martedì 2 marzo 2010

il palazzo di Atlante

Non avendo molto da scrivere, in questi ultimi tempi, ne approfitto almeno per un piccolo post di approfondimento filosofico.

I cervelli in vasca di Putnam non mi hanno mai convinto, forse perché come esperimento immaginario è un po' troppo arzigogolato, eppure credo che ci sia qualcosa di fondamentalmente corretto nella teoria del riferimento su cui si basa.

Da Cartesio a oggi il pensiero occidentale è rimasto un po' come prigioniero di un incantesimo, e rinchiuso in un palazzo fatato, come quello messo su dal mago Atlante, descritto da Ariosto nell'Orlando Furioso: chi entra in questo palazzo crede di avere davanti a sé l'oggetto del proprio desiderio, ma in realtà si tratta solo di un'illusione dei sensi. Così Orlando insegue l'amata Angelica, senza poterla mai raggiungere in quanto lei non è realmente presente. Allo stesso modo, chiunque creda di aver quasi raggiunto la verità, o anche una piccola minuscola verità, è alla fine destinato a disilludersi di fronte alla sua inattingibilità ultima.

La possibilità che tutto quanto vediamo e sentiamo sia semplice apparenza, postulata da Cartesio, ha stravinto di fronte agli argomenti inadeguati con cui Cartesio stesso cercò di confutarla (ricorrendo a un intervento provvidenziale della divinità), condannandoci a un'era di scetticismo nei confronti della stessa nozione di verità, laddove il semplice andarne in cerca viene scambiato per dogmatismo e arroganza intellettuale. Non possiamo uscire da noi stessi e confrontare le nostre credenze sul mondo col mondo stesso, non avendo appunto altro che le nostre credenze, non possiamo scappare dalla prigione dell'io in cui Cartesio ci ha rinchiusi. A meno che.

Lo scetticismo cartesiano si appoggia, in fin dei conti, sulla comprovata indipendenza logica fra il contenuto di una credenza e la sua verità. Ovvero: il fatto che io creda ai cavalli alati non mi dà nessuna garanzia che i cavalli alati esistano veramente. Si tratta di due cose diverse: da una parte la rappresentazione dei cavalli alati, dall'altra i cavalli alati in persona. Può esserci la rappresentazione senza la cosa, e la cosa senza la rappresentazione.

E però, pensandoci meglio, è spesso vero anche il contrario: se non una relazione logica c'è spesso una relazione di tipo causale fra il sorgere di una credenza e il suo contenuto. Ovvero, è proprio la bianchezza della neve che mi spinge a credere che la neve è bianca. I miei pensieri non sorgono dal nulla, ma hanno delle cause, e non sono destinati a un'esistenza virtuale nel limbo della coscienza, ma hanno a loro volta degli effetti. Se la teoria "causale" è corretta, allora le nostre credenze sono effettivamente collegate al mondo, non isolate nella prigione dell'anima.

Il problema è solo che la catena causale può essere diversa da quella che crediamo: qualcosa, ad esempio una burla ben realizzata, può portarmi a credere che esistono i cavalli alati senza che i cavalli alati esistano davvero, però c'è almeno questo qualcosa che mi inganna. In generale, possiamo confidare che le caratteristiche del mondo sono rispecchiate abbastanza fedelmente nei nostri pensieri, anche perché altrimenti non avremmo potuto sopravvivere: chi crede all'esistenza dei cavalli alati potrebbe incontrare qualche difficoltà nel riprodursi.

Questo approccio naturalistico, non fenomenologico, ai nostri pensieri, non elimina qualsiasi tipo di scetticismo, non ci dà nessuna garanzia riguardo alla veridicità di una qualsiasi specifica credenza, ma può almeno ridurre l'attrattiva di un certo tipo di solipsismo. Un argomento di Putnam per sostenere questo punto, non meno fantascientifico di quello dei cervelli in vasca, ma secondo me un po' più convincente, è quello su Terra Gemella.

Si immagini un'astronave terrestre che capita, un giorno, su un pianeta molto simile al nostro, anzi, quasi identico. Ci sono più o meno le stesse specie animali e le stesse piante. C'è persino una specie del tutto simile agli esseri umani e, colmo dei colmi, parla la stessa lingua degli astronauti. Le conoscenze scientifiche di questi esseri sono però un po' meno avanzate delle nostre, arrestandosi all'equivalente del nostro diciottesimo secolo.

Su questo pianeta c'è anche una sostanza molto simile all'acqua, trasparente, liquida, commestibile, dissetante, eccetera. Solo, analizzandone la struttura microscopica, gli astronauti scoprono che non è vera acqua, ma una sostanza di struttura atomica diversa (che chiameremo XYZ) con caratteristiche superficiali identiche a quelle dell'acqua solo per coincidenza.

La questione è: quando una casalinga di Voghera e un abitante di Terra Gemella parlano dell'acqua, parlano della stessa cosa? L'immagine mentale è esattamente la stessa (si ricordi che gli abitanti di Terra Gemella non hanno accesso alle nostre conoscenze scientifiche, e nemmeno la casalinga di Voghera) quindi si sarebbe tentati di rispondere di sì, se diamo importanza alla sola rappresentazione mentale.

Secondo Hilary Putnam invece è chiaro che il riferimento dei due termini è diverso, per il semplice fatto che il pensiero della casalinga è causato dall'acqua (cioè da H2O) e quello degli extraterrestri da XYZ, che sono due cose diverse, nonostante tutto. E questo vuol dire che lo spettro di Cartesio, l'anima razionale così come lui la immaginava, non esiste. Non potrebbe, in effetti, pensare a niente, se non ci fosse niente fuori di lui a causare i suoi pensieri. Cosa che vale, mutatis mutandis, anche per i cervelli in vasca. Si potrebbe anche dire "io penso, e dunque qualcosa, oltre me, esiste".

P.S. Nell'Orlando furioso l'incantesimo viene spezzato proprio da Angelica, l'oggetto del desiderio di Orlando, grazie all'anello magico che la protegge da qualsiasi magia. Questo non consentirà comunque a Orlando di raggiungerla e conquistarla, ma consente almeno alla storia di andare avanti.

11 commenti:

  1. Cervelli in vasca, terre gemelle, anelli magici, fino a matrix: le teorie della caverna da Platone in poi sono state un'accozzaglia di assurdità che ben testimoniano la colpevole lontananza di chi le ha formulate dalla realtà, o perlomeno il loro rifiuto (snobismo o incapacità?) ad affrontare più modestamente problemi filosofici reali fuggendo inevitabilmente in una qualche super-filosofia che giustificasse appunto la loro volontaria estraneità, il loro auto-esilio da ogni forma di "quotidiano".

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  2. Carissimo, onde evitare che si pensi che noialtri nerd si parli solo di tecnologia, mi cimentero' anche io in speculazioni filosofiche nonostante una ignoranza sufficientemente abissale.
    Anche perche' il tema di cui parli e' davvero interessante e mi ha stimolato non poche riflessioni, dopo aver lasciato trascorrere un giusto intervallo di tempo dalle letture filosofiche scolastiche - che forse, senza polemica, sono servite a NON farmi capire quanto potessero essere interessanti e concreti molti pensatori. In effetti mi e' sempre parso, nei bei tempi in cui sonnecchiavo sui banchi scolastici, che la filosofia fosse costituita da una serie di signori che si divertivano a inventarsi mondi paralleli senza alcun fondamento logico particolare (dall'iperuranio platonico alla realta' noumenica di Kant). Poi in realta' dopo un briciolo di approccio con Heidegger e Sartre ho iniziato a capire molte cose...
    Arrivando al tema in questione, solo negli ultimi tempi sono arrivato ad una abbozzata elaborazione a riguardo, avendo individuato come principale problema il fatto che siamo educati ad essere forzatamente "psicocentrici", ovvero porre una nostra capacita' - la razionalita' - non come parte della nostra esistenza corporea ed esperienziale (provo talvolta ad usare paroloni che non capisco neanche...) ma come una entita' astratta, la Psiche, al di sopra della nostra fisicita' e da essa slegata. Da qui mi pare poi facile scivolare verso il solipsismo... Sinceramente devo fare ancora tante belle riflessioni, ma il tutto si e' smosso quando mi e' capitato di leggere un po' di Merleau-Ponty e la sua elaborazione sul corpo vissuto.
    Pero' adesso la triste realta' lavorativa mi richiama, e quindi per oggi chiudo! A presto!

    nerd::a

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  3. Alle volte penso: e se il tutto fosse solamente frutto della mia immaginazione, cioè se tutto ciò che io definisco il reale non esistesse e fosse solamente frutto di una mia forma di pazzia, ma nella realtà io sono effettivamente tutt'altro. In pratica una forma di rivisitazione malata del mito della caverna platonico.

    Poi devo tornare a trafficare con le proprietà immobiliari e mi rendo conto che nemmeno se fossi uno psicopatico sociopatico neuroleso avrei potuto inventarmi le regole assurde di questo mercato, così mi fornisco la prova empirica del reale.

    Cordialità

    Attila

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  4. "In generale, possiamo confidare che le caratteristiche del mondo sono rispecchiate abbastanza fedelmente nei nostri pensieri, anche perché altrimenti non avremmo potuto sopravvivere: chi crede all'esistenza dei cavalli alati potrebbe incontrare qualche difficoltà nel riprodursi."

    non ti sembra che per fare una affermazione del genere devi dare un sacco di cose per scontato sul mondo reale? cose che hai potuto capire solo attraverso i sensi (il fatto, ad esempio, che i cavalli precipitano se cerchi di attraversare un burrone in carrozza).

    In pratica mi sembra che usi i sensi per dimostrare che quello che dicono i sensi è (abbastanza) vero...

    o no?

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  5. @Federico: il problema è che partire dall'interiorità psicologica come fondamento epistemologico per ricostruire le caratteristiche del mondo esterno è una strada che non ha portato a grandi risultati.

    Più promettente, sembra, cercare di considerare lo stesso apparato sensoriale come una componente, fra le altre, del mondo naturale. In questo modo molte perplessità si dissolvono.

    Non è una confutazione filosofica a prova di bomba, è più che altro una considerazione di natura pragmatica.

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  6. Caro Thomas,
    prendo come punto di partenza l'impressione che tu usi "riferimento" nell'accezione di Frege.
    In tal caso, mi permetto una piccola obiezione.
    Quando la casalinga di Voghera e l'alieno pronunciano la parola "acqua" (evito a pie' pari le complicazioni date dalle lingue diverse), non si riferiscono a mio parere a UNA cosa, ma a MOLTE cose, una gerarchia di significati.

    Prima iterazione:
    - <>: dove "ciò" prescinde anche solo dall'idea di una sostanza in senso fisico, ma si riferisce unicamente al soggetto totalmente indeterminato del predicato "mi disseta"

    E adesso solo nel secondo passo:
    - <>

    E ancora:
    - < soddisfa altri predicati): ghiaccia quando messa in freezer e bolle quando sul fornello...>>

    Mi permetto di ricapitolare rapidamente:

    - è vero che la casalinga e l'aliena parlano di sostanze diverse

    - ma è vero che in prima istanza l'oggetto del loro pensiero è identico: meramente un "qualcosa" che a questo livello è determinato eslusivamente dal predicato "soddisfa la sete"

    Ok, se sono caduto in una fallacia o più terra-terra nel dire una ca**ata, chiedo venia :)
    G.M.

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  7. Oops, le parentesi angolate hanno reso il testo quasi illegibile.
    Volevo dire:

    Quando la nostra casalinga e l'alieno pensano all'acqua:

    - in prima iterazione pensano a "ciò che mi disseta": l'oggetto del pensiero non è dunque la sostanza-acqua ma meramente "quel qualcosa che" soddisfa il predicato di "soddisfare la sete"

    - solo in seconda iterazione, quel qualcosa assume altre caratteristiche ("liquido, è passibile di congelare o evaporare, etc etc")

    Questo proprio perchè concordo con te sul fatto che il pensiero sia frutto di una CATENA di cause.
    Al fondo la catena si sdoppia (due sostanze differenti), ma quindi i due tratti di catena convergono su un'unica sequenza di anelli (le due sostanze innescano le medesime reazioni nella testa dell'alieno e della casalinga).

    Dunque vi è differenza solo a un certo livello (quello fisico delle due sostanze) e identità invece ad un altro (gli anelli di causa-effetto che hanno a che fare con l'esperienza dei due bevitori).

    G.M.

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  8. Sì, possiamo anche cavarcela (un po' ad hoc) sostenendo che il riferimento della parola acqua sia "qualsiasi sostanza dotata di un tale insieme (chiuso) di caratteristiche", ma secondo me si tratterebbe di un modo di chiuderci di fronte alle scoperte scientifiche: è bene che l'estensione di un termine non sia mai fissato una volta per tutte, per decreto, ma aperto alle nuove osservazioni che via via vengono fatte.

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  9. Senza nessuna polemica, vorrei rispondere ancora, probabilmente ho mancato il bersaglio.
    La mia obiezione può essere sbagliata, ma ti assicuro che non l'avevo proposta ad hoc.
    Volevo mettere l'accento sul fatto che i rapporti di causa-effetto nel mondo non si snodano come una successione semplice di anelli, ma come un reticolo, una maglia.
    Tratti lineari di catene casuali possono confluire poi su un percorso comune. Il linguaggio cattura solo un pezzetto del reticolo e spesso senza precisarne bene i limiti: ecco quindi che un'espressione può riferirsi a un nodo del grafo ("quella cosa che mi disseta etc etc"), sul quale però poi proiettano nodi diversi (le due specie chimiche differenti).

    Come facciamo a precisare se una singola espressione linguistica comprende solo tot anelli o tutta una regione della maglia?
    E' arbitrario, il chhe non vuol dire irrazionale: dipende in fondo dalle esigenze pratiche.

    Insisto ancora: non è ad hoc, e non contraddice affatto la pratica scientifica normale.
    Pensa alla parola "gene": per un farmacologo si riferisce (indirettamente) magari a una subunità di un recettore, per un biologo al recettore nel complesso (ma l'informazione genetica in questo caso è disseminata su diverse regioni del genoma), per Dawkins (vedi "Il fenotipo esteso") è legittimo parlare di un gene per un intero comportamento molto articolato (es. "il gene delle dighe del castoro").

    Sono tutte definizioni legittime e non si contraddicono (per esempio: possiamo discutere dell'assortimento del gene nei vari contesti, che ci riferiamo a una ristretta catena di nucleotidi o a un vasto complesso di informazione diviso su porzioni differenti di un cromosoma).

    Insomma, il mondo complesso e il linguaggio è vago rispetto a quale porzione di esso vuole "catturare" in un preciso momento.

    p.s.: perdono per la lunghezza. E' un'opinione personale e scrivo per alimentare la discussione, non per polemica.

    G.M.

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  10. Nessuna polemica, per carità (spero di non essere sembrato scortese perché non era mia intenzione). Trattasi di argomenti molto dibattuti e ancora aperti, non potrei risentirmi perché qualcuno non condivide le mie intepretazioni.

    Il linguaggio è vago anche perché, come dici, la catena causale è in effetti indeterminata nella sua ampiezza. Tuttavia nel caso sotto esame non mi pare tanto una questione di quale porzione di catena causale considerare, ma di linguaggio estensivo vs. linguaggio intensivo. Ci sono due oggetti che hanno la stessa descrizione, ma nonostante ciò una natura diversa, così come può darsi il caso inverso di due oggetti identici che vengono scambiati per cose diverse ("stella del mattino" e "stella della sera"). Se io punto il dito su Venere e ne parlo come della "stella della sera" non mi sto riferendo a una cosa diversa da chi ne parla come della "stella del mattino", anche se non conoscessi l'identità dei due termini.

    A meno che non si intenda per "causa" delle mia asserzioni solo lo stimolo estremamente prossimale, cioè il contenuto, soggettivo, della mia mente. Cosa che mi condannerebbe a una sorta di infallibilità (ciò di cui parlo è sempre ciò di cui parlo).

    Poi un modo per determinare la catena causale con maggior precisione, a dire il vero, ci sarebbe, ed è il confronto e la comunicazione con gli altri (vedere "triangolazione").

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