venerdì 24 dicembre 2010

fuffa quantistica


Nella prima metà del ventesimo secolo, lo sviluppo della fisica quantistica ad opera di un gruppo di scienziati europei (Planck, Bohr, Heisenberg, Dirac, Einstein, De Broglie, Schrödinger e altri ancora) segnò una rottura dell'immagine tradizionale della natura molto più vasta di qualsiasi rivoluzione scientifica precedente. Anche le scoperte di Galileo e Newton erano contro-intuitive, rispetto alla fisica "ingenua" aristotelica, ma erano anche in fondo comprensibilissime e razionali, tanto da essere giustificate da Kant, a posteriori, come basate su principi assolutamente necessari. Nemmeno la teoria della relatività di Einstein era così profondamente enigmatica come il comportamento delle onde e delle particelle elementari evidenziato dai fisici dei primi decenni del Novecento.

Le rivoluzioni scientifiche portano con sé, in maniera abbastanza inevitabile, un ripensamento dei principi epistemologici stessi alla base della ricerca. Dopo l'iniziale sconcerto, la prima reazione da parte di alcuni degli scienziati coinvolti fu un'interpretazione della natura in chiave anti-realista, se non apertamente idealista, nettamente in contrasto con l'approccio "materialista" tradizionalmente attribuito agli uomini di scienza. Di matrice idealista è sicuramente la cosiddetta interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica, fatta propria da Niels Bohr e Werner Heisenberg. Quella che rese Einstein molto diffidente nei confronti della meccanica quantistica tutta (pur essendone uno dei padri) e che gli fece esclamare: "non riesco a credere che la Luna non sia lì se non la si guarda".

Pur non avendo in realtà una formulazione univoca, di modo che non è chiaro capire di che si tratti con esattezza, credo che la caratteristica principale dell'interpretazione di Copenaghen sia l'importanza data all'apparato di misurazione e al ruolo svolto dall'osservatore. Uno dei risultati più sorprendenti della meccanica quantistica è proprio il fatto che il comportamento di alcune entità (particelle elementari) è determinato dall'esperimento stesso con cui si cerca di osservarlo, mentre la loro natura intrinseca resta in qualche modo "indeterminata" quando non vengono osservate. Ovvero l'esperimento ci fa vedere la particella in una data posizione nello spazio, ma prima di essere osservata la posizione della particella non era semplicemente ignota, è che proprio non stava da nessuna parte, o meglio ancora era dappertutto (si trovava in una "sovrapposizione di stati", dicono i fisici). Una buona introduzione al tema, da parte di un vero luminare, la si può trovare in questo post.

Fin qui nulla di male, cioè, è sorprendente, ma non si tratta nemmeno di un'interpretazione, è ciò che viene effettivamente osservato, per quanto strano. L'idealismo emerge nelle interpretazioni più estreme di questo fatto sperimentale, ad esempio quando si comincia ad attribuire non tanto all'apparato sperimentale, ma alla "osservazione cosciente" dello sperimentatore il potere di trasformare la realtà. Quando cioè si attribuisce alla mente immateriale, piuttosto che alle macchine, il collasso della funzione d'onda (la funzione matematica che descrive la sovrapposizione degli stati possibili di una particella o un gruppo di particelle).

Questa non è soltanto una visione metafisica bizzarra (che in quanto tale sarebbe innocua), ma in realtà conduce anche a conseguenze sperimentali contraddittorie, come ben argomenta Paolo Musso in questo articolo. Sempre Paolo Musso mi fornisce gentilmente le citazioni necessarie a mostrare che questa lettura idealistica dell'interpretazione di Copenaghen non è del tutto una mia invenzione, ma che se anche nessuno degli scienziati coinvolti (tranne, pare, von Neumann) l'avesse abbracciata con convinzione, alcune loro parole mostrano almeno una certa propensione verso l'idealismo.

La normale separazione del mondo tra soggetto e oggetto, tra mondo interno e mondo esterno, tra corpo e anima, non è più adeguata. [...] Tutti gli oppositori della interpretazione di Copenaghen concordano in un punto. Sarebbe desiderabile, secondo loro, ritornare al concetto di realtà della fisica classica o, per usare un termine filosofico, all'ontologia del materialismo. Essi preferirebbero ritornare all'idea di un mondo reale oggettivo le cui particelle minime esistono oggettivamente nello stesso senso in cui esistono pietre e alberi, indipendentemente dal fatto che noi le osserviamo o no (Werner Heisenberg)
Per quanto utile possa essere nella vita di ogni giorno il dire che il mondo esiste “là fuori” indipendentemente da noi, questo punto di vista non può più essere mantenuto [...] Sì, o universo, senza di te io non avrei potuto cominciare ad esistere. Tuttavia tu, grande sistema, sei fatto di fenomeni; ed ogni fenomeno poggia su un atto di osservazione. Tu non potresti mai nemmeno esistere senza atti elementari di registrazione come i miei (John Wheeler)
Resterà notevole, qualunque sia lo sviluppo futuro dei nostri concetti, che lo stesso studio del mondo esterno abbia portato alla conclusione che il contenuto della coscienza è una realtà irriducibile (Eugene Wigner)

Purtroppo non solo l'interpretazione di Copenaghen viene spesso presentata come se fosse l'unica dottrina ortodossa in materia di fisica quantistica (specie quando contrapposta alla teoria delle variabili nascoste, che si è dimostrata in effetti impraticabile), ma molti testi divulgativi la presentano proprio in termini simili a quelli citati sopra, di modo che una certa immagine si è diffusa anche a livello popolare, e che non è raro sentire o leggere frasi come "ormai la fisica quantistica ha dimostrato che non esiste una realtà oggettiva, ma che la realtà viene creata dalla nostra stessa mente".

Pura fuffa cui ha poi contribuito la letteratura new age, e tutti quei libri, a partire dal celebre Il Tao della fisica di Fritjof Capra, che si sono sforzati di intravedere connessioni fra le dottrine mistiche orientali e lo sviluppo della scienza moderna. Connessioni suggestive quanto, a ben guardare, alquanto superficiali (in fondo tutto è simile a tutto). Francamente, l'idea che un monaco tibetano di qualche secolo fa possa aver elaborato qualcosa di simile alla concezione della realtà svelata dalla fisica quantistica semplicemente "meditando" è piuttosto offensiva nei confronti di chi fa il lavoro dello scienziato, il quale sa bene che non solo deve sottoporre le sue idee al tribunale dell'esperienza, ma anche che quelle stesse idee non gli sarebbero mai venute senza il lavoro di tutti gli scienziati che l'hanno preceduto. No, dire una scemenza vaga e fumosa come "tutto è energia, tutto si trasforma" o altri pensierini da Bacio Perugina non è affatto paragonabile all'ideare il principio di indeterminazione di Heisenberg, o al descrivere la struttura di un atomo.

Ancora più pericoloso il discorso quando viene utilizzato dai ciarlatani per vendere i loro intrugli. Non è inconsueto, purtroppo, che la fisica quantistica venga invocata dagli adepti della "medicina olistica" o chissacché, per giustificare i loro folli procedimenti. Persone che cercano di convincere i malati dell'enorme potere della loro mente di incidere sul reale e trasformarlo, e quindi di sconfiggere ogni malattia possibile e immaginabile con la sola forza di volontà ("lo dice la fisica quantistica!"). Persone che arrivano a ideare una disciplina dal nome "medicina quantistica" e che la presentano con stringhe di parole assolutamente senza senso alcuno, ad esempio:

L’uomo e la natura sono costituiti di energia e materia. La materia è frequenza elettromagnetica condensata, e quindi tutti i corpi emettono frequenze (energia) e possono anche riceverle. Tutte le cellule del corpo umano grazie al loro DNA che funziona come un trasmettitore-ricevitore sono in continua connessione elettrica e modificano sè stesse [sic] a seconda dei messaggi.
La medicina quantistica grazie a tecnologie basate sulla fisica quantistica (Plank-Borch) [sic] può decodificare le trasmissioni intercellulari ed effettuare una diagnosi e quindi una terapia corretta che può essere: omeopatica, agopunturale, fitoterapica, ecc. a seconda dell’indirizzo del medico.
Tutte le “patologie” dal comune raffreddore alla psoriasi sono effetti di alterazioni di percezione del reale, che nell’arco di mesi o di anni e nel caso dei bambini già alla nascita, portano ad una alterazione delle frequenze elettromagnetiche della nostra “Unità” e quindi al malfunzionamento del DNA che prima di essere la composizione di Adenina, Guanina, Citosina e Uracile [in realtà l'uracile è una componente del RNA], è un’elica di frequenza cristallina.
A seconda del tipo di squilibrio personale, l’alterazione di frequenze crea la “malattia” di un organo (o più) anziché di un altro.
Tutti i medici operanti nel settore delle medicine non convenzionali, sanno che la paura colpisce i reni ed il cuore, la rabbia il fegato e la cistifellea, la soppressione il sistema nervoso centrale, la svalutazione di sé la colonna vertebrale e le ossa.

Il mio appello, a tutti i cultori di dottrine new age, religioni orientaleggianti, medicine alternative, e pseudoscienze varie ed eventuali, è il seguente: "credete pure a quello che volete, vivete pure come volete, fatevi ingannare da chi volete, ma per favore, lasciate in pace la fisica quantistica e in generale le cose che sono più grandi voi e delle capacità del vostro cervello. Essa non vi merita, non è stata concepita per essere abusata da voi e per diventare un giochino da astrologi della domenica, ma è una delle più grandi elaborazioni concettuali dell'umanità. Lasciatela stare, per piacere. Oppure buttatevi dal decimo piano di un palazzo e provate a modificare la realtà del marciapiede".

martedì 7 dicembre 2010

l'idolatria dei fatti


"La lettura del giornale è la preghiera dell'uomo moderno", diceva Hegel. È anche la sua superstizione, aggiungo io. Hegel intendeva dire che il processo di secolarizzazione e immanentizzazione della religione era giunto al punto che per entrare in contatto con la divinità, in qualunque modo la si chiami (Spirito Assoluto, ad esempio) era sufficiente essere aggiornati su quel che succede. Lo Spirito si manifesta non attraverso i miracoli e le opere dei santi e dei profeti, ma attraverso la cronaca, o attraverso lo svolgersi degli eventi storici (non è proprio la stessa cosa, ma alcuni non distinguono). Il problema di una religione secolarizzata, però, è che si tratta pur sempre di una religione.

Il giornalismo e la stampa (in qualunque forma, cartacea, televisiva o elettronica), con tutti i meriti che hanno in ordine al formarsi di una "opinione pubblica", di una "coscienza civile" e al controllo del potere politico, sono indubbiamente anche la più ampia fonte di "non-conoscenza" che abbiamo oggi, e una delle più pericolose, proprio per l'illusione di conoscenza che producono, e per la dipendenza che inducono. Fatti e fattoidi scorrono quotidianamente sotto i nostri occhi, drogati di informazione, spesso senza che ci rendiamo conto della loro estrema insignificanza e provvisorietà, non solo su scala geologica e cosmologica, ma proprio in relazione alle nostre vite e ai nostri interessi anche frivoli.

È più divertente seguire una partita di calcio nel suo svolgimento, che conoscere solo il risultato alla fine (o almeno così dicono gli appassionati di sport), ma non credo che l'ansia di conoscere, minuto per minuto, l'andamento di un titolo in borsa, o l'iter di una legge in Parlamento, o le consultazioni per la formazione o il disgregarsi delle alleanze politiche in previsione della fiducia al Governo, abbiano molto a che vedere con lo spirito sportivo. La verità, dovremmo riconoscerlo, è che la maggior parte delle informazioni che riceviamo dai giornali sono assolutamente inutili e che vivremmo molto meglio senza.

Molte delle informazioni che riceviamo da un giornale online, aggiornato in tempo reale, potrebbero essere date in blocco una volta solo al giorno, in modo da farci stare più tranquilli (la preghiera di cui parlava Hegel era quella mattutina, la nostra idolatria moderna ci spinge a pregare in maniera compulsiva in ogni momento della giornata). Molte delle informazioni contenute in un quotidiano potrebbero essere date da un settimanale, e la funzione di un settimanale potrebbe in buona parte essere svolta da un mensile. Alcune delle informazioni contenute in tutti questi giornali potrebbero non essere date mai, naturalmente, perché mai serviranno a qualcuno (se non forse al giornale stesso per giustificare la sua esistenza).

Quando i giornalisti scioperano si comportano un po' come se dovesse crollare il mondo, come se la democrazia fosse destinata a cedere per un solo giorno di black out informativo, ma in fondo, a ben vedere, non è proprio come se scioperassero gli ospedali, e non se ne sente troppo la mancanza. Possiamo fare a meno della dichiarazione del politico di turno che sarà superata dalla dichiarazione di domani, di leggere quello che oggi ci sembra importante ma domani non lo sarà più (per una collezioni di altri giudizi sferzanti sul giornalismo, leggere gli aforismi di Karl Kraus, oppure i libri di Taleb).

Se i giornali sono il regno dell'effimero e del transitorio, il contrario del giornalismo è lo studio di ciò che è eterno, di ciò che si eleva al di sopra delle nostra miserie terrene. Lo studio dell'essere in quanto contrapposto alla mera esistenza. Coloro che svolgono un mestiere il più possibile lontano da quello dei giornalisti sono dunque i matematici, gli studiosi delle forme a priori del tempo e dello spazio, prima di ogni tempo e spazio vissuti per esperienza. Cosa c'è di meno transitorio del teorema di Pitagora? di meno effimero della "notizia" per cui esistono infiniti numeri primi, o che non esiste nessuna tripletta di numeri x e y e z tale per cui x^n + y^n = z^n (per ogni n>2)?

Se queste sono la tesi e l'antitesi, la sintesi hegeliana l'ha forse trovata un matematico e scrittore americano, John Allen Paulos, autore del libro A Mathematician Reads the Newspaper, nel quale descrive appunto il paradossale approccio di un matematico alla lettura dei giornali. Si tratta in fondo di nient'altro che di un'opera divulgativa, che cerca di combattere l'analfabetismo scientifico tanto diffuso un po' ovunque (e che naturalmente va oltre la conoscenza della sola matematica), educando ad una lettura critica e attenta alle strutture profonde ed essenziali che si nascondono dietro una notizia, al razionale che sta sotto al reale. Possiamo pensare dunque a una pars destruens, dove ci si fa beffe del modo in cui certe notizie vengono date e assimilate, e a una pars construens dove si propongono alternative migliori (forse un po' utopiche).

Esempi nostrani: se io leggo, come è capitato recentemente che "un marocchino drogato e senza patente ha investito e ucciso sette ciclisti", mi viene spontaneo chiedermi cosa mai può aggiungere, alla tragica notizia, il fatto che il conducente fosse marocchino (non c'è scritto se era mancino o ambidestro, o per quale squadra tifava, perché questi dati sono giustamente ritenuti insignificanti). C'è quindi un problema, subito, di filtro delle informazioni da comunicare, dei dati selezionati. Se non facciamo attenzione a queste cose rischiamo di entrare in comunicazione non tanto con lo zeitgeist, "lo spirito del tempo", ma solo con l'umore di un redattore un po' fascista; non veniamo realmente informati su ciò che succede.

Ogni volta che viene data una notizia del genere, inoltre, sarebbe bello vedere una tabella che contiene dati statistici aggiornati sull'incidenza della mortalità stradale, in rapporto magari ad altri fenomeni. In questo modo il lettore sarebbe forse meno propenso ad attribuire un'importanza reale, agli eventi, proporzionale alla loro esposizione sui giornali. Per esempio: "Sharm, squalo uccide una turista" (su Repubblica ieri). Il fatto che ogni volta che uno squalo uccide qualcuno la notizia finisce sul giornale, mentre non tutte le morti per caduta dalla bicicletta hanno un tale risalto, potrebbe far sembrare gli squali molto più pericolosi delle biciclette, quando naturalmente non è così, e le probabilità di essere aggrediti da uno squalo, anche tuffandosi nella barriera corallina, sono infime rispetto al condurre un veicolo a due ruote. Così come, del resto, è piuttosto improbabile diventare vittima di un attentato terroristico (molte persone a questo punto ti guardano con espressione molto furba e poi ti dicono "sì, ma se succede proprio a te?", come se significasse qualcosa).

Una certa ignoranza matematica è responsabile del pensiero, attribuito agli abitanti di Brembate di Sopra (paese dove è recentemente scomparsa una ragazza) secondo cui "questo è sempre stato un paese tranquillo, non era mai successo niente del genere". Beh, con 7.746 abitanti, non mi stupisce. Se i fatti cruenti di cronaca avvengono più frequentemente in città molto grandi e popolose che in paesini minuscoli, c'è un motivo strettamente matematico che non ha nulla a che vedere con il fatto che le città sarebbero più pericolose. In generale poi, le cose tendono ad accadere più spesso "altrove" (città o paese che sia), che non nel tuo piccolo angolino di mondo. Il pensiero secondo cui "questo è un posto tranquillo" rivela una visione un po' limitata ed egocentrica.

Molto strana, dal nostro punto di vista, anche l'abitudine dei giornalisti di andare a "saggiare" l'umore di una popolazione raccogliendo un paio di opinioni da parte dei passanti. I sondaggi veri sono cose abbastanza complicate: anche in questo caso la quantità di informazione che viene veicolata da simili passaggi non è solo scarsa, ma forse si tratta addirittura di una quantità negativa. Non è solo inutile, è fuorviante e potenzialmente dannosa, induce a credere di avere una conoscenza che in realtà non abbiamo. Eppure i finti sondaggi sono sempre più spesso un ingrediente fondamentale dei giornali online. È vero che di solito c'è l'avvertenza "questo sondaggio non ha nessun valore scientifico", ma proprio perché c'è questa consapevolezza l'abitudine è ancora più misteriosa. Sarebbe come pubblicare una notizia e poi scrivere in nota che con tutta probabilità si tratta di un'invenzione del redattore.

A proposito di sondaggi, non sarebbe male se i giornalisti oltre alle percentuali ogni tanto dessero il margine d'errore. Oggi ho sentito il direttore del telegiornale de La 7 commentare il consueto sondaggio settimanale sulle intenzioni di voto degli italiani, dai quali risulterebbe che il Partito Democratico ha guadagnato, rispetto alla scorsa settimana, 0,2 punti percentuali. Il problema è che se non vengono dati i margini d'errore, che sono presumibilmente superiori allo 0,2 per cento in più o in meno, qualcuno potrebbe anche scambiarla per una buona notizia per il PD, invece che di uno scarto statisticamente insignificante (come d'altronde è lecito aspettarsi, nello spazio di una sola settimana nella quale non sono accadute cose clamorose). In realtà, il consenso del PD potrebbe benissimo essere sceso.

Chi si occupa di previsioni meteorologiche, invece, dovrebbe spiegare agli ascoltatori che non c'è nulla di strano se le temperature si trovano al di sopra o al di sotto della media stagionale: è quello il significato di "media", c'è una media quando ci sono le deviazioni dalla media, le temperature non possono essere sempre costanti. Occorrerebbe anche deflazionare espressioni come "caldo record" o "freddo record" che hanno evidentemente perso ogni significato. Forse avremo qualche ecologista in meno ma può valerne la pena, se avremo cittadini comunque più consapevoli del significato di espressioni ermetiche come "media" e "record".

In fondo basterebbe poco, e un po' di coraggio. Può anche darsi che i giornali correttamente confezionati, che sappiano trovare il giusto equilibrio tra il "fatto quotidiano" e l'eternità dei numeri, vendano di più. Forse vale la pena provare.