martedì 7 dicembre 2010

l'idolatria dei fatti


"La lettura del giornale è la preghiera dell'uomo moderno", diceva Hegel. È anche la sua superstizione, aggiungo io. Hegel intendeva dire che il processo di secolarizzazione e immanentizzazione della religione era giunto al punto che per entrare in contatto con la divinità, in qualunque modo la si chiami (Spirito Assoluto, ad esempio) era sufficiente essere aggiornati su quel che succede. Lo Spirito si manifesta non attraverso i miracoli e le opere dei santi e dei profeti, ma attraverso la cronaca, o attraverso lo svolgersi degli eventi storici (non è proprio la stessa cosa, ma alcuni non distinguono). Il problema di una religione secolarizzata, però, è che si tratta pur sempre di una religione.

Il giornalismo e la stampa (in qualunque forma, cartacea, televisiva o elettronica), con tutti i meriti che hanno in ordine al formarsi di una "opinione pubblica", di una "coscienza civile" e al controllo del potere politico, sono indubbiamente anche la più ampia fonte di "non-conoscenza" che abbiamo oggi, e una delle più pericolose, proprio per l'illusione di conoscenza che producono, e per la dipendenza che inducono. Fatti e fattoidi scorrono quotidianamente sotto i nostri occhi, drogati di informazione, spesso senza che ci rendiamo conto della loro estrema insignificanza e provvisorietà, non solo su scala geologica e cosmologica, ma proprio in relazione alle nostre vite e ai nostri interessi anche frivoli.

È più divertente seguire una partita di calcio nel suo svolgimento, che conoscere solo il risultato alla fine (o almeno così dicono gli appassionati di sport), ma non credo che l'ansia di conoscere, minuto per minuto, l'andamento di un titolo in borsa, o l'iter di una legge in Parlamento, o le consultazioni per la formazione o il disgregarsi delle alleanze politiche in previsione della fiducia al Governo, abbiano molto a che vedere con lo spirito sportivo. La verità, dovremmo riconoscerlo, è che la maggior parte delle informazioni che riceviamo dai giornali sono assolutamente inutili e che vivremmo molto meglio senza.

Molte delle informazioni che riceviamo da un giornale online, aggiornato in tempo reale, potrebbero essere date in blocco una volta solo al giorno, in modo da farci stare più tranquilli (la preghiera di cui parlava Hegel era quella mattutina, la nostra idolatria moderna ci spinge a pregare in maniera compulsiva in ogni momento della giornata). Molte delle informazioni contenute in un quotidiano potrebbero essere date da un settimanale, e la funzione di un settimanale potrebbe in buona parte essere svolta da un mensile. Alcune delle informazioni contenute in tutti questi giornali potrebbero non essere date mai, naturalmente, perché mai serviranno a qualcuno (se non forse al giornale stesso per giustificare la sua esistenza).

Quando i giornalisti scioperano si comportano un po' come se dovesse crollare il mondo, come se la democrazia fosse destinata a cedere per un solo giorno di black out informativo, ma in fondo, a ben vedere, non è proprio come se scioperassero gli ospedali, e non se ne sente troppo la mancanza. Possiamo fare a meno della dichiarazione del politico di turno che sarà superata dalla dichiarazione di domani, di leggere quello che oggi ci sembra importante ma domani non lo sarà più (per una collezioni di altri giudizi sferzanti sul giornalismo, leggere gli aforismi di Karl Kraus, oppure i libri di Taleb).

Se i giornali sono il regno dell'effimero e del transitorio, il contrario del giornalismo è lo studio di ciò che è eterno, di ciò che si eleva al di sopra delle nostra miserie terrene. Lo studio dell'essere in quanto contrapposto alla mera esistenza. Coloro che svolgono un mestiere il più possibile lontano da quello dei giornalisti sono dunque i matematici, gli studiosi delle forme a priori del tempo e dello spazio, prima di ogni tempo e spazio vissuti per esperienza. Cosa c'è di meno transitorio del teorema di Pitagora? di meno effimero della "notizia" per cui esistono infiniti numeri primi, o che non esiste nessuna tripletta di numeri x e y e z tale per cui x^n + y^n = z^n (per ogni n>2)?

Se queste sono la tesi e l'antitesi, la sintesi hegeliana l'ha forse trovata un matematico e scrittore americano, John Allen Paulos, autore del libro A Mathematician Reads the Newspaper, nel quale descrive appunto il paradossale approccio di un matematico alla lettura dei giornali. Si tratta in fondo di nient'altro che di un'opera divulgativa, che cerca di combattere l'analfabetismo scientifico tanto diffuso un po' ovunque (e che naturalmente va oltre la conoscenza della sola matematica), educando ad una lettura critica e attenta alle strutture profonde ed essenziali che si nascondono dietro una notizia, al razionale che sta sotto al reale. Possiamo pensare dunque a una pars destruens, dove ci si fa beffe del modo in cui certe notizie vengono date e assimilate, e a una pars construens dove si propongono alternative migliori (forse un po' utopiche).

Esempi nostrani: se io leggo, come è capitato recentemente che "un marocchino drogato e senza patente ha investito e ucciso sette ciclisti", mi viene spontaneo chiedermi cosa mai può aggiungere, alla tragica notizia, il fatto che il conducente fosse marocchino (non c'è scritto se era mancino o ambidestro, o per quale squadra tifava, perché questi dati sono giustamente ritenuti insignificanti). C'è quindi un problema, subito, di filtro delle informazioni da comunicare, dei dati selezionati. Se non facciamo attenzione a queste cose rischiamo di entrare in comunicazione non tanto con lo zeitgeist, "lo spirito del tempo", ma solo con l'umore di un redattore un po' fascista; non veniamo realmente informati su ciò che succede.

Ogni volta che viene data una notizia del genere, inoltre, sarebbe bello vedere una tabella che contiene dati statistici aggiornati sull'incidenza della mortalità stradale, in rapporto magari ad altri fenomeni. In questo modo il lettore sarebbe forse meno propenso ad attribuire un'importanza reale, agli eventi, proporzionale alla loro esposizione sui giornali. Per esempio: "Sharm, squalo uccide una turista" (su Repubblica ieri). Il fatto che ogni volta che uno squalo uccide qualcuno la notizia finisce sul giornale, mentre non tutte le morti per caduta dalla bicicletta hanno un tale risalto, potrebbe far sembrare gli squali molto più pericolosi delle biciclette, quando naturalmente non è così, e le probabilità di essere aggrediti da uno squalo, anche tuffandosi nella barriera corallina, sono infime rispetto al condurre un veicolo a due ruote. Così come, del resto, è piuttosto improbabile diventare vittima di un attentato terroristico (molte persone a questo punto ti guardano con espressione molto furba e poi ti dicono "sì, ma se succede proprio a te?", come se significasse qualcosa).

Una certa ignoranza matematica è responsabile del pensiero, attribuito agli abitanti di Brembate di Sopra (paese dove è recentemente scomparsa una ragazza) secondo cui "questo è sempre stato un paese tranquillo, non era mai successo niente del genere". Beh, con 7.746 abitanti, non mi stupisce. Se i fatti cruenti di cronaca avvengono più frequentemente in città molto grandi e popolose che in paesini minuscoli, c'è un motivo strettamente matematico che non ha nulla a che vedere con il fatto che le città sarebbero più pericolose. In generale poi, le cose tendono ad accadere più spesso "altrove" (città o paese che sia), che non nel tuo piccolo angolino di mondo. Il pensiero secondo cui "questo è un posto tranquillo" rivela una visione un po' limitata ed egocentrica.

Molto strana, dal nostro punto di vista, anche l'abitudine dei giornalisti di andare a "saggiare" l'umore di una popolazione raccogliendo un paio di opinioni da parte dei passanti. I sondaggi veri sono cose abbastanza complicate: anche in questo caso la quantità di informazione che viene veicolata da simili passaggi non è solo scarsa, ma forse si tratta addirittura di una quantità negativa. Non è solo inutile, è fuorviante e potenzialmente dannosa, induce a credere di avere una conoscenza che in realtà non abbiamo. Eppure i finti sondaggi sono sempre più spesso un ingrediente fondamentale dei giornali online. È vero che di solito c'è l'avvertenza "questo sondaggio non ha nessun valore scientifico", ma proprio perché c'è questa consapevolezza l'abitudine è ancora più misteriosa. Sarebbe come pubblicare una notizia e poi scrivere in nota che con tutta probabilità si tratta di un'invenzione del redattore.

A proposito di sondaggi, non sarebbe male se i giornalisti oltre alle percentuali ogni tanto dessero il margine d'errore. Oggi ho sentito il direttore del telegiornale de La 7 commentare il consueto sondaggio settimanale sulle intenzioni di voto degli italiani, dai quali risulterebbe che il Partito Democratico ha guadagnato, rispetto alla scorsa settimana, 0,2 punti percentuali. Il problema è che se non vengono dati i margini d'errore, che sono presumibilmente superiori allo 0,2 per cento in più o in meno, qualcuno potrebbe anche scambiarla per una buona notizia per il PD, invece che di uno scarto statisticamente insignificante (come d'altronde è lecito aspettarsi, nello spazio di una sola settimana nella quale non sono accadute cose clamorose). In realtà, il consenso del PD potrebbe benissimo essere sceso.

Chi si occupa di previsioni meteorologiche, invece, dovrebbe spiegare agli ascoltatori che non c'è nulla di strano se le temperature si trovano al di sopra o al di sotto della media stagionale: è quello il significato di "media", c'è una media quando ci sono le deviazioni dalla media, le temperature non possono essere sempre costanti. Occorrerebbe anche deflazionare espressioni come "caldo record" o "freddo record" che hanno evidentemente perso ogni significato. Forse avremo qualche ecologista in meno ma può valerne la pena, se avremo cittadini comunque più consapevoli del significato di espressioni ermetiche come "media" e "record".

In fondo basterebbe poco, e un po' di coraggio. Può anche darsi che i giornali correttamente confezionati, che sappiano trovare il giusto equilibrio tra il "fatto quotidiano" e l'eternità dei numeri, vendano di più. Forse vale la pena provare.

7 commenti:

  1. Bellissimo articolo, complimenti "Thomas Morton". Mentre l'ho letto, in alcuni punti ho pensato a questo TED: http://www.ted.com/talks/lang/eng/david_mccandless_the_beauty_of_data_visualization.html

    Spero possa essere di tuo interesse, nella speranza che non l'abbia già visto.

    Saluti,
    michele.

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  2. Complimenti, Thomas: al solito.
    Sembra paradossale che nella società moderna sia difficilissimo sconfiggere la "innumeracy" (espressione pressoché intraducibile, adoprata proprio dal medesimo John Allen Paulos per il titolo di uno dei suoi primi best seller divulgativi), eppure è proprio così: a partire dai vaniloqui dei politicanti, naturalmente, e dalla loro riprovevole abitudine di sparare numeri a casaccio - come se fossero solo uno dei tanti artifici dialettici, arbitrariamente manipolabili.

    Comunque non posso esimermi dal fare il mio mestiere riguardo all'Ultimo teorema di Fermat che citi: di norma ci si esprime dicendo che non esistono terne non banali di naturali (interi non negativi) che soddisfino quell'equazione, per ogni esponente n naturale maggiore di due. Questo perché la terna {0,0,0}, detta appunto banale, soddisfa l'equazione per qualsiasi valore di n (e in particolare, ovviamente, per ogni n naturale).

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  3. Ti ringrazio Michele. Non ho avuto il tempo di visualizzare il filmato per intero ma so già che mi interessa perché in effetti considero la "data visualization" (di cui ammetto di sapere ancora poco) uno dei modi in cui potrebbe essere salvata la complessità dell'informazione, così facilmente banalizzata da media come la tv di Giacobbo e compagnia (oltre alla più tradizionale monografia argomentata e lunga, alla quale in realtà dovrebbe essere affiancata).

    @Leibniz: eh, eh. Ero quasi sicuro che avrei dimenticato un qualche dettaglio.

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  4. Non ha importanza: anche nella mia puntualizzazione permane un'ambiguità, perché non ho riletto l'ultima frase. La terna banale funziona in realtà per ogni valore non nullo di n (anche reale o complesso, sì, ma è fuori questione), quindi a fortiori per gli interi positivi e a maggior ragione per tutti i valori dell'enunciato.

    Gli è che comunque la giri, sbagli. Se ometti troppo, arriva l'infarinato di troppa analisi (strano vizio italico, nei curricula applicativi anglosassoni il calculus ha rilevanza assai più modesta) a rimbrottarti che devi specificare tutto perché in fondo ci sono anche i complessi e i reali e i quaternioni (e chissenefrega: in matematica discreta e teoria elementare del numero non si considerano per default) e che lo zero può essere escluso dai naturali (in certi contesti sì, perché è questione indecidibile. Ma in teoria del numero è una bestemmia, punto e basta, e lo sanno tutti: chi finge di non saperlo non è in buona fede o orecchiava).

    Se invece sei troppo pignolo, ti possono rinfacciare che hai scritto un mare di banalità arcinote nel settore. Ma qui è facile argomentare che non siamo su una rivista di teoria analitica del numero, e che ad esempio "intero non negativo" è più comprensibile di "naturale" e chiude la porta alle pretestuose ambiguità di cui sopra...

    Gli è che i rompicoglioni da web non muoiono mai. Osservazioni così oziose e pedantesche non si sentono nel real world, neppure in sede d'esame. Il vero rigore è ben altra cosa... questo, al più, è rigor mortis (cerebrale).

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  5. Sono stato un cronista di un giornale locale e ti dico: il giornale va riemipito, e le copie vendute. E per farlo bisogna puntare alle emozoni e non al freddo razocinio. Che ci piaccia o no.

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  6. beh... non bisogna escludere solo la terna banale (0,0,0), ma anche qualunque terna che contiene almeno uno 0!

    0^17 + 3^17 = 3^17

    non è una equazione così incredibile..

    **

    Non sono d'accordo che non bisogna dire se uno che commette un delitto & incidente, eccetera è straniero. Niente impone di pensare che a "parti" della società diverse debba corrispondere lo stesso tipo di criminalità!

    Quindi non è che bisognerebbe omettere la nazionalità (di origine, per lo meno) di colui che commette il crimine o simili. Bisognerebbe invece, come dici tu, corredare il giornale di statistiche (e non di fanta statistiche, come quelle di quell'articolo che diceva che il rischio mortale di andare in bici è maggiore di quello di andare in auto, senza definire cosa diavolo fosse questo "rischio mortale") in modo tale che uno non cambi idea brownianamente dalle notizie che riceve di volta in volta.

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  7. @Federico: il bello delle diofantee, e in generale di tutta la teoria del numero, è proprio la inerente semplicità dei problemi.
    Soluzioni e dimostrazioni, invece, sono tra le più arzigogolate che si conoscano: dalla teoria algebrica del numero, dove i rassicuranti naturali fanno quasi timidamente da comparse in un tripudio di analisi complessa, al filone delle dimostrazioni alla Erdos "con metodi elementari" (roba da far impallidire plotoni di matematici professionisti), fino alla "formula" di Hardy-Ramanujan-Rademacher che è una delle più cervellotiche esistenti, seppure finalizzata al banalissimo conteggio del numero di partizioni di un naturale.

    Riguardo alla tua osservazione, se decontestualizziamo il tutto può certamente essere corretta. Ma in quel settore non tutti gli autori sono d'accordo nell'ammettere tra le "soluzioni banali" terne che prevedano due soluzioni coincidenti se si tratta d'interi non nulli: a rigore, le terne pitagoriche sono [b]ordinate[/b] con relazione d'ordine forte. L'introduzione dell'elemento neutro della somma è già una eccezione.

    In generale, in letteratura si parla quasi sempre di tre naturali distinti e non nulli.

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