lunedì 8 marzo 2010

il principio di (ir)responsabilità


L'economia è “la scienza che studia il comportamento umano in relazione agli obiettivi e alle risorse limitate di cui dispone, le quali hanno usi alternativi" (Lionel Robbins).

Essendo in relazione ai fini che si pongono gli uomini, la scienza economica ha a che fare, in sostanza, con l'etica, con i valori, e non si tratta, come vuole una certa saggezza popolare, di due cose profondamente diverse e divergenti. Ma la stessa nozione di “valore” sarebbe difficile da comprendere, se vivessimo in un mondo dove vi fosse identità fra ciò che vogliamo e ciò che possiamo fare: è la scarsità di mezzi di cui disponiamo (citata nella definizione), ovvero la finitudine della condizione umana, che ci costringe a fare delle scelte, a volte dolorose, fra una linea d’azione e un’altra.

Qui entra in gioco, allora, l'altra faccia della scienza economica, quella più tecnica: una volta individuati i fini, quali sono quelli effettivamente realizzabili, e come realizzarli? come decidere fra piani d'azione alternativi? Gli strumenti tradizionali messi in atto sono quelli del calcolo delle probabilità, della valutazione dei rischi, e dell'analisi in termini di costo e benefici di un eventuale piano d'azione. Strumenti sempre validi, essendo semplicemente gli strumenti della nostra razionalità. Privarcene significherebbe rinunciare alla nostra facoltà di giudizio e decisione per abbandonarci passivamente alle forze dell'irrazionale.

Per questo sono un po' scettico, ogni qual volta mi capita di sentire che occorre aggiornare le nostre procedure di decisione alle nuove sfide globali che ci attendono, in particolare in relazione alle problematiche ambientali. Cominciò tutto, credo, con Hans Jonas, e il suo "principio di responsabilità". Citando Wikipedia, infatti,

Secondo Jonas al nuovo orizzonte inquietante che l'agire umano ha acquistato grazie alla tecnica moderna deve corrispondere una nuova teoria etica capace di inserirsi in questo orizzonte per valutare le possibili conseguenze catastrofiche dell'agire dell'uomo, che nell'epoca dell'alta tecnologia viene a coinvolgere l'intera biosfera.

Perché? Un conto è dire che chi ha molto potere deve stare particolarmente attento alle conseguenze delle sue azioni rispetto a chi invece conta poco, ma un altro conto è dire che esistono due teorie etiche differenti, una che va bene in certe circostanze, e un'altra da vestire nelle grandi occasioni. L'etica è universale.

Questa nuova e necessaria etica deve radicarsi nella chiara visione di ciò che è in gioco come conseguenza del progresso tecnologico e deve utilizzare la paura suscitata dalle sue possibilità “quasi escatologiche” per la formulazione di un “principio euristico” “capace di proibire certi 'esperimenti' di cui è capace la tecnologia”.

Fondare un'etica cosmica basata sul “dovere della paura” rispetto ai possibili esiti catastrofici delle nostre azioni e sul “coraggio della responsabilità” è un passo necessario per affrontare e cercare una soluzione politica ai grandi problemi del presente: sovrappopolazione, esaurimento delle risorse naturali, problema energetico e problema ambientale

Attenzione: qui viene tirata in ballo "la paura". La paura è un sentimento, un'emozione. Legittima e talvolta sacrosanta, ma non è un po' strano che si voglia creare una teoria etica della responsabilità sul fondamento, non della ragione, ma del sentimento della paura? E i grandi problemi del presente, non è che ci appaiono tali solo perché, appunto del presente? È sempre stata caratteristica del pensiero umano concepire la propria epoca come speciale e unica rispetto a tutte le altre, ma ha davvero senso dire che i problemi affrontati dalle generazioni passate erano piccoli e insignificanti in confronto ai nostri?

Hans Jonas è un filosofo di certo rilievo (pare), allievo di Heidegger. Ma il suo principio di responsabilità, che già mi pare piuttosto problematico, si è evoluto poi, nel pensiero ambientalista, in una delle più micidiali arme retoriche mai concepite, il cosiddetto "principio di precauzione", vero e proprio mantra di tutti i fuffari no-global-ambientalisti del mondo.

Non esiste una definizione chiara ed univoca del principio di precauzione (né, del resto, potrebbe esserci), ma in buona sostanza è quella regola d'azione che ci dice che di fronte all'ignoto è sempre meglio retrocedere. Per esempio, nel caso degli OGM, ci dice che non è opportuno legalizzarli e metterli in commercio finché esisterà anche il minimo dubbio che possano essere pericolosi per la salute o per l'ambiente. Ovvero, non dovremmo farlo mai, punto, perché qualunque rassicurazione venga dal fronte delle ricerche sarà sempre giudicata insufficiente.

Ma che il principio di precauzione soffra di una certa ambiguità, e anzi sia fondamentalmente contraddittorio, lo si evince dal fatto che viene evocato spesso e volentieri anche per raccomandare la linea d'azione opposta. Di fronte all'ignoto, fare sempre tutto quanto è necessario per risolvere l'eventuale problema che potrebbe presentarsi, a qualsiasi costo e per quanto l'evento temuto sia ritenuto improbabile. Ed è questo il caso di molti degli indirizzi in materia ambientale adottati anche dai governi, ad esempio per quanto riguarda il riscaldamento globale.

L'elemento comune ai due opposti indirizzi, come si vede, non risiede in nessun nucleo concettuale, ma è costituito dalla pura e semplice "paura" immobilizzante. Immobilizzante perché annulla la nostra capacità razionale di fare delle vere scelte, e quindi di vivere in una genuina dimensione etica. Un fautore del principio di precauzione potrebbe benissimo raccomandarci di costruire dei tetti per le nostre abitazioni a prova di meteorite. La probabilità di un impatto è bassissima, certo, ma la paura di perdere le nostre vite è maggiore. Peccato che in tal modo ci condanneremmo alla certezza di un'esistenza vissuta in balia degli elementi atmosferici, e che senza tetto ci pioverebbe in casa. Peccato, per fare un esempio più concreto, che il denutrimento (attuale) di grandi strati della popolazione mondiale sia considerato insignificante rispetto all'eventualità che i prodotti Ogm possano rivelarsi lievemente allergenici, o chissà che altro.

Il riscaldamento globale è una realtà ormai accertata a livello scientifico, e di probabile origine antropica. Non c'è dubbio che si tratti di un problema, dalle conseguenze potenzialmente molto gravi. Non per questo, però, uno deve sentirsi moralmente obbligato a dare la sua approvazione a qualsiasi delirante piano di salvezza del pianeta proposto dagli ambientalisti e che esca fuori dai trattati internazionali. Non senza valutare la realizzabilità del piano, i suoi costi, l'effettiva capacità di risolvere il problema, e le possibili alternative. Ma è quello che ci viene chiesto in nome del principio di precauzione, anzi in nome della semplice paura.

E non sulla base di campagne d'opinione che, invece di presentare i dati scientifici in maniera obiettiva e neutrale, come pure sarebbe possibile, stuprano la scienza (magari permettendosi pure di alterare i dati) in nome di una correttezza politica che non deve lasciare adito a dubbi, dove i buoni e i cattivi non possano confondersi agli occhi della pubblica opinione ma risultare in due netti e opposti schieramenti. Chi non è d'accordo, chi solleva dubbi, è un egoista che desidera la distruzione del pianeta.

Queste sono le considerazioni che tendono a fare di me un eco-scettico: non mi piacciono i ricatti morali. La paura può essere un'emozione sana, dicevo, ovvero può essere uno stimolo ad affrontare i problemi. Ma la scienza economica non può farne un principio epistemologico, come si sta facendo col principio di precauzione. Non senza rinunciare, in nome della bontà, al nostro status di agenti morali e responsabili. Buoni perché stupidi, buoni perché pavidi e inerti, non è mai un buon affare.

17 commenti:

  1. eccezionale, come sempre.

    però, se posso dire la mia, una definizione chiara ed univoca del principio di precauzione c'è ed è conosciuta ai più come "separazione dei beni".

    e la nostra E' un'epoca speciale ed unica: abbiamo vissuto per primi i tempi del topless & perizoma in località balneari pubbliche :-D

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  2. In realtà esistono definizioni non rigorosissime ma sufficienti a ragionarci di "principio di precauzione".

    Quelle che consentono all'OMS di affermare che il principio suddetto NON si applica al cosiddetto "elettrosmog".

    Da quel che ho capito il principio afferma che è possibile prendere per "provvisoriamente validi" dati scientifici parziali, ma comunque fondati, su una questione che comporta danni gravi, in attesa (e con chiare possibilità di arrivarci in tempi rapidi) di una risposta più chiara.

    Quindi se studi preliminari mostrano che l'ipotesi prione per le BSE non è campata per aria, è possibile arrivare in tempi ragionevoli a provare o smentire l'ipotesi, e ne va della pelle di un sacco di gente, ci si comporta come se quell'ipotesi fosse corretta.

    Se il rischio elettrosmog appare solo guardando i dati in controluce nelle notti di luna piena, non c'e' una pausibilita' causale, si studia la cosa ormai da 30 anni, e il rischio è nel peggiore dei casi di qualche caso l'anno, allora si prende gli studi per il loro valore reale.

    Quel che è micidiale è la definizione farlocca: se esiste solo il sospetto che qualcosa possa far male, allora ci si comporta come se lo facesse davvero. Ma solo se il "qualcosa" non è evidentemente innocuo in quanto "naturale", in quel caso invocare il principio di precauzione è una chiara provocazione degli scienziati asserviti al sistema.

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  3. Da questo principio potrei dedurre che: le vitamine fanno bene, troppe vitamine fanno male, visto che "ho paura" di assumere troppe vitamine è meglio non assumere nessuna vitamina.

    In pratica il pensiero econazista molto in voga adesso (per cui qualcuno si prende anche i premi Nobel per la Pace).

    Cordialità

    Attila

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  4. Da quanto ne so io, il riscaldamento globale non è accettato da tutti gli scienziati. Cioè, tutti sono d'accordo che il pianeta si sta riscaldando, ma si è in disaccordo sulle cause, ovvero se sia colpa dell'uomo o se sia un normale processo naturale con precedenti nel passato. Nell'ultimo caso non sarebbe necessariamente un "problema" come tu lo definisci.

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  5. beh, il post è diplomatico, però ho detto che il riscaldamento è un "potenziale" problema e che è di "probabile" origine antropica,

    @Gianni. non dubito che chi parla di principio di precauzione a volte non faccia che usare la tradizionale ragionevolezza, ma proprio per questo mi chiedo perché usare un termine nuovo e magari spacciarlo addirittura come una sorta di nuovo paradigma.

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  6. Hahahaha no no affatto, anzi.

    Ieri, la mia ragazza mi ha fatto notare che in russo quel termine ha una connotazione positiva. In realtà i linguisti non sono riusciti a trovare il corrispettivo di "smirienie" in nessuna lingua latina. Questo, secondo alcuni autorevoli linguisti, non sarebbe un caso ma sottolineerebbe un aspetto della cultura russa.

    Nella sua tesi, la mia ragazza cercherà di approfondire il tema analizzando i corpus e dimostrando eventualmente che anche le lingue latine hanno un termine con connotazione positiva di "sopportazione, rassegnazione".

    Umiltà è una traduzione davvero impropria: ieri ha scovato acquiescenza... ma è ancora all'inizio. (Ogni consiglio è ben accetto).

    Quando ho letto l'ultimo paragrafo del suo post, non ho potuto fare a meno di pensare a "smirienie".

    :)

    PS. Una pillola russa! :)

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  7. La definizione che ho cercato di dare io è quella adottata dalla CE. Serve a definire una serie di condizioni nelle quali una evidenza scientifica parziale va considerata, per la definizione di norme, temporaneamente come fosse assodata.

    Sono d'accordo che definirlo un "principio" (qualcosa che sta alla base) e non una sorta di eccezione motivata, sia fuorviante.

    Sul riscaldamento globale. Ho provato a studiarlo, e direi che la situazione condivisa da un 97% dei climatologi, con la maggioranza dei rimanenti indecisi, sia che:
    - il riscaldamento che sta succedendo è netto, e abbastanza eccezionale nella storia degli ultimi millenni
    - tra le cause proposte, l'unica che regga il confronto con i dati e' un effetto serra (che si misura anche direttamente) dovuto alle emissioni di CO2 antropica, amplificato da alcuni feedback (in particolare del vapor d'acqua)
    - esiste un 5% di probabilita' che le cause dominanti siano altre, e si sta studiando a riguardo, ma per l'appunto è poco probabile. Questo significa che comunque si puo' ragionevolmente essere dubbiosi.

    La maggior parte delle obiezioni che si vedono in giro sono sostanzialmente bufale, anche se esistono dei dubbi seri, come dicevo. Ne ho trattate diverse nel blog aspoitalia, e una nell' ultimo post sul mio blog.

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  8. Ti ho lasciato un commentino di là. Comunque il mio scetticismo non è tanto sulla realtà e sulle cause del riscaldamento (una volta lo ero su quello, ma credo che l'evidenza oggi sia cresciuta), ma sui rimedi proposti.

    Il fatto è che il protocollo di Kyoto e altre amenità mi sembra vengano spesso criticati con motivi piuttosto validi, perché economicamente insostenibili e insufficienti, mentre resta bassa, ad esempio, la quota di investimenti destinata alla ricerca sulle energie alternative.

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  9. Lavoro, anche se indirettamente, con i cambiamenti climatici da qualche anno. Devo dire che per quanto mi riguarda tutti i dati puntano verso la teoria dell'AGW. Per il momento non sono riuscito a trovare (e l'ho ben cercata) una versione alternativa che stia in piedi.
    Questo lo dico nonostante certe persone e certi modi di fare nella comunita' scientifica pro-AGW mi stiano francamente sulle palle, come il fatto di fare previsioni catastrofiste per essere piu' citati e per essere intervistati dai media generalisti.E succede.
    La CO2 e' stato sempre considerato uno dei principali gas serra e ne stiamo emettendo tanto, sicuro, anche se le stime di quanto stiamo contribuendo sono variegate (almeno al mio livello di risoluzione).

    Ciononostante mi trovo d'accordo con Thomas a riguardo delle politiche precauzioniste. Forse solo perche' sono un anti-progresso e vorrei tornare all'eta' della pietra (anche se poi magari sarei governato da geologi) ma forse piu' semplicemente perche' sono allergico a proclami ed allarmismi.

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  10. Acc, e pensare che io - se proprio dovessi appiccicarmi delle etichette addosso, e quando posso evito di farlo - sarei classificabile come no-global e pure abbastanza ambientalista (inoltre vegano, ma questo e' un altro par di maniche). Detto questo comunque il tuo discorso mi pare perfettamente condivisibile, anche se onestamente se lo avessi sentito proferire da altri ne avrei preso le distanze, poiche' spesso un ragionamento simile viene usato solo per difendere - ideologicamente - lo status quo.

    Un problema di fondo potrebbe essere la scarsa cultura scientifica, che rende gia' difficile per il cittadino medio compiere in modo razionale scelte la cui ricaduta e' solo personale, figurarsi se risulta possibile fare valutazioni sulla propria influenza verso problemi piu' globali e con un orizzonte temporale medio/lungo. E cosi' temo che la maggior parte della gente resti in balia di tanti brutti ceffi, che attizzano focolai di paure di ogni genere, per motivi piu' o meno ideologici. A presto!

    nerd::a

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  11. Almeno il vegetarianesimo lo approvo :-) (vegano per me è troppo).

    Però il discorso sullo status quo non troppo, visto che l'accusa potrebbe molto spesso essere ribaltata. Gira e rigira, cosa fanno di concreto gli attivisti no-global, in favore del terzo mondo? comprano prodotti equi e solidali?

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  12. Beh, con un po' di faziosita' posso dire che quanto meno un no-global si sforza di proporre una idea di mondo diverso possibile (si, mi rendo conto di essere finito in uno slogan sempliciotto e ritrito, ma e' per dovere di sintesi). La critica - che condivido - e' proprio che da questa posizione poi molto spesso si finisce semplicemente per sfruttare tutto l'armamentario di immaginario "alternativo" per costruirsi un look e magari trarne profitto (dall'ottenere voti al vendere libri, magari piu' semplicemente sentirsi cool). Detto questo, credo pero' che molte esperienze, magari anche piccole e locali, possano comunque essere un contributo al non bloccarsi sull'idea che tanto le cose stanno cosi' ed il mondo non lo si puo' cambiare (in meglio!). Per inciso, fra le varie esperienze possibili, non sono un grande fan dell'equo e solidale... Buona notte! nerd::a

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  13. Secondo me, il bello del principio di precauzione nella sua forma "vulgata" e' che non richiede coerenza.

    Prendo ad esempio il caso degli OGM citati nell'articolo.
    Gli integralisti anti-ogm hanno, tra le altre, due obiezioni che suonano cosi':
    1) i semi OGM possono essere manipolati per dare origine a piante sterili, se non trattate appositamente, quindi si rischia di creare un monopolio mondiale delle risorse alimentari a favore delle cattive multinazionali. Precauzione (e buon senso) vorrebbero che si evitasse il rischio, anche solo potenziale.

    2) I pollini volano, letteralmente, quindi il rischio di "contaminare" delle buone e sane colture tradizionali con geni provenienti da colture OGM esiste, ed e' impossbile valutare gli effetti di queste ibridizzazioni. Precauzione (e buon senso) vorrebbero che si evitasse il rischio di creare dei "mostri" incontrollabili.

    Cioe', in base al principio di precauzione, posso tranquillamente sostenere l'esistenza di un potenziale rischio ed anche del suo esatto opposto, NELLA MEDESIMA SITUAZIONE: questo porta alla paralisi. Sembra quasi che l'importante non sia prendere una decisione e poi agire di conseguenza, ma NON fare.

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  14. @Thomas Morton:
    ogni qual volta mi capita di sentire che occorre aggiornale le nostre procedure di decisione

    Con tutto il rispetto per la consueta saggezza che traspare anche da questo articolo, mi pelmetto umilmente di falti notale il micloscopico lefuso.

    Per il resto hai tutta la mia solidarietà di pedone vegetariano ecoscettico (oltre a quella del mio amico Gino il Camionista che per mestiere emette gas serra e mangia da McDonald's).

    Sul principio di precauzione segnalo un interessantissimo libro, "Worst-case scenarios" di Cass R. Sunstein. Se mi ricordo, posto qui la sua formulazione del principio, che è molto più ragionevole di quella semplicistica usata dagli ecomaniaci (direi "romantico-reazionari" ma non voglio essere troppo cattivo :-P) e rispecchia secondo me abbastanza il tuo post.

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