
Questo post è stata probabilmente la prima cosa articolata che abbia mai scritto in rete col mio nick. Allora mi ero appassionato di complottismo, e bazzicavo sia siti di complottisti che di debunker. Una prima versione dell'articolo, anzi, comparve proprio su Luogocomune, il sito di riferimento dei "truthers" italiani, e poi la feci circolare in privato anche sul forum di Crono911. Qualcuno lo girò a Paolo Attivissimo, al quale piacque e mi fece l'onore di ripubblicarlo sul suo sito dedicato allo smascheramento delle bufale sull'11 settembre. Ottenne una certa ed effimera attenzione che mi lusingò (un tizio, su un forum che si occupava di scie chimiche, mi definì "uno dei più ambigui e misteriosi personaggi della rete", altri complottisti mi attaccarono su blog ormai defunti). Di tutto quel periodo ricordo che mi divertivo molto a recitare la parte del debunker, e ricordo decine di discussioni appassionate con i complottisti più esagitati su astruse questioni di termodinamica o ingegneria (discussioni nelle quali avrò senz'altro detto, a mia volta, un mucchio di sciocchezze). Però come tutti i passatempi anche questo a un certo punto smise di divertirmi e di occupare le mie giornate. Oggi lo ripubblico perché temo un certo revival del complottismo dovuto al successo politico del movimento di Beppe Grillo, che raccoglie molti dei suoi consensi proprio nella blogosfera più incline alle panzane e avulsa dal pensiero critico. E anche perché, rileggendolo, ne vado immodestamente abbastanza fiero. Credo sia una delle cose più originali che abbia scritto, e un contributo alla psicologia del complottismo tuttora valido e interessante.
Possiamo ingannare tutti, una volta sola,
oppure ingannare uno solo ogni volta,
ma non possiamo ingannare tutti ogni volta
– Abramo Lincoln
Questo articolo non intende portare nuovi dati o argomenti a favore o
contro la visione comunemente accettata riguardo gli attentati
terroristici dell’11 settembre. L’autore non è un esperto di
aeronautica, di esplosivi, di ingegneria strutturale, di termodinamica, o
chissà che altro: la sua formazione è piuttosto di tipo filosofico. Lo
scopo di questo intervento, quindi, è analizzare e criticare da un punto
di vista epistemologico i metodi di ricerca e la strategia culturale
che stanno dietro gli argomenti e le tesi dei cospirazionisti.
Al di là del ragionevole dubbio
Chiunque abbia studiato anche un poco di filosofia della scienza sa che
c’è una cosa che bisogna riconoscere anche al cospirazionista più
sfegatato e fantasioso, una cosa riguardo la quale non si può dire che
abbia torto: niente è mai provato in maniera definitiva, e di tutto è
possibile dubitare, anche di quello che oggi ci appare più certo ed
evidente. Potrebbe sembrare, quindi, che il cospirazionista, nel mettere
continuamente in dubbio i risultati delle “indagini ufficiali” su
qualsivoglia argomento, non faccia altro che tradurre nella propria
pratica di vita e di ricerca quello che è uno dei risultati maggiormente
acquisiti dell’epistemologia dell’ultimo secolo, ovvero la lezione
dello scetticismo, e la natura sfuggente e inattingibile della verità
ultima.
Detto questo, però, occorre precisare meglio la portata e i limiti delle
precedenti affermazioni. Innanzitutto potrebbe essere utile una
distinzione fra certezza
epistemica e certezza
morale:
infatti è vero che non abbiamo certezze epistemiche, ma abbiamo alcune
certezze morali. La distinzione, in parole povere, è fra quando mi
diverto a mettere in dubbio qualcosa solo per un puro passatempo
intellettuale e quella mancanza di certezza che rende davvero
difficoltoso passare all’azione.
Per esempio: niente potrà mai darmi la certezza assoluta che il fungo
che sto per mangiare non è velenoso, neppure le analisi chimiche più
approfondite. Eppure tutti noi mettiamo periodicamente a repentaglio le
nostre stesse vite mettendoci a mangiare funghi quando ne abbiamo
voglia, il che significa avere la certezza
morale
che quel fungo è mangereccio. Solo un filosofo potrebbe dubitare della
realtà del mondo esterno, o delle altre menti, solo una persona
incredibilmente tenace potrebbe continuare a credere, oggi, che il Sole
giri intorno alla Terra, solo un pazzo può pensare che due più due non
faccia effettivamente quattro, e solo un cospirazionista può credere che
lo sbarco sulla Luna fosse una messinscena cinematografica.
Siamo quindi già in grado di indicare un primo difetto del modo di
pensare cospirazionista, ovvero la mancata distinzione tra la mancanza
di certezza morale e la mancanza di certezza epistemica, quella
distinzione che è anche adombrata nel principio giuridico della
presunzione d’innocenza, nella formula
“ognuno è innocente finché non sia provata la sua colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio”. Non
ogni dubbio possibile e immaginabile: ogni dubbio
ragionevole.
L'eterno insoddisfatto
Il cospirazionista si distingue dunque per non essere mai soddisfatto da
nessuna prova gli si presenti e per trovare appigli sempre più
improbabili per sostenere che le cose potrebbero essere andate
diversamente da come pensa il volgo. Certo, ci sono
decine di testimoni
che affermano di aver visto un aereo andare addosso al Pentagono, ma
chi ha controllato che i testimoni non fossero tutti miopi e quel giorno
non avessero lasciato gli occhiali a casa? I
debunker
sono spesso meravigliati dalla capacità del cospirazionista di
arrampicarsi sugli specchi e di rifiutare come conclusiva ogni evidenza
gli portino, ma la cosa cessa di essere così strana una volta compreso
che il cospirazionista non può accontentarsi di una semplice certezza
morale: quello che vuole è la certezza epistemica, e questa purtroppo
non è qualcosa cui un essere umano possa aspirare.
Un’altra precisazione da fare è questa: è vero che possiamo dubitare di
qualsiasi cosa, ma questo significa che possiamo dubitare di tutto? Le
due cose non sono, come sembra, equivalenti. Come disse Abramo Lincoln,
possiamo ingannare tutti una volta sola, oppure ingannare uno solo ogni
volta, ma non possiamo ingannare tutti ogni volta. Parafrasando, ogni
nostra singola credenza potrebbe un giorno rivelarsi falsa, ma possono
tutte le nostre credenze essere false?
In realtà, sembra di no, perché in questo caso perderebbe completamente
di senso la stessa distinzione tra il vero e il falso, e i nostri
giudizi perderebbero il loro contenuto. Una bugia, infatti, può esistere
ed essere compresa solo in un largo sfondo di verità condivise.
Immaginate di andare in un paese straniero e di doverne imparare la
lingua. Immaginate anche di non potervi assolutamente fidare degli
aborigeni, che sono dei noti bugiardi: qualunque cosa vi dicano o
sentiate dalla loro bocca è sicuramente una menzogna. Riuscireste in
queste condizioni ad assegnare un contenuto ai loro enunciati? In
realtà, non potreste neanche assicurarvi che gli aborigeni stiano
effettivamente dicendo qualcosa, tanto incomprensibile ed enigmatico
apparirebbe il loro comportamento linguistico: per poter interpretare le
parole e i pensieri delle altre persone occorre quindi applicare quelli
che i filosofi chiamano
“principio di carità”
(la totale idiozia o la mendacia dell’interlocutore sono meno probabili
di un mio errore di traduzione). L’esistenza del linguaggio, e del
pensiero che ne viene espresso, presuppone dunque che quel che pensiamo
ed esprimiamo sia in larga parte vero.
Ora, non credo che ci siano molte persone di buon senso disposte a
giurare sul fatto che la versione ufficiale fornita dalle autorità
americane riguardo ai fatti dell’11 settembre sia esatta in ogni suo
dettaglio. In qualche caso potrebbero esserci degli errori, in altri
casi delle omissioni, in altri casi ancora delle vere e proprie
menzogne. Non ci sarebbe neanche molto da stupirsi: in fondo il lavoro
dei servizi segreti consiste proprio nel mantenere segreto ciò che non
deve essere rivelato per motivi di sicurezza di Stato (e ricordiamoci
che è il Pentagono ad essere stato colpito).
Ma il cospirazionista va molto oltre queste ovvietà: egli è convinto che
tutti mentano, sempre, su tutto. Uno degli argomenti dei
cospirazionisti, per esempio, è che i dirottatori non avrebbero mai
potuto avere le capacità tecniche di pilotare degli aerei di linea e
condurli fino all’obiettivo colpito: a chi gli fa notare che in realtà
avevano seguito dei corsi e conseguito dei certificati che affermano
l’esatto contrario, replicano candidamente che tali certificati sono
stati falsificati (un’ipotesi di complotto che ne sostiene un’altra). È
anche inutile dire a un cospirazionista che ci sono dei testimoni che
hanno visto l’aereo dirigersi sul Pentagono, o che è stato analizzato il
DNA dei resti dei passeggeri: semplicemente, non può esserci
un’affermazione in grado di confermare o confutare un’altra
affermazione, perché tutte le affermazioni sono ugualmente false o non
attendibili. In questo modo il cospirazionista si garantisce in un certo
senso contro l’accusa di incoerenza (non si può dire che abbia delle
credenze fra loro in conflitto) ma al caro prezzo di non sapere più, in
modo chiaro, che cosa egli creda o di cosa effettivamente dubiti.
Nessuna alternativa coerente
A conferma di quanto detto, se si analizzano i discorsi dei
cospirazionisti si può notare come essi non abbiano in realtà una
ipotesi alternativa a quella ufficiale che tenti almeno di rendere conto
della totalità delle osservazioni riguardanti quel fatidico 11
settembre: tutto quel che dicono, ripetutamente, è di contrastare quella
che chiamano la
“Versione Ufficiale” degli avvenimenti (da loro abbreviata in
VU).
Ma che cos’è la versione ufficiale? Non è una singola proposizione, o
una teoria le cui parti sono sistematicamente connesse, in modo che se
ne salta una si porta dietro tutto il resto: è una molteplicità di
affermazioni e di ipotesi spesso anche slegate fra di loro. Alcune di
queste affermazioni ed ipotesi potrebbero benissimo rivelarsi false
senza che ciò intacchi in maniera sostanziale il succo del discorso.
Il cospirazionista ha invece una visione olistica estrema, in cui ogni
particolare inesatto concorre a confermare la sua teoria secondo cui
tutto è falso. Facciamo un esempio testuale concreto: in
questo acceso dialogo sull’attentato al Pentagono, che ho tratto dal sito
"911 subito",
il debunker Paolo Attivissimo ha appena detto a un certo Jack, che
difende le tesi cospirazioniste, che probabilmente l’aereo quando ha
impattato contro il Pentagono non volava perfettamente radente al suolo,
ma con una leggera pendenza.
Jack: «Questo è il top. Hai toccato il fondo. Stai
stravolgendo completamente la versione ufficiale che vorresti difendere,
paradossalmente rendendola più logica e verosimile di quanto non sia.
[...]
Ormai lo sanno anche i sassi. Uno dei punti più discussi dell'intera
faccenda è proprio che secondo la versione ufficiale, e ti sfido a
negarlo stavolta, l'aereo ha si è avvicinato al Pentagono in linea
perfettamente retta, senza la benchè minima pendenza. IN LINEA
PERFETTAMENTE RETTA».
Attivissimo: «Ehm... chi ti ha detto che io voglio difendere a tutti i costi la versione ufficiale?»
Jack: «Questo è un giochetto che fai spesso. Ogni tanto salti su a dire:
“Ma io non difendo la versione ufficiale al millimetro”, in modo da
poterti salvare in extremis quando si dimostra senza possibilità di
errore che alcuni aspetti della versione ufficiale sono assolutamente
impossibili. [...]. Difendi la posizione che vuoi. A me basta provare
che quello che dice il governo USA a proposito dell'attentato è falso.
Di provare che quello che dice attivissimo è falso non mi frega nulla, a
meno che attivissimo non voglia difendere alcuni aspetti della versione
ufficiale. In quel caso smentendo attivissimo smentisco anche la
versione ufficiale. Capisci? Non sei il fine, sei il mezzo».
Lo scambio è significativo perché Attivissimo sta dicendo che un aereo è
andato a sbattere contro il Pentagono, che in fondo è la stessa cosa
che dice il governo americano; quel che è disposto a discutere sono le
modalità con cui ciò potrebbe essere avvenuto, ma a quanto pare non è
questo ad interessare Jack: non è minimamente interessato a verificare o
confutare una singola affermazione di natura empirica. Quello che dice
di volere è
“provare che quello che dice il governo USA a proposito dell'attentato è falso”,
qualunque cosa significhi e senza spiegare cosa questo esattamente
comporti. È in effetti impossibile confutare simili ragionamenti, per il
semplice motivo che non affermano e non negano nulla, sono
assolutamente privi di contenuto. Si dice che qualcosa è falso, anzi,
tutto lo è, ma si evita accuratamente di specificare il “cosa”.
Non si tratta di malafede: è che il mondo del cospirazionista è davvero
un incubo in cui non vi è nessun punto fermo, nulla di saldo a cui
aggrapparsi, la cui stessa realtà ontologica è messa continuamente in
discussione (non a caso molti cospirazionisti sono cultori del film
Matrix).
In queste condizioni, è quasi sgarbato chiedergli di mantenere fermo il
punto di una qualsiasi questione, o cosa vogliano dimostrare
esattamente.
Altro esempio: è una tesi cospirazionista che le Torri Gemelle non sono
crollate a causa dell’impatto con gli aerei, ma sono state fatte
crollare nell’ambito di una demolizione controllata. Forse è così (per
amor di discussione)... ma
come
esattamente? Beh, in uno dei cento modi diversi ipotizzati dai
cospirazionisti (con esplosivi convenzionali, con l’utilizzo di un
materiale chiamato
termite in
grado di sciogliere l’acciaio, con mini-esplosivi nucleari, con raggi
provenienti dallo spazio...). Si presentano indizi che potrebbero andare
in direzione di una o dell’altra ipotesi (trascurando, però, ogni
evidenza contraria): la presenza, peraltro non dimostrata, di pozze di
metallo fuso alla base delle macerie potrebbe essere un segno dell’uso
della termite, mentre gli sbuffi di fumo che fuoriescono dalle torri nei
piani sottostanti quelli che stanno crollando rivelerebbero la presenza
di detonazioni.
Il problema è che tutte queste teorie sono in conflitto tra loro, quindi
gli indizi a favore di una teoria confuterebbero non solo la VU, ma anche l’altra teoria concorrente.
Ma il cospirazionista non si preoccupa di fortificare o rendere
coerente la sua ipotesi spiegando l’evidenza contraria, perché in realtà
non ha nessuna vera ipotesi. Egli accetta e usa tutti gli indizi,
perché nella sua visione valgono ciascuno come prova contro la VU, e
questo gli basta. Se abbiamo cento teorie in conflitto tra loro, ma che
contrastano la VU, e se ognuna di queste teorie è supportata da una
singola osservazione, allora abbiamo ben cento osservazioni diverse che
smentiscono la VU. Si potrebbe dire che le ipotesi di complotto sono
come il maiale: non si butta via niente.
Principio di carità e rasoio di Occam
Ciò che si è detto prima a proposito del principio di carità, secondo
cui non è possibile che tutto quanto crediamo sia falso ma dobbiamo
necessariamente nutrire un vasto
corpus
di credenze vere (condizione stessa per poter credere qualcosa), ha un
importantissimo corollario per quanto riguarda la ricerca scientifica,
che è anche noto col nome di
“rasoio di Occam”.
Il principio di carità, cioè, può servire a dare un significato
operativo più preciso alla massima secondo la quale, di due spiegazioni
concorrenti del medesimo fenomeno, bisogna scegliere quella più
semplice: quando dobbiamo spiegare qualcosa che non si adatta al resto
delle nostre credenze, la strada migliore da seguire è fare gli
aggiustamenti minimi che si rendono necessari, piuttosto che
rivoluzionare l’intero nostro sistema concettuale (le rivoluzioni
concettuali, o cambiamenti di paradigma, sono talvolta necessari, ma
solo quando gli aggiustamenti che dobbiamo fare cominciano ad essere in
numero talmente imbarazzante da non essere poi così economici).
Esempio: dopo che due aerei sono andati a sbattere a New York contro le
Torri Gemelle, un terzo aereo a Washington fa perdere le proprie tracce.
Viene visto da decine di testimoni sbattere contro una delle facciate
del Pentagono. Vengono trovati rottami di aereo sul prato antistante. In
seguito viene raccolta la scatola nera, mentre su ciò che rimane dei
passeggeri vengono fatte le analisi del DNA per permettere
l’identificazione.
Tutto insomma concorre verso un’unica spiegazione dei fatti, ma ci
sarebbe un problema: quella breccia sul Pentagono è strana, sembrerebbe
troppo piccola per essere causata da un aereo di quelle dimensioni. Una
persona di buon senso, messa di fronte a questo dilemma, penserebbe:
“Uhmm,
interessante; cerchiamo di capire com’è possibile che un aereo così
grande possa lasciare un buco in apparenza così piccolo, ammesso che lo
sia”.
Ecco invece come pensa il cospirazionista:
“Stupefacente!
Occorre capire quale oggetto abbia colpito il Pentagono, per quale
motivo i testimoni mentano e chi li abbia costretti a farlo, chi abbia
sparpagliato finti rottami di aereo sul prato, dove sia finito l’aereo
scomparso e in che modo siano stati eliminati i suoi passeggeri, e
inoltre chi abbia falsificato i dati della scatola nera e le analisi del
DNA”. Il cospirazionista non è in grado di applicare il rasoio di Occam, perché non ha un
corpus
di credenze che ritiene più centrali e più affidabili di altre, ma per
lui tutto è egualmente sacrificabile. Non solo sospetta di tutto, ma non
crede a niente, in maniera letterale, nel senso che non ha credenze di
sorta.
Ma si potrebbe anche dire, senza reale contraddizione, che invece crede a
qualsiasi cosa. Proprio la totale indifferenza nei confronti della
verità lo rende al tempo stesso sia profondamente scettico (nei
confronti di ciò che spesso è più che ragionevole) sia incredibilmente
ingenuo (nei confronti delle più strampalate affermazioni). È solo in
questo modo che possono trovare giustificazione sillogismi
apparentemente assurdi quali
«C’è
qualcosa che non mi convince nella ricostruzione ufficiale, penso mi
stiano mentendo e non mi fido di nessuno, quindi ho deciso di credere
ciecamente nelle teorie del sedicente professor X, che afferma che gli
aerei erano telecomandati, e di considerarle come verbo. Chiunque tenti
di dimostrare l’inesattezza delle supposizioni del professor X è
sicuramente al soldo della CIA».
Nel caso in cui qualche circostanza davvero dirompente riesca a far cambiare idea al cospirazionista, egli allora afferma:
«Non
importa se la teoria del professor X è sbagliata. Io so che il governo
mente, quindi se gli aerei non erano telecomandati vuol dire che in
realtà erano degli ologrammi, come afferma l’ingegner Y, che gode della
mia totale fiducia».
Il cospirazionista nemico di se stesso
Si capisce quindi come il peggior nemico per la credibilità del
cospirazionista è spesso il cospirazionista stesso: egli infatti non si
accontenta quasi mai di un’ipotesi di complotto, ma immemore della frase
di Lincoln posta in epigrafe a questo articolo, desidera strafare e
vede complotti ovunque.
Così, se anche per caso avesse qualcosa da dire a proposito
dell’omicidio di Kennedy, non viene ascoltato, perché al tempo stesso
afferma che l’Area 51 pullula di alieni. Fra i più noti sostenitori
delle “verità alternative” riguardo l’11 settembre, vi è ad esempio
David Icke, il quale si dice anche convinto dell’esistenza di una specie
aliena di rettili (in grado di nascondersi fra gli umani) che manovra i
destini dell’umanità.
Per restare nel nostro paese, il sito che è il principale punto di
riferimento per i cospirazionisti italiani (Luogocomune.net, gestito da
Massimo Mazzucco) fra le varie cose ospita discussioni sullo sbarco
sulla Luna come messinscena cinematografica, sulla cospirazione che ha
portato all’uccisione di Kennedy, sulle scie chimiche (ultima moda del
cospirazionismo), sugli UFO, sul ruolo della massoneria e delle sette
segrete nella storia degli Stati Uniti (e l’instaurazione del
“Nuovo Ordine Mondiale”),
e sul creazionismo come valida alternativa alla selezione naturale
darwiniana. Cosa ancora più deprecabile, fra i cospirazionisti si
annidano a volte anche sostenitori di teorie meno “innocue” dal punto di
vista ideologico e politico, come il negazionismo e l’antisemitismo.
Se il cospirazionista non è interessato alla verità, a cosa è
interessato? Probabilmente alla “sincerità” che è tutt’altra cosa,
essendo un attributo delle persone e non delle affermazioni. Il che
significa che ciò che interessa nel dire una cosa è soprattutto fornire
una rappresentazione di se stessi come aderenti alla “giusta causa” e
come persone di un certo tipo. L’accettazione di una frase come
“La neve è bianca”,
non dipende quindi dalla sua verità (dalla bianchezza della neve) ma
dalle implicazioni di tale accettazione sul mio modo di concepire me
stesso e sul modo in cui voglio apparire al resto del mondo. Il che è un
altro modo, in fondo, per dire che l’ideologia ha il sopravvento su
qualsiasi considerazione di natura critica e razionale. Ma è anche un
modo elegante per dire che i cospirazionisti raccontano
“stronzate”, nel senso messo magistralmente in luce dal filosofo americano Harry Frankfurt nel suo celebre saggio
On Bullshit, di cui riportiamo alcuni passaggi:
[...] dire bugie non inficia la capacità di dire la verità
quanto invece il raccontare stronzate. A causa di un eccessivo indulgere
a quest’ultima attività, che implica il fare asserzioni senza prestare
attenzione ad alcunché, tranne che a ciò che fa comodo al proprio
discorso, la normale abitudini di badare a come stanno le cose può
attenuarsi o perdersi. Uno che mente e uno che dice la verità giocano in
campi opposti, per così dire, ma allo stesso gioco. [...]. Chi racconta
stronzate ignora completamente tali esigenze, Non rifiuta l’autorità
della verità, come fa il bugiardo, e non si oppone ad essa. Non le
presta attenzione alcuna. A causa di ciò, le stronzate sono un nemico
più pericoloso delle menzogne.
È chiaro che:
Le stronzate sono inevitabili ogni volta che le circostanze
obbligano qualcuno a parlare senza sapere di cosa sta parlando. Pertanto
la produzione di stronzate è stimolata ogniqualvolta gli obblighi o le
opportunità di parlare di un certo argomento eccedono le conoscenze che
il parlante ha dei fatti rilevanti attorno a quell’argomento. Questa
discrepanza è comune nella vita pubblica, in cui le persone sono spesso
spinte – vuoi dalle proprie inclinazioni, vuoi dalle richieste altrui – a
parlare in lungo e in largo di materie delle quali sono, in grado
maggiore o minore, ignoranti.
Ma soprattutto:
La contemporanea proliferazione delle stronzate ha origini
anche più profonde in svariate forme di scetticismo, secondo le quali
noi non abbiamo alcun accesso affidabile a una realtà oggettiva, e
pertanto non possiamo conoscere la vera realtà delle cose. […] Le
conseguenze di questa perdita di fiducia sono state l’abbandono dalla
disciplina richiesta dalla fedeltà all’ideale dell’esattezza e
l’adozione di una disciplina di genere del tutto diverso, imposta dal
perseguimento dell’ideale alternativo della sincerità. […] È come se
[una persona] decidesse che dato che non ha senso cercare di essere
fedeli ai fatti, allora dovrà invece tentare di essere fedele a se
stesso.
Credo ideologico
L’ideale della fedeltà a se stessi, e al proprio credo ideologico, sono a
mio avviso il principale motore della cultura cospirazionista. Può una
persona con certi ideali e con una certa immagine di sé presentarsi al
mondo come un ingenuo che crede a quello che vede scritto nei giornali,
che segue ciecamente il gregge nelle sue opinioni, e che si fa
mansuetamente manipolare la coscienza dai giornalisti asserviti al
potere? Certamente no, anche al costo di dire qualche “stronzata”, o
persino al costo di non dire altro. Mai dare un’arma in mano al nemico:
mai sospettare anche solo per un attimo che il governo americano, che è
all’origine di tutti mali del mondo, possa essere stato la vittima di un
attentato terroristico di matrice islamica, perché ciò significherebbe
schierarsi dalla parte di una grande potenza militare imperialistica, e
contro i deboli e i derelitti del Sud del mondo. Mai credere a una fonte
di informazione “ufficiale”, se non si è soddisfatti dello
status quo,
perché tale fonte non può che essere un riflesso e una propaganda in
favore di chi quello status vuole mantenere, ma sempre schierarsi con
chi fa
“contro-informazione”, a
prescindere da quel che dice. L’importante, infatti, non è quel che
dice, ma quale causa serve, e come ci si sente a difendere questa causa.
I discorsi cospirazionisti contengono innumerevoli esempi di
“aria fritta”
(altro modo in cui è possibile tradurre il colorito termine inglese), e
c’è solo l’imbarazzo della scelta: a chi obietta che non ha molto senso
far sparire un aereo di linea per poi non utilizzarlo come arma e
sostituirlo di nascosto con un missile contro il Pentagono (soprattutto
in considerazione che già sono stati usati due aerei contro le Torri),
il cospirazionista può replicare che non è tenuto a rispondere a queste
domande, e che casomai è l’organizzatore del complotto che è tenuto a
spiegare come e perché ha agito in quel modo. A chi fa precise obiezioni
di natura tecnica, si può rispondere con considerazioni intorno al
“quadro generale” della situazione geopolitica d’inizio ventunesimo
secolo (in altre parole
“Bush è cattivo e tutto quel che puoi dire non può smuovere le mie convinzioni”). Oppure, dopo l’ennesima smentita, si può uscire con una frase come
“ma noi non proponiamo teorie alternative, ci limitiamo a porre questioni sui punti oscuri riguardanti l’11 settembre”,
salvo smentirsi immediatamente dopo con un nuovo volo pindarico di
fantasia e nuove pesantissime accuse nei confronti di ogni persona che
lavora per il governo Usa.
Ancora, dopo aver presentato
“una prova incontrovertibile di complotto” che viene poi ridimensionata, il cospirazionista può dire
“va bene, ma non era quella la prova incontrovertibile di cui parlavo, in realtà era quest’altra”, e così via finché non si ritorna nuovamente alla strategia del
“quadro generale” (cfr. la
diatriba “seven/salamino” su Luogocomune).
La testa nella sabbia
In conclusione, quindi, è giusto sottolineare come il cospirazionismo
non abbia nulla a che vedere con l’atteggiamento del sano scetticismo
scientifico, di cui si parlava all’inizio di questo intervento, il quale
è in fondo l’ispiratore delle grandi innovazioni teoriche e delle
conquiste tecnologiche dell’umanità. Lo scetticismo scientifico infatti è
concepito dalle menti critiche non come una negazione della verità
tout court,
ma anzi come uno strumento che serve a evitare di credere, troppo
facilmente, in cose che potrebbero rivelarsi false, e quindi come uno
strumento che serve all’allargamento della nostra conoscenza.
Il tipo di scetticismo adottato dai cospirazionisti assomiglia più a un
mettere la testa sotto la sabbia, serve a evitare di credere e basta.
Non in vista, cioè, di una teoria migliore che potrebbe essere più
serenamente accettata da tutti (sia dai cospirazionisti che dalla
comunità scientifica). Il cospirazionista è infatti condannato a restare
in minoranza perché questa è la missione che si è scelto. Se una teoria
cospirazionista diventasse
mainstream, il cospirazionista molto probabilmente smetterebbe di sostenerla, e anzi, troverebbe alquanto sospetta la circostanza (
“Che
sta succedendo? Qui gatta ci cova. Se mi hanno dato ragione, è perché
evidentemente vogliono darmi uno zuccherino, in quanto sperano di
distogliere la mia attenzione da quelle sono le loro reali malefatte. Ma
io sono più furbo di loro, non credano di fregarmi”). Non è la
verità che conta, conta solo la propria persona e il proprio sentire. Il
mondo esterno si è dissolto, da tempo, in una cartesiana macchinazione
contro l’essere umano, e l’essere umano si difende, cartesianamente,
ripiegandosi su se stesso in un atto di onanismo mentale perpetuo.