sabato 26 luglio 2008

storia di un ortolano

Estratti da “Il potere dei senza potere”, di Vaclav Havel, tradotti con qualche libertà dall’inglese.


«Il direttore di un negozio di frutta e verdura mette in vetrina, fra le cipolle e le carote, un’insegna con lo slogan “Proletari di tutto il mondo, unitevi!”. Perché lo fa? Cosa cerca di comunicare al mondo? È veramente eccitato dall'idea di un’unione tra i lavoratori di tutto il mondo? Il suo entusiasmo è così grande che sente l’insopprimibile impulso di comunicare pubblicamente i suoi ideali? Si è davvero fermato un momento a pensare come una tale unificazione potrebbe verificarsi e che cosa significherebbe?»

«Penso che si possa tranquillamente presumere che la stragrande maggioranza dei commercianti non pensi mai agli slogan appesi nella loro vetrina, né che li utilizzino per esprimere le loro reali opinioni. Le insegne vengono consegnate al nostro ortolano dall’azienda, insieme alle cipolle e alle carote. Le ha messe tutte in vetrina semplicemente perché è stato fatto in questo modo per anni, perché lo fanno tutti, e perché questo è il modo in cui si deve fare. Se rifiutasse, potrebbe avere dei problemi. Potrebbe essere rimproverato per non aver ottemperato alla decorazione della sua vetrina; qualcuno potrebbe addirittura accusarlo di slealtà. Lo fa perché queste cose devono essere fatte se uno non vuole avere problemi nella vita. Si tratta di una delle migliaia di minuzie che gli garantiscono una vita relativamente tranquilla, "in armonia con la società", come si suol dire».

«L’ortolano ovviamente non mette lo slogan in vetrina perché senta il desiderio di far conoscere al pubblico l'ideale che esprime. Questo, però, non significa che la sua azione non abbia alcun motivo o significato, o che lo slogan non comunichi nulla a nessuno. Lo slogan è veramente un segno e, come tale, esso contiene un messaggio subliminale, ma molto preciso. Verbalmente, potrebbe essere espresso così: "Io, l’ortolano XY, vivo qui e so che cosa devo fare. Mi comporto nella maniera che ci si aspetta da me. Sono affidabile e del tutto irreprensibile. Obbedisco e quindi ho il diritto di essere lasciato in pace". Questo messaggio, ovviamente, ha un destinatario: esso è diretto in primo luogo ai superiori dell’ortolano, e allo stesso tempo è uno scudo che protegge l’ortolano da parte dei potenziali informatori. Il vero significato dello slogan, quindi, è fermamente radicato nell’esistenza dell’ortolano. Riflette i suoi interessi vitali. Ma quali sono questi interessi vitali?»

«Prendiamo nota: se l’ortolano fosse stato incaricato di esporre lo slogan "Ho paura e pertanto obbedisco senza fare domande”, non sarebbe quasi indifferente alla sua semantica, nonostante una tale dichiarazione rifletta la pura verità. L’ortolano sarebbe in imbarazzo e si vergognerebbe a mettere una tale dichiarazione inequivocabile del suo degrado in vetrina, e ovviamente è così perché egli è un essere umano e, quindi, ha un senso della propria dignità. Per superare questa complicazione, la sua espressione di lealtà deve assumere la forma di un segno che, almeno sulla sua superficie testuale, indica un livello di convinzione disinteressato. L’ortolano deve poter dire: "Che cosa c'è di sbagliato con i proletari del mondo che si uniscono?" Così il segno aiuta l’ortolano a nascondere a se stesso i bassi fondamenti della sua obbedienza, e nello stesso tempo il basso fondamento del potere al quale obbedisce. Si nasconde dietro la facciata di qualcosa di elevato. E questo qualcosa è l’ideologia».

«L’ideologia è un modo falso di rapportarsi al mondo. Offre agli esseri umani l'illusione di una identità, una dignità e una moralità, rendendo più facile al contempo separarsene. In quanto imitazione di qualcosa di sovrapersonale e disinteressato, essa permette alle persone di ingannare la propria coscienza e di nascondere la loro vera posizione, e il loro inglorioso modus vivendi, sia al mondo che a loro stessi. Si tratta di un velo dietro il quale gli esseri umani possono nascondere le loro esistenza fallita, la loro banalità, e il loro adattamento allo status quo. Si tratta di un alibi che tutti possono usare, dall’ortolano, che nasconde la paura di perdere il suo posto di lavoro dietro un presunto interesse per l'unificazione dei lavoratori del mondo, al più alto funzionario, il cui interesse per restare al potere può essere avvolto in frasi circa il servizio alla classe operaia. La funzione primaria dell’ideologia, quindi, è quello di fornire alle persone, sia come vittime che come pilastri del sistema, l'illusione che il sistema è in armonia con l'uomo e con l'ordine dell'universo».

«Il sistema tocca le persone ad ogni passo, ma lo fa con i guanti dell’ideologia. Questo è il motivo per cui la vita nel sistema è talmente permeata a fondo con ipocrisia e bugie: la burocrazia di governo è chiamato governo popolare; la classe operaia è schiava in nome della classe operaia; la completa degradazione dei singoli è presentata come la sua definitiva liberazione; celare le informazioni è chiamato divulgazione; la manipolazione autoritaria è chiamata controllo pubblico del potere, l'arbitrarietà e l’abuso di potere sono chiamate stretta osservazione del codice giuridico; la repressione della cultura è chiamata il suo sviluppo; l'espansione dell’influenza imperialistica è presentata come supporto per gli oppressi, la mancanza di libertà di espressione diventa la più alta forma di libertà; le elezioni-farsa diventano la più alta forma di democrazia; il divieto di pensiero indipendente diventa la più scientifica delle visioni del mondo; l’occupazione militare diventa fraterna assistenza. Poiché il regime è vincolato alle proprie menzogne, si deve falsificare tutto. Si falsifica il passato, il presente, e il futuro. Si falsificano le statistiche. Si finge di non possedere un onnipotente apparato di polizia capace di tutto. Si finge di rispettare i diritti umani. Si finge di non perseguitare nessuno. Si finge di non temere niente. Si finge di non fingere».

«Perché il nostro ortolano ha dovuto addirittura mettere in vetrina la sua professione di fedeltà? Non lo aveva già fatto sufficientemente in vari modi? Alle riunioni sindacali, dopo tutto, ha sempre votato come dovrebbe. Ha sempre votato alle elezioni come ogni buon cittadino. Perché, dopo tutto questo, deve ancora dichiarare pubblicamente la sua fedeltà? In fondo le persone che oltrepassano a piedi la sua vetrina di certo non si soffermano a leggere che, nel parere dell’ortolano, i lavoratori del mondo dovrebbero unirsi. Il fatto è che non leggono affatto lo slogan, e si può persino assumere non lo vedono neanche. Se si chiedesse a una donna che si è fermata davanti al suo negozio ciò che ha visto in vetrina, potrebbe certamente dire se c’erano o non c’erano pomodori oggi, ma è altamente improbabile che abbia notato la presenza dello slogan, per non parlare di ciò che vi era scritto».

«Sembra un’assurdità richiedere all’ortolano di dichiarare pubblicamente la sua fedeltà. Ma ha senso comunque. Le persone ignorano il suo slogan, ma lo fanno perché tali slogan si trovano anche in altre vetrine, su lampioni, bacheche, in finestre d’appartamento e sugli edifici: in effetti sono ovunque. Naturalmente, mentre si ignorano i dettagli, le persone sono molto consapevoli di questo panorama nel suo complesso. E che cos'altro è lo slogan dell’ortolano se non un piccolo componente di questo enorme sfondo alla vita quotidiana?»

«L’ortolano ha dovuto mettere lo slogan nella sua vetrina, quindi, non nella speranza che qualcuno possa leggerlo ed esserne persuaso, ma per contribuire, insieme con migliaia di altri slogan, al panorama che tutti conoscono bene. Questo panorama, naturalmente, ha un significato subliminale ulteriore: quello di ricordare alle persone dove vivono e che cosa ci si aspetta da loro. Dice loro ciò che tutti gli altri stanno facendo, e indica ciò che devono fare, se non vogliono essere esclusi, isolati, allontanati dalla società, rompere le regole del gioco col rischio della perdita della pace, tranquillità e sicurezza».

«Ora immaginiamo che un giorno qualcosa nel nostro ortolano scatti e che la smetta di esporre il suo slogan solo perché gli fa comodo. La smette di votare a delle elezioni che riconosce come una farsa. Comincia a dire ciò che pensa veramente alle riunioni politiche. E trova anche la forza dentro di sé per esprimere solidarietà a coloro che la sua coscienza gli comanda di sostenere. In questa rivolta l’ortolano smette di vivere all'interno della menzogna. Egli respinge il rituale e spezza le regole del gioco. Egli scopre nuovamente la sua identità e dignità soppresse. Dà alla sua libertà un concreto significato. La sua rivolta è un tentativo di vivere nella verità».

«La resa dei conti non tarderà ad arrivare. Sarà esonerato dal suo posto come direttore del negozio e trasferito al deposito. La sua retribuzione sarà ridotta. Le sue speranze per una vacanza in Bulgaria evaporeranno. L'accesso all'istruzione superiore per i suoi figli sarà minacciato. I suoi superiori lo molesteranno in continuazione e i suoi compagni di lavoro si faranno domande sul suo conto. La maggior parte di coloro che applicano tali sanzioni, tuttavia, non lo farà spinto da qualche interiore convinzione, ma semplicemente sotto la pressione di certe condizioni: le stesse condizioni che una volta spingevano l’ortolano ad esporre gli slogan ufficiali. Essi perseguiteranno l’ortolano perché è quello che ci aspetta da loro, per dimostrare la loro lealtà, o semplicemente come parte del panorama generale, al quale appartiene la consapevolezza che questo è il modo in cui situazioni di questo tipo sono trattate, che questo, di fatto, è come le cose sono sempre state fatte, soprattutto se non vogliono diventare sospetti a loro volta».

«Così la struttura del potere, attraverso il comportamento di coloro che effettuano le sanzioni, quelle anonime componenti del sistema, espelle da sé l’ortolano. Sarà lo stesso sistema a punirlo per la sua ribellione, attraverso la sua presenza alienante nelle altre persone. Ed è obbligato a farlo, in modo automatico, per auto-difesa. L’ortolano non ha commesso una semplice, individuale infrazione, isolata nella sua unicità, ma qualcosa di incomparabilmente più grave. Ha infranto le regole del gioco, ha interrotto il gioco in quanto tale. Lo ha esposto come un semplice gioco. Egli ha frantumato il mondo delle apparenze, il pilastro fondamentale del sistema. Egli ha sconvolto la struttura di potere lacerando ciò che lo tiene insieme. Egli ha detto che il re è nudo. E poiché il re in effetti è nudo, qualcosa di estremamente pericoloso è accaduto: con la sua azione, l’ortolano ha affrontato il mondo. Egli ha permesso a tutti di scrutare dietro le quinte. Egli ha dimostrato a tutti che è possibile vivere nella verità. Infatti vivere all'interno della menzogna può fungere da pilastro del sistema solo se la menzogna è universale. Il principio deve permeare e abbracciare tutto».

Siccome sono “uno stronzo al quadrato”, dedico questo post a Giulietto Chiesa.

martedì 8 luglio 2008

Peirce e lo struzzo

In un breve saggio del 1877, dal titolo Il fissarsi della credenza, il filosofo americano Charles Sanders Peirce affronta la questione di come gli esseri umani cercano di uscire dallo stato di dubbio e incertezza nel quale possono venire a trovarsi.
Quando desideriamo formulare un giudizio, dice Peirce, è perché vi è una differenza fra la sensazione di credere e quella di dubitare: il dubbio è uno stato inquieto e insoddisfatto, paragonabile all’irritazione di un nervo, dal quale cerchiamo di uscire; lo stato della credenza è invece uno stato calmo e soddisfacente, al quale non desideriamo porre fine. Vi è anche una differenza pratica: le credenze ci stimolano all’azione, costituiscono un abito che determinerà il nostro comportamento quando si presenterà l’occasione adatta, mentre il dubbio ha, semmai, un effetto paralizzante. L’unica azione che ci spinge a compiere è appunto quella di tentare di trovare una risposta. La lotta per ottenere uno stato di credenza si chiama Ricerca, e il solo obiettivo della ricerca è, appunto, il formarsi di un’opinione. Con queste semplicissime osservazioni Peirce ha già spazzato via una buona parte delle teorie sugli obiettivi della ricerca, sia filosofica che storica o scientifica: ci ricorda infatti che il dubbio, da cui prende avvio la ricerca, deve essere vivo e concreto, e che non ha senso formulare problemi su questioni intorno alle quali, nel proprio intimo, non nutriamo dubbi affatto. La ricerca non è fine a se stessa, o altrimenti detto il senso del viaggio sta nell’arrivare a destinazione, non nel viaggio stesso.
Stabilito questo ci sono però, avverte Peirce, diversi metodi di fissazione delle proprie credenze: egli ne individua quattro.

1) Il primo metodo è quello della tenacia. Esso consiste nell’aggrapparsi a un’opinione qualsiasi e attenersi semplicemente a quella, evitando come la peste le esperienze o gli argomenti addotti da altri in contrario.
Questo metodo è effettivamente seguito da molti, qualche volta da tutti: potrebbe capitarci, ad esempio, di non voler leggere un libro che parli a favore di un’opinione che ci ripugna (come un saggio che neghi la realtà storica dell’Olocausto) per paura che il libro ci faccia venire dei dubbi che al momento non abbiamo, e ci faccia così uscire dal nostro placido stato di accettazione dell’opinione diffusa. È anche un metodo molto seguito per la soluzione delle questioni attinenti alla religione. Possiamo paragonare questo atteggiamento a quello dello struzzo quando nasconde la testa sotto la sabbia.
Da un certo punto di vista, questo metodo è buono quanto qualsiasi altro, e forse più, visto che persegue il suo scopo con grande economia di mezzi. Se davvero si riuscisse a condurre l’intera vita in tal modo, non ci sarebbe nulla da obiettare, secondo Peirce; purtroppo, però, questo metodo non è davvero praticabile, “l’impulso sociale gli è contro”. È impossibile vivere in una comunità senza che gli uomini si influenzino a vicenda con le proprie opinioni, di modo che attenersi a quel programma risulta estremamente arduo, e il dubbio, volenti o nolenti, tornerà a far capolino nelle nostre menti.

2) Il problema diventa allora non la fissazione delle credenze di un singolo individuo, ma dell’intera comunità: il secondo metodo per la fissazione delle credenze è quindi quello dell’autorità. Semplicemente, si delega a un organo competente il problema di stabilire la giusta opinione per tutti, e ci si attiene a quella. Tale organo deve avere anche il potere di impedire la diffusione e l’accettazione di idee contrarie esercitando, se occorre, la violenza, altrimenti non potrebbe essere realmente efficace.
Anche questo metodo, inutile dirlo, ha illustrissimi precedenti, ed è quello tuttora seguito dalla Chiesa cattolica (non si tratta di una battuta anti-clericale, ma di una pura constatazione). Ma anche le comunità di scienziati o di storici tentano talvolta di assumersi questa responsabilità, dicendo a tutti quel che si deve pensare su un dato argomento, e cercando di impedire la diffusione di teorie alternative (vedi riscaldamento globale). In alcuni paesi è un reato punito con la prigione negare l’esistenza dei campi di sterminio nazisti (che sono esistiti, ma non perché lo dice la legge).
Ma, sebbene molto più efficiente del primo, nemmeno questo metodo può, alla lunga, essere realmente mantenuto. Una simile istituzione non può riuscire a fissare ogni opinione su ogni argomento possibile, ma deve limitarsi a quelle particolarmente importanti. Ma anche le opinioni di cui ci si occupa, prima o poi, tenderanno a essere influenzate da quelle per le quali si è lasciata piena libertà, perché non si può reprimere la capacità umana di fare 2+2. Certi uomini, accorgendosi che esistono altre culture e altre “autorità”, non potranno fare a meno di accorgersi come le loro idee siano arbitrarie almeno quanto quelle degli altri. E con estremo disappunto, questi uomini precipiteranno nuovamente nello stato di dubbio.

3) Occorre dunque un nuovo metodo: la terza via fra quelle indicate da Peirce consiste nel ragionare su un argomento e infine adottare quell’opinione che si adatta meglio al proprio modo di pensare, alle proprie inclinazioni, ovvero quell’opinione che è in armonia con la ragione. È il metodo dell’a priori, ed è forse quello che è stato maggiormente seguito nella storia della filosofia, particolarmente in metafisica: “Platone, ad esempio, trova in armonia con la ragione che le distanze reciproche fra le sfere celesti siano proporzionali alle diverse lunghezze delle corde che producono accordi armoniosi”. Per un esempio meno esotico: “si consideri la dottrina per cui l’uomo agisce solo egoisticamente, sulla base cioè della considerazione che agire in un modo gli procurerà maggiore piacere che agire in un altro modo; questa dottrina non si basa su alcun fatto al mondo, ma ha avuto una estesa accettazione come la sola teoria ragionevole”.
Questo metodo è decisamente migliore di quelli che l’hanno preceduto, e finché non se ne trova uno migliore si consiglia di seguirlo, essendo espressione dell’istinto che, in ogni caso, costituisce la causa ultima della credenza. Tuttavia il suo fallimento è ancora più evidente: la ricerca diventa qualcosa di simile allo sviluppo del gusto, il gusto è soggetto alle mode, le mode cambiano, ed ecco che è proprio a causa dell’aver seguito troppo questo metodo che troviamo quella grande difformità di opinioni contrarie e contraddicentesi (ognuna in accordo con la ragione e l’intelletto di qualcuno) in politica, in economia, in filosofia (fa eccezione la scienza, per i motivi che vedremo fra breve). In realtà, questo metodo non differisce poi troppo da quello dell’autorità: l’autorità esterna vi è semplicemente sostituita da una “dittatura del senso comune”, che è destinata a crollare non appena ci si accorga di come le cause di certe nostre convinzioni siano in realtà del tutto accidentali (l’essere nato in Italia invece che in Polinesia, vivere nel ventunesimo secolo invece che nel Medioevo).

4) Il quarto, e definitivo, metodo è quello che Peirce chiama metodo scientifico, dove il termine “scientifico” va inteso in un’accezione piuttosto larga, non necessariamente ristretta all’ambito delle scienze naturali. L’ipotesi alla base di tale metodo potrebbe essere così enunciata: vi sono cose “Reali” i cui caratteri sono del tutto indipendenti dalle nostre opinioni su di esse. Tali cose Reali, inoltre, hanno un effetto sulla nostra esistenza, sulla nostra esperienza del mondo. Qualunque, uomo, quindi, avvalendosi della propria esperienza e del proprio ragionamento su di essa, è in grado di arrivare a una conclusione che non sentirà più il bisogno di abbandonare, perché è l’unica Vera.
Come facciamo a sapere che esiste una tale realtà? Non potremmo dubitare anche di questo? La risposta è implicita nel dubbio stesso. Quando dubitiamo siamo combattuti sulla verità di due, o più, ipotesi contrastanti: se fossero entrambe vere, o entrambe false, non avremmo ragione di dubitare e il dubbio non ci lascerebbe in uno stato di inquietudine che desideriamo superare (parafrasando Cartesio, dubito, quindi il mondo è).

Il metodo della tenacia, quello dell’autorità, e quello dell’a priori, sono tutti quanti usati con grande frequenza in ambito complottista.

Tenacia: continuare a dire che un buco è di 5 metri quando invece lo si può misurare e constatare che i metri sono 35, rifiutarsi di leggere le analisi dei debunker, o fare finta di non aver letto le varie smentite, liquidare tutte le testimonianze oculari che parlano di un aereo al Pentagono come “menzogne”, dire che le Torri sono crollate alla velocità di caduta libera ignorando l’evidenza contraria, continuare a ripetere la stessa frase (“the building is about to blow up”) nell’illusione che il suo valore probatorio (estremamente ridotto) si accresca con la ripetizione.

Autorità: fare ricorso a improbabili “esperti” per appoggiare teorie inconsistenti, tentare di dare autorità al proprio discorso semplicemente in virtù del numero di persone che lo sostengono (”la maggioranza degli americani crede che la versione ufficiale è falsa”), fare ricorso a formule matematiche e leggi fisiche solo per il fascino prodotto dal loro nome, e non per la loro applicabilità al caso in questione (“la caduta delle Torri viola il secondo principio della termodinamica”), aggredire verbalmente coloro che non sostengono le ipotesi di complotto, e bannarli non appena accennano una reazione, impedire o tentare di impedire l’accesso a fonti di informazione non “in linea” (esempio)

A priori: ignorare volutamente i “dettagli tecnici” per concentrarsi sul “quadro generale” della situazione geopolitica d’inizio secolo, sostenere che “il limite non è nella loro cattiveria”, ma nella nostra fantasia, pensare che il complotto è reale semplicemente perché lo si ritiene possibile (in virtù della cattiveria attribuita ai governanti o a servizi segreti), o perché piace pensare che lo sia (in virtù delle proprie idee politiche).

Il metodo scientifico, come possiamo constatare, è quasi completamente assente dalle “analisi” dei complottisti. Come abbiamo visto, però, non è detto che questo sia un male assoluto. Tutti i metodi elencati di “fissazione della credenza”, sono ugualmente validi, nella misura in cui sono efficaci. Così, non ho nessun consiglio da dare a chi riesce a mantenere ferme le proprie opinioni grazie al metodo della tenacia, e dovrei anzi complimentarmi con costui. Stessa cosa dicasi per l’autorità e l’a priori. Poiché però non tutte le persone sono uguali, se qualcuno dovesse essere punto da vaghezza per il metodo scientifico, non riuscendo a trovarlo sulle pagine dei complottisti, può rivolgersi altrove. Ad esempio, qui.

sabato 5 luglio 2008

il complottismo e la caccia alle streghe

“Molte persone che incitano l’Inquisizione così veementemente contro gli stregoni, nelle loro città e villaggi, non si rendono bene conto, o non prevedono, che una volta che hanno iniziato a reclamare la tortura, ogni persona torturata deve denunciarne altre ancora. Il processo continuerà, e così alla fine, e inevitabilmente, le denunce raggiungerannno loro e le loro famiglie, poiché non vi sarà termine fino a che ognuno non venga bruciato”.

Questo ammonimento venne scritto nel 1631 da Friedrich von Spee, un gesuita, nella Cautio Criminalis, un trattato giuridico che denunciava gli abusi nei procedimenti legali contro le cosiddette “streghe”.


“Nella terminologia moderna, per estensione, con ‘caccia alle streghe’ si indica l'atto di ricercare e perseguire determinate categorie di persone o un qualsiasi soggetto percepito come nemico, in particolare quando questa ricerca viene condotta usando misure estreme e con scarsa considerazione della reale colpevolezza o innocenza”.

Questa sarebbe la definizione di Wikipedia. Così com’è essa è però incompleta. Una delle caratteristiche delle cacce alle streghe di ogni tempo, infatti, e che le distinguono dalle semplici persecuzioni verso determinate categorie ben riconoscibili (es. gli ebrei), è il meccanismo descritto sopra da von Spee.
L’oggetto della caccia alle streghe è sempre una categoria di persone che agisce nell’ombra, e si confonde tra le gente normale senza “dare nell’occhio”. Questo vale per gli stregoni del XVII secolo, come per i comunisti all’epoca del maccartismo, o come per i pedofili del nostro tempo. E siccome le streghe sono molto brave a “infiltrarsi”, anche il cittadino più insospettabile, magari quel maestro d’asilo così buono e premuroso con nostro figlio, potrebbe nascondere in cantina un kit per omicidi rituali satanici. E persino coloro che hanno lanciato l’allarme per primi non si possono ritenere al di sopra di ogni sospetto. La loro non potrebbe essere un’opera di depistaggio, per sviare da sé i sospetti? Inevitabilmente, una volta che il panico si è diffuso, il sospetto si allarga fino a coinvolgere l’intera comunità, e ognuno comincia a guardare i propri vicini, o persino amici e alleati di un tempo, con occhi diversi.
Certe dinamiche paiono attivarsi particolarmente in periodi storici caratterizzati da una certa instabilità sociale e politica. Ne è un esempio paradigmatico il “Terrore” della Rivoluzione Francese. In questi casi succede infatti che il gruppo che è riuscito ad emergere vittorioso dalla crisi si senta minacciato al minimo segno di scricchiolio o dissidio interno, e per questo si crede investito del potere di schiacciare ogni forma di eterodossia, in quanto opera di agenti della “contro-rivoluzione”. Ma coloro che hanno fatto saltare troppe teste, come Robespierre, finiscono sovente con il perdere anche la propria.
Ma non sempre è necessario attendere che il gruppo in questione abbia preso in mano le redini del potere, perché decida di suicidarsi in questo modo. Anzi, spesso i cambiamenti rivoluzionari vengono evitati proprio così: coloro che potrebbero o vorrebbero cambiare qualcosa, invece di fare fronte comune, si spaccano ed entrano in aspri conflitti fra loro, accusandosi a vicenda di essere in realtà “agenti del nemico”.

È fose questo il destino della “contro-informazione” in Italia? La “casta” dei giornalisti italiani è sotto accusa e, per molti e giustificati motivi, gode al momento di una fiducia minima da parte dei cittadini. Per questo accanto alla informazione “ufficiale”, paludata, “voce del regime”, dei media tradizionali (Tv e giornali a larga tiratura) è nato anche un movimento di “informazione-fai-da-te” che si muove principalmente su Internet, concepita come più libera e democratica, e soprattutto meno influenzabile dalla politica. È possibile, attraverso questi canali, trovare notizie che non vengono trattate altrove, se non in modo caricaturale e a scopo di derisione. Le inconsistenze della versione ufficiale sull’11 settembre, le scie chimiche e i progetti di avvelenamento del pianeta, il ladrocinio del signoraggio, le truffe chimico-sanitarie e via dicendo.
Ma la libera informazione, proprio in quanto libera e aperta a chiunque, è anche facilmente “infiltrabile” da chi la verità la vuole nascondere o offuscare, invece che divulgarla. Quindi, come possiamo sapere di chi fidarci? In un mondo perfetto, basterebbe il controllo esercitato per mezzo dell’esercizio della ragione, e un attento spirito critico. Ma siccome la perfezione non è di questo mondo, succede che la valutazione di una fonte potenzialmente preziosa venga spesso inquinata da una serie di considerazioni “umane, troppo umane”.
Uno di questi è l’atteggiamento da “prime donne” di molti paladini della contro-informazione. Giulietto Chiesa ne è un esempio perfetto: rivendica il merito di aver spezzato per primo “il muro di silenzio” intorno all’11 settembre, e per legittimare tale primato deve attaccare Blondet (che in Italia aveva contestato le versione ufficiale molto prima di lui).

“Si tratta di un caso tipico di infiltrato, che svolge il suo ruolo di provocatore appunto infilandosi in cause altrui, con il proposito nemmeno troppo recondito di inquinarle. [...] Credo che sia giunto il momento di bandire Blondet da tutte le discussioni tra persone civili che si occupano dell'11 settembre. Vada con i suoi pari. Non è un compagno di strada, non abbiamo nulla a che fare con lui. E' un avversario di tutte le nostre idee e motivazioni”.

Il quale Blondet deve replicare altrettanto duramente:


“Da leninista, [Chiesa] sa che la verità non c'è, che c'è solo la tattica: identificare ‘le forze materiali più potenti’, come insegnò il compagno Ulianov, e mettersi dalla loro parte, farsi portare da loro, parassitare il loro potere”.

Gli scontri fra queste “prime donne” sono frequenti: qui ricordo anche la recente polemica che vede confrontarsi Paolo Barnard e Milena Gabanelli.
Un altro preoccupante fattore è l’intolleranza nei confronti di chi non recepisce i tuoi allarmi, magari solo perché è interessato ad altro. Grillo non parla mai di signoraggio, anzi pare che sul suo blog censuri i messaggi che ne parlano. Significa che è un ingranaggio del sistema, un servo del potere. Grillo ha anche dichiarato, una volta, che non crede alla cospirazione delle scie chimiche: orrore! Ma allora è uno di loro! Per questi motivi, quindi, tutto quel che dice Grillo non viene più reputato come degno di fiducia, e le sue denunce rischiano di rimanere inascoltate.
Ma l’analogia con le medioevali caccie alle streghe diventa preoccupante quando vediamo il crescente senso di paranoia, e da cittadella assediata, che sta colpendo, da qualche tempo in qua, alcune frange del cospirazionismo.
Perché vi sia un caccia alle streghe, occorre prima di tutto identificare un nemico, una strega da cacciare. Chi sono i nemici dei cospirazionisti? Sono i debunker, ovvero persone che affermano di cercare la verità, come i cospirazionisti, ma in realtà sembrano solo interessati a coprire le menzogne dei governi. Quindi quando qualcuno entra in un sito cospirazionista dicendo di non essere troppo convinto delle tesi del complotto, e facendo troppe domande, la prima cosa che si fa, in genere, è un esame che stabilisca la sua dose di “buona” o “cattiva fede”. In altre parole, se non viene convinto subito della validità della tesi cospirazionista, è un individuo in malafede, un debunker in incognito venuto solo a rompere le scatole, una scoria possibilmente da eliminare, prima che faccia troppi danni e riesca a corrompere qualcuno.
Ma il nemico è furbo, e potrebbe anche non manifestarsi apertamente come tale. Potrebbe fingersi tuo alleato per poi colpirti alle spalle. Potrebbe persino ricorrere a subdole tattiche di “screditamento” delle teorie complottiste, basate sullo sparare bufale sempre più grosse, in modo che bufale e teorie serie vengano confuse insieme e ne esca svalutato l’intero movimento complottista.
A questo livello di paranoia, il cospirazionismo in Italia ci è arrivato recentemente, come dimostrano i link qui di seguito:

http://allarmescie.blogspot.com/

L’anonimo autore del blog (che dice di essere un utente di Luogocomune), ha accusato una ragazza, tale Mercy, che aveva attaccato Perle Complottiste e Crono911 su Youtube, di essere in realtà in combutta con loro. Pure Straker e Zret, gli sciachimisti, farebbero parte del gioco. Un altro commentatore in seguito dimostra che Stuarthwyman (il nostro shm) è anche lui un debunker che fa finta di essere un complottista.
L’autore del blog conclude il suo post così:

“Ma state attenti perchè anche su Luogocomune ci sono alcuni infiltrati e nemmeno io li conosco tutti per questo non dico chi sono ma sono iscritto a Luogocomune e contatterò io quelli che so di potermi fidare”.

Paura, eh? La cosa strana è che sia Mercy che Straker e Zret, gli accusati, invece di limitarsi a rigettare le accuse, accolgono in parte i suggerimenti dell’anonimo blogger, e partono a loro volta con il loro giro di denunce (ricordate la citazione di von Spee, all’inizio dell’articolo?). Anche Mercy quindi attacca Stuarthwyman, Zret e Straker, ma ci mette pure Luogocomune, e accusa il webmaster di essere in combutta con i circoli esoterici californiani (il fatto di abitare in California è considerata una pesante prova a carico).

http://perlecomplottiste.blogspot.com/2008/04/risposta.html

(il link non è più attivo, ma tutta la vicenda è ricostruita sul sito di Perle Complottiste)

Zret apre un nuovo blog (che sia riconducibile a lui è stato dimostrato dal debunker axlman):

http://complottisti.blogspot.com/


con una vera e propria lista di proscrizione (“la rete degli occultatori”), che oltre ai debunker più noti comprende nomi altisonanti quali Umberto Eco, Piero Angela, e Beppe Grillo, e giornalisti famosi come Michele Santoro, Fabio Fazio, Milena Gabanelli, Vittorio Zucconi ecc., e in questa lista c’è pure Stuarthwyman (al quale va invece reso il merito di non essere caduto nella trappola delle accuse incrociate). Infine avverte: “Il presente elenco è suscettibile di continui aggiornamenti”, quindi nessuno si senta al sicuro. Quanto a Luogocomune, il fatto che in realtà Mazzucco nascondesse nei suoi video di presentazione scie chimiche subliminali era stato smascherato da tempo.

Insomma, c’è aria di caccia alle streghe, e il pericolo è che la sfiducia finisca per investire tutti quanti, il che rischia di affossare davvero il movimento della controinformazione. Questo perché, a quanto pare, si è persa la capacità di leggere un testo semplicemente per il suo contenuto, per quello che dice, ma si va in cerca di oscuri significati reconditi e finalità nascoste. Se qualcuno dice che la Terra è rotonda, non ci si chiede se la Terra è davvero rotonda, ma ci si chiede perché venga asserito.
La regola aurea di Luogocomune è: “si criticano le idee, non le persone”. Io aggiungerei la seguente postilla: “si criticano le idee espresse in un post, non quelle che vengono arbitrariamente attribuite agli autori di un post”. Altrimenti i complottisti rischiano di svanire, ma non per colpa delle streghe. Per colpa dell’Inquisizione.

[Aggiornamento: il nome di Stuarthwyman negli ultimi giorni sembra essere stato riabilitato. Ma lo sbaglio, naturalmente, è dovuto alla perfidia delle streghe, non ai metodi approssimativi dell’Inquisizione]


originariamente pubblicato su Luogocomune.net

critica della ragione cospirazionista

Possiamo ingannare tutti, una volta sola,
oppure ingannare uno solo ogni volta,
ma non possiamo ingannare tutti ogni volta
– Abramo Lincoln


Questo articolo non intende portare nuovi dati o argomenti a favore o contro la visione comunemente accettata riguardo gli attentati terroristici dell’11 settembre. L’autore non è un esperto di aeronautica, di esplosivi, di ingegneria strutturale, di termodinamica, o chissà che altro: la sua formazione è piuttosto di tipo filosofico. Lo scopo di questo intervento, quindi, è analizzare e criticare da un punto di vista epistemologico i metodi di ricerca e la strategia culturale che stanno dietro gli argomenti e le tesi dei cospirazionisti.

Al di là del ragionevole dubbio

Chiunque abbia studiato anche un poco di filosofia della scienza sa che c’è una cosa che bisogna riconoscere anche al cospirazionista più sfegatato e fantasioso, una cosa riguardo la quale non si può dire che abbia torto: niente è mai provato in maniera definitiva, e di tutto è possibile dubitare, anche di quello che oggi ci appare più certo ed evidente. Potrebbe sembrare, quindi, che il cospirazionista, nel mettere continuamente in dubbio i risultati delle “indagini ufficiali” su qualsivoglia argomento, non faccia altro che tradurre nella propria pratica di vita e di ricerca quello che è uno dei risultati maggiormente acquisiti dell’epistemologia dell’ultimo secolo, ovvero la lezione dello scetticismo, e la natura sfuggente e inattingibile della verità ultima.

Detto questo, però, occorre precisare meglio la portata e i limiti delle precedenti affermazioni. Innanzitutto potrebbe essere utile una distinzione fra certezza epistemica e certezza morale: infatti è vero che non abbiamo certezze epistemiche, ma abbiamo alcune certezze morali. La distinzione, in parole povere, è fra quando mi diverto a mettere in dubbio qualcosa solo per un puro passatempo intellettuale e quella mancanza di certezza che rende davvero difficoltoso passare all’azione.

Per esempio: niente potrà mai darmi la certezza assoluta che il fungo che sto per mangiare non è velenoso, neppure le analisi chimiche più approfondite. Eppure tutti noi mettiamo periodicamente a repentaglio le nostre stesse vite mettendoci a mangiare funghi quando ne abbiamo voglia, il che significa avere la certezza morale che quel fungo è mangereccio. Solo un filosofo potrebbe dubitare della realtà del mondo esterno, o delle altre menti, solo una persona incredibilmente tenace potrebbe continuare a credere, oggi, che il Sole giri intorno alla Terra, solo un pazzo può pensare che due più due non faccia effettivamente quattro, e solo un cospirazionista può credere che lo sbarco sulla Luna fosse una messinscena cinematografica.

Siamo quindi già in grado di indicare un primo difetto del modo di pensare cospirazionista, ovvero la mancata distinzione tra la mancanza di certezza morale e la mancanza di certezza epistemica, quella distinzione che è anche adombrata nel principio giuridico della presunzione d’innocenza, nella formula “ognuno è innocente finché non sia provata la sua colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio”. Non ogni dubbio possibile e immaginabile: ogni dubbio ragionevole.

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(Il seguito di questo articolo è pubblicato qui)

abduzione e falsificazione

Prendo spunto da un articolo di Massimo Mazzucco (“La verità secondo i grandi della storia”), per criticarne alcuni assunti e fare qualche osservazione intorno al metodo scientifico. Nell’articolo di Mazzucco vengono contrapposti due diversi “metodi” di ragionamento: quello deduttivo e quello induttivo, al fine di mostrare la superiorità del metodo induttivo su quello deduttivo, quale procedimento per fare nuove scoperte.

Si tratta, in realtà e come intendo mostrare, di una falsa alternativa. Il pensiero deduttivo in effetti può solo enucleare ciò che già è contenuto nelle premesse, ovvero non porta a fare nuove scoperte. Ma neanche attraverso l’induzione pura e semplice si può giungere da nessuna parte, se non si è in grado di formulare e testare una teoria che unifichi le osservazioni fatte (teoria che può essere giustificata, a posteriori, tramite un ragionamento induttivo, ma non potrà mai esserne una conseguenza).

Oltre a induzione e deduzione, c’è anche una terza via, ovvero l’abduzione, che non è il rapimento da parte degli UFO, ma è il ragionamento ipotetico-deduttivo proprio del metodo scientifico (e di Sherlock Holmes). Aristotele la definisce come un particolare tipo di sillogismo, dove la premessa maggiore è evidente, ma quella minore non è evidente, pur essendo più credibile della conclusione. Ma lo studioso che ha maggiormente sviluppato il concetto è Charles Sander Peirce (1839-1914), padre del pragmatismo. L’abduzione o retroduzione (così Peirce traduce il termine aristotelico “apagoghé”) consiste nel formulare una ipotesi causale partendo da un effetto dato: se c’è fumo (effetto) ci deve essere stato l’arrosto (causa). Ma la validità del ragionamento abduttivo dipende dall’ipotesi, da appurare per via sperimentale, che l’arrosto (e solo l'arrosto) generi sempre il fumo. Nelle parole di Peirce:

“Formulare una ipotesi o sostenerla, sia come semplice interrogazione sia come proposizione in qualche modo degna di fiducia, è un processo di inferenza che io propongo di chiamare abduzione (o retroduzione) ... Molto prima che io considerassi l’abduzione come inferenza, i logici riconobbero che l’operazione di adottare una ipotesi come spiegazione – proprio ciò che è l’abduzione – era soggetta a certe condizioni. L’ipotesi, cioè, non può essere ammessa almeno se non si suppone che essa renda ragione dei fatti o di alcuni di essi. La forma di inferenza , perciò, è: Viene osservato il fatto sorprendente C. Ma se A fosse vero C sarebbe naturale. Perciò, c’è ragione di pensare, che A sia vero.”


Riassumendo il tutto, prima occorre formulare un’ipotesi, e in questo stadio può venire in aiuto anche l’ispirazione divina, per quel che ci importa. In secondo luogo si traggono le conseguenze di quell’ipotesi, e in questo può venire in aiuto il ragionamento deduttivo. Se l’osservazione è compatibile con le deduzioni tratte a partire dall’ipotesi, allora la nostra teoria ha qualche possibilità.

C’è poi la questione di quanto le osservazioni fatte concorrano a confermare l’ipotesi, e in queste ci serve l’induzione. Se ad esempio io ipotizzo che in una scatola con 100 palline ci siano solo palline nere (e ne deduco che le palline estratte dalla scatola saranno nere), non basta estrarne due nere per essere ragionevolmente certi dell’ipotesi. Dopo averne estratte 50, la mia ipotesi ha già un grado di conferma abbastanza elevato (matematicamente calcolabile tramite il teorema di Bayes), anche se la sicurezza assoluta ce l’avrò solo dopo averne estratte 100.

Ma come si capisce dall’esempio, è molto più facile falsificare definitivamente un’ipotesi (basta estrarre una pallina bianca) che darne una conferma definitiva. Trovare conferme parziali, invece, è fin troppo facile, e questo è il maggior limite dell’induzione. Per un noto paradosso della conferma (paradosso di Hempel), qualsiasi cavallo bianco costituisce una valida conferma all’ipotesi secondo cui tutti i corvi sono neri (in base all’equivalenza logica di “ogni C è N” con “ogni non-N è non-C”). Potremmo anche trovare miriadi di conferme all’ipotesi secondo la quale tutti i corvi sono neri, standocene tranquillamente seduti in casa e osservando gli oggetti del nostro salotto.

Si fa quindi buona scienza quando, usando il ragionamento ipotetico-deduttivo, si va in cerca di quelle osservazioni che renderebbero falsa la nostra teoria (le smentite, non le conferme).

Supponiamo di giocare al seguente gioco: io vi dico una sequenza di tre numeri, la cui successione segue una certa regola, ad esempio “2-4-8”. A voi tocca indovinare quale regola sta dietro la successione, e per fare questo potete dirmi altre triplette di numeri che secondo voi seguono la stessa regola, ad esempio “3-6-12”, o “5-10-20”, e io vi dico se le vostre triplette sono effettivamente corrette oppure no. Una volta che siete abbastanza sicuri, potete dire qual è questa misteriosa regola.

Questo gioco lo potete fare anche contro un computer, andando al sito linkato qui sotto, che consiglio di consultare prima di procedere con la lettura:

confirmation bias

E’ stato appunto osservato che la maggior parte delle persone tende a cercare solo conferme alla prima ipotesi di partenza (ad esempio “ogni numero dev’essere il doppio del precedente”) e arriva quindi a conclusioni senza provare a falsificare l’ipotesi (ad esempio dicendo una tripletta di numeri che NON segue la regola che ha in mente). Nell’esempio fatto, la regola poteva essere semplicemente “ogni numero dev’essere maggiore del precedente”, ma nessuno ci arriverebbe mai, continuando a cercare conferme alla sua ipotesi originaria del raddoppio. Questo è il “confirmation bias”, da cui tutti siamo più o meno affetti, ma alcuni, a quanto pare più di altri. Ad esempio Mazzucco, nel momento in cui scrive:

“Ci sono gli sbuffi laterali, gli edifici cadono molto in fretta, il calore non poteva indebolire le strutture, i testimoni parlano di esplosioni, ecc... Tutto questo mi porta a concludere che sia stata una demolizione controllata”.


A parte l’affermazione sul calore (che è semplicemente falsa), in queste parole Mazzucco mostra di soffrire di un bias di conferma, in quanto gli elementi da lui menzionati sono compatibili con una demolizione controllata, ma lo sono anche con un crollo spontaneo: gli sbuffi laterali provengono dall’aria compressa, che l’edificio sia caduto “velocemente” è un’affermazione puramente qualitativa che in quanto tale non significa niente, e che alcuni testimoni abbiano sentito esplosioni (quando? prima, durante, o dopo il crollo? e perché nelle registrazioni in video quelle esplosioni non si sentono?) può avere molteplici spiegazioni. Vengono invece ignorate quelle osservazioni che porterebbero a liquidare l’ipotesi della demolizione controllata: se fossero state piazzate tonnellate di cariche esplosive, qualcuno dovrebbe averle viste, e non si dà il caso; di norma nelle demolizioni controllate gli edifici cadono a partire dai piani più bassi, e anche stavolta non si dà il caso, etc. etc.

In conclusione, consiglio ai miei amici complottisti di non fidarsi troppo del metodo induttivo caldeggiato da Massimo Mazzucco. Infatti, se attraverso la deduzione possiamo scoprire solo quello che già sappiamo, attraverso l’induzione rischiamo di scoprire qualunque cosa abbiamo voglia di scoprire, vera o falsa che sia. Solo con l’abduzione corriamo il rischio di rimanere delusi, il che però è anche garanzia della validità del metodo.

(originariamente pubblicato su Luogocomune.net)