di pecore da manovrare? Come burattini incapaci di badare ai propri interessi? Kant direbbe che non è mai giusto trattare gli altri come mezzi invece che come fini: il problema è che se la gente è davvero così irrazionale come certe ricerche sembrano suggerire, allora diventa anche impossibile considerarla come "persona", ovvero come un fine nel senso di Kant.

In effetti quei risultati sono in un certo senso paradossali, perché in ogni caso noi non possiamo assolutamente fare a meno, nel trattare con i nostri simili, di considerarli come agenti razionali, pena la perdita del loro status di "persona". Un "consumatore irrazionale" è quasi una contraddizione in termini: nel momento in cui stabiliamo che qualcuno ha una volontà, ed effettua delle scelte sulla base delle proprie credenze e preferenze, siamo costretti ad assegnare a quelle credenze e preferenze una certa coerenza, o non potremmo neanche determinarne il contenuto.

Ma allora siamo razionali o irrazionali? L'irrazionalità esiste? Ovviamente esiste, altrimenti non esisterebbero neanche, poniamo, gli sciachimisti. E in effetti a volte si fa fatica a considerarli come persone. Tuttavia, sono convinto che persino Vibravito è perfettamente in grado di curare i propri interessi nella maggior parte delle incombenze quotidiane, e di pensare cose non in contraddizione fra loro (sia pure pensieri elementari del tipo "oggi piove, quindi non c'è il sole, quindi prendo l'ombrello, altrimenti mi bagno, ma solo se esco di casa").

In un certo senso Vibravito è razionale anche nel suo complottismo: crede cose assurde ma persino lui si sente obbligato in qualche modo a cercare di dargli coerenza. Quindi, se vede delle foto con scie di condensa anteriori al 1990, afferma che si tratta di contraffazioni, perché sa che l'esistenza di quelle foto è incompatibile con le sue convinzioni di tipo complottista.

Ovvero l'irrazionalità esiste ma non occorre dargli troppa importanza. Le evidenze sperimentali di cui parlavo all'inizio non vanno sottovalutate, in quanto possono avere effetti anche a livello macroscopico, ad esempio nel campo dell'alta finanza. Ma non bisogna neanche sopravvalutarle, perché ad esempio non è detto che nella vita reale ci comportiamo come ci comportiamo in un laboratorio, in un ambiente artificiale, davanti a uno psicologo con i suoi questionari. E anche perché, pur se facciamo errori, possiamo imparare dall'esperienza ad essere consumatori più accorti. Oppure perché possiamo essere consapevoli dei nostri limiti, e razionalmente decidere di porre un freno ai nostri impulsi irrazionali (un po' come chi mette avanti la lancetta dell'orologio per cercare di contrastare la sua tendenza ad arrivare in ritardo, o chi nasconde il pacchetto di sigarette in un luogo impervio e difficile da raggiungere).

Ma soprattutto ancora più rilevante è il successo dell'approccio che può essere visto come opposto a questo, ovvero il cercare la razionalità dove apparentemente non c'è. Certi studiosi di economia infatti si sono accorti che fredde considerazioni di natura razionale, reazioni a costi ed incentivi, agiscono inconsciamente anche dove meno ce lo aspettiamo, ad esempio nel campo degli orientamenti sessuali. Per una rassegna abbastanza divertente, vedi The Economy of Sex Desire, dal Nyt.

Ovvero, il considerare gli altri come razionali, oltre che caritatevole, è spesso anche utile, perché ci fa scoprire cose nuove.

domenica 4 gennaio 2009

l'intelligenza del consumatore

Le teorie economiche classiche si basano sul presupposto che gli agenti economici effettuino le loro scelte in maniera perfettamente razionale. Beh, a dire il vero ci sarebbe molto da chiarire sul significato del termine “razionalità”, che è di quelli che usiamo in continuazione ma senza che nessuno, o quasi, sappia assegnargli un preciso contenuto. Tuttavia, gli esempi seguenti illustrano delle situazioni nelle quali le persone, osservate nel loro concreto agire, tendono a comportarsi in maniera che sicuramente tutti tenderebbero a giudicare poco razionale.


1) Supponiamo che voi siate in libreria e che stiate per effettuare l’acquisto di un libro che costa 20 euro. Un amico vi avvisa all’ultimo momento che nell’altra libreria, a 10 minuti di cammino da dove vi trovate, lo stesso libro è in offerta a 15 euro. Fareste la passeggiata per risparmiare 5 euro?

Supponiamo adesso che stiate per comprare una tv al plasma al prezzo di 1500 euro. Lo stesso amico di prima vi informa che nell’altro negozio, sempre a 10 minuti di cammino, la stessa tv può essere comprata per soli 1495 euro. Fareste ancora quella passeggiata?

È strano, ma quando queste due domande vengono poste separatamente a diversi gruppi di persone, è molto più alta la percentuale di persone disposte a risparmiare 5 euro per un libro di quelle che sarebbero pronte a risparmiare 5 euro per una tv al plasma, nonostante il fatto che in entrambi i casi venga prospettato un identico risparmio di 5 euro (con lo stesso piccolo sacrificio di una salutare passeggiata).

Infatti è stato osservato che le variazioni di prezzo di un medesimo bene sono in genere proporzionali al suo valore medio, il che significa che molte occasioni di risparmio non vengono sfruttate perché il venditore può contare sul fatto che l’acquirente non le percepirebbe nemmeno o non gli darebbe importanza (ovvero, nessuno offre uno sconto di un euro sull’acquisto di un’automobile, o di una casa).


2) Dobbiamo scegliere fra l’acquisto di due modelli diversi di televisori. Uno costa 400 euro, e l’altro, che offre qualche funzione in più, costa 500 euro. Dopo aver pensato a lungo, scegliamo di comprare il modello da 400 euro, preferendo risparmiare un centinaio di euro e non ritenendo fondamentali le funzioni aggiuntive offerte dal secondo modello.

Immaginiamo, ora di dover scegliere fra tre televisori diversi: gli stessi due di prima, più un terzo modello super-accessoriato che costa 1500 euro. Quando i due tipi di dilemma vengono sottoposti a campioni diversi di persone, troviamo che la percentuale di persone che si orienta sul modello da 500 euro invece che su quello da 400 euro è molto più alta nel secondo caso che nel primo.

Stranamente l’introduzione di una terza opzione, che comunque non sarebbe scelta dalla maggioranza delle persone, ha modificato l’ordine delle preferenze, il che è contrario a ogni logica. Un po’ come se al ristorante ci chiedessero di scegliere fra penne e spaghetti e noi scegliessimo le penne, salvo cambiare idea e ordinare gli spaghetti quando il cameriere ci avverte che ci sono anche i fusilli.

Ma nel caso dei televisori l’esistenza del modello super-accessoriato ci fa sembrare forse un po’ avari e orientare invece su una soluzione intermedia. Deve essere per questo motivo che al ristorante, pur volendo risparmiare, non riesco mai a ordinare la bottiglia di vino meno costosa, preferendo spesso la seconda in ordine di economicità. E scommetto che i ristoratori questo lo sanno, oh se lo sanno… infatti a volte mi chiedo se hanno davvero il Sassicaia in cantina o lo tengono sul menù solo per manipolare le nostre scelte (ma non ho mai voluto verificare di persona).


3) Preferite pagare un piccolo sovrapprezzo sugli acquisti effettuati con la carta di credito, oppure un piccolo sconto sugli acquisti effettuati in contanti? In realtà si tratta della medesima cosa, ma la seconda formulazione suona molto meglio, vero? Le scelte delle persone sono molto sensibili al modo in cui le informazioni vengono presentate, e i pubblicitari utilizzano spesso questa conoscenza per indurre i consumatori a fare acquisti che altrimenti non farebbero. Nel campo delle assicurazioni, ad esempio, si preferisce specificare che una data polizza offre una copertura “totale” contro uno specifico rischio, invece di dire che quella polizza copre circa il 50% degli infortuni possibili. Nessuna polizza, naturalmente, può eliminare del tutto il rischio, ma questo non è quello che i consumatori vogliono sentirsi dire.

Questo tipo di distorsione può anche avere effetti molto gravi nel campo delle decisioni medico-sanitarie: immaginiamo che vengano elaborate due diverse strategie (o vaccini) per la gestione di una emergenza sanitaria, come un nuovo tipo di influenza. Con la prima strategia (il piano A), vi viene detto che abbiamo la certezza di salvare 20 persone su 100 nell’area interessata, mentre se adottiamo il piano B abbiamo solo il 20% di probabilità di salvare tutti, contro l’80% di probabilità di non salvare nessuno. La maggioranza delle persone preferisce il piano A (nonostante l’utilità attesa dei due piani sia la stessa, ma questa è un’altra storia).

Ma ora immaginate vi venga detto che se adottiamo il piano A abbiamo la certezza che 80 persone su 100 moriranno, mentre se adottiamo il piano B esiste almeno un 20% di probabilità che nessuno muoia, contro un 80% di probabilità che muoiano tutti. Si tratta delle stesse opzioni di prima, però riformulate in termine di “perdite” invece che di “guadagni”. Con questa formulazione, la maggioranza delle persone preferisce il piano B.


4) Effetto “dotazione”: è difficile separarsi dalle cose che abbiamo già, anche quando non gli assegniamo un grande valore nel caso in cui appartengono ad altri. Supponiamo di regalare a tutti i membri di gruppo di persone un certo oggetto (come una comune tazza), facendo in modo che sappiano che il suo prezzo è di 4 euro. A un altro gruppo di persone invece vengono regalati direttamente 4 euro, avvertendole che se vogliono possono usarli per l’acquisto di una tazza (in vendita nel negozio vicino). Se adesso facciamo interagire i due gruppi, incoraggiandoli alla compravendita della tazza, troveremo che i possessori della tazza saranno molto restii a cedere il loro regalo per meno di 5 euro, mentre chi ha il denaro sarà disposto a sborsare al massimo due euro e mezzo per l’acquisto della tazza. Il semplice fatto di possedere la tazza fa salire immediatamente il suo valore “percepito”.


5)
Un piccolo trucco per manipolare i sondaggi (effetto “ancoraggio”): secondo voi i paesi africani nell’ONU sono più o meno di 30? Quanti di più, o quanti di meno? A meno che già non conosciate per conto vostro il numero esatto, è probabile che la vostra risposta sia stata influenzata dal mio modo di porre la domanda. Se infatti avessi chiesto se il numero è maggiore o minore di 50, la vostra stima sarebbe stata corretta al rialzo, mentre se avessi chiesto se il numero è maggiore o minore di 10, sarebbe stata corretta al ribasso. Questo effetto è così potente che è attivo anche quando il punto di ancoraggio viene esplicitamente scelto in modo casuale (ad esempio facendo girare una ruota con scritti i numeri da 1 fino a 100, e poi formulando la domanda di conseguenza).


6) Un altro esempio di cecità nei confronti della probabilità: “Linda ha 32 anni, single, indipendente. Ha una laurea in filosofia ed ha svolto una tesi in filosofia politica. È molto sensibile ai temi della giustizia sociale ed ha partecipato a manifestazioni contro il nucleare”. Sulla base di queste affermazioni, quale di queste due frasi ritenete più probabile?

a) Linda è una bibliotecaria
b) Linda è una bibliotecaria femminista

La maggioranza delle persone risponde b), nonostante l’intersezione di “bibliotecaria” e “femminista” sia logicamente più piccola delle due proprietà prese singolarmente.


7) Ma infine, ecco l’argomento killer contro la presunta razionalità degli agenti economici postulata dalla teoria neo-classica, e la prova definitiva che non sempre le persone fanno le loro scelte in modo tale da massimizzare la loro utilità:
http://involuzione.blogspot.com/


Letture consigliate:
Daniel Kahneman - Economia della felicità
McFadden, Kahneman, Smith - Critica della ragione economica

Aggiornamento
Questo post ha avuto l'onore di una stroncatura da parte dello zio Linucs